Misteri vintage

La vera storia dei Gremlins

Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Li conosciamo un po’ tutti per il successo planetario che hanno avuto a partire dal primo dei due film che nel 1984 gli ha dedicato il regista americano Joe Dante. C’erano già, beninteso, e c’erano da un pezzo. Ma solo da allora sono diventati stelle di prima grandezza del folklore contemporaneo… 

Stiamo parlando dei Gremlins, esserini dispettosissimi di origine e natura controversa. Nel film di Dante, che prima del 1984 aveva diretto diversi horror (tra cui Ai confini della realtà, in cui compare già un mostricciattolo intento a far a pezzi un aereo), i gremlins non sono soltanto dannosi e attaccabrighe. Sono terrificanti e, se si fosse dato il via alla sceneggiatura originale, lo sarebbero stati ancora di più. 

Da allora i gremlins si sono diffusi ovunque. Li si trova nei Simpson, in una serie di videogiochi dalla vita assai lunga, in peluche e action figures diventati oggetti di culto, e via proseguendo. Ma i gremlins vengono da lontano. Da tempi e da ambiti oggi assai remoti. Sono sorti in contesti e con funzioni assai diverse da quelle cui gli ultimi decenni ci hanno abituato. 

Oggi vi parleremo della vera storia dei gremlins.

Tutto cominciò in Inghilterra (forse)

Per quel che ne sappiamo, i gremlins nacquero grazie all’aviazione inglese. Fu lì che tutto cominciò, tra basi aeree e missioni militari. Erano un modo per i piloti di trovare una ragione a tutti quei piccoli guasti a cui andavano incontro i loro mezzi. Lo testimonia fin dall’inizio un articolo che il tenente Roberts, della RAF, pubblicò su Listener il 5 marzo del 1942, settimanale della BBC che a quei tempi entrava in tutte le case. 

Gli apparati di radionavigazione non funzionavano, mappe e territori sorvolati non coincidevano, le bussole davano i numeri? Gli equipaggi davano la colpa ai gremlins, “misteriosa razza di spiriti malevoli” che stavano seduti sulle ali degli aerei di rientro dalle missioni quando erano in vista delle coste britanniche; a volte, questi esserini scendevano anche a terra, spostando le piste di atterraggio in modo da mettere a rischio le manovre. Addirittura, i gremlins erano in grado di incitare i gabbiani a scontrarsi con i velivoli. 

Fin dall’inizio appaiono evidenti le funzioni ansiolitiche degli spiritelli, a fronte delle tensioni terribili della guerra aerea: nessun aviatore doveva vedere i gremlins prima del volo. Per questo non doveva essergli concesso di entrare in un aereo gremlined, cioè infestato – condizione destinata peraltro ad esaurirsi entro 24 ore. Seguendo questo rituale, il giorno dopo la missione non sarebbe stata disturbata dai folletti volanti e tutto sarebbe andato bene. 

La diffusione di questa versione del mito dei gremlins promossa dal tenente Roberts fu tale da giungere anche ai nemici, in particolare a noi italiani, ad esempio su La Stampa, il 6 agosto 1942, grazie al giornalista Italo Zingarelli. 

Nel frattempo però, c’era stato un articolo interessantissimo sul principale periodico dell’aviazione militare britannica, il Royal Air Force Journal del 18 aprile 1942. Il suo autore, Hurbert Griffith, raccontava di averne sentito parlare per la prima volta in una base di collegamento della RAF nel nord del territorio russo e che i racconti sui folletti erano diffusi fino a Gibilterra. Trascriveva anche una complessa descrizione poetica dei vari tipi di gremlins. I toni si sovrapponevano in parte a quelli usati dal tenente Roberts un mese e mezzo prima su Listener. 

Tutto, dunque, indica che furono gli aviatori britannici a mettere per iscritto le cose che in precedenza si raccontavano a voce, fra di loro. 

Il 30 agosto il Sun australiano riferiva da Londra che il folklore dei gremlins dilagava. La cosa interessante è che i folletti potevano essere sia buoni, sia cattivi. Potevano farne di tutti i colori, ma pure aprire un varco nelle nubi, far ripartire i motori in stallo durante il volo, addirittura deviare il tiro della Flak, la contraerea tedesca. Potevano manifestarsi anche a terra, negli aeroporti, magari facendo sbagliare i telescriventisti. In una base delle Midlands un comandante di stormo spiegava al giornalista che avevano delle mini-tute di volo per i gremlins, e che il comandante dei folletti aveva il grado di Air Marshal (il più alto, nelle gerarchie della RAF). 

A fine ottobre la BBC trasmise un’intervista con un aviatore che li aveva incontrati. Portavano un colletto di celluloide e una cravatta vecchio stile. Un aviatore neozelandese in servizio in Egitto aveva inviato una poesia che comparve sull’Evening Star, giornale di quel Paese, il 29 ottobre. Per lui i gremlins potevano essere maschi, femmine e neutri. 

Particolare interessante: fra le diverse “specie” menzionate, ne era ripresa una che era già stata menzionata da Hubert Griffith sul Royal Air Force Journal del 18 aprile. Un gremlin era sferico, di mezza età e poteva girare sopra la cloche proprio come una trottola. In questo modo il folklore dei gremlins, folletti dell’aviazione, mostrava segni di contaminazione con quello relativo ai fenomeni elettrici, come i fuochi di sant’Elmo a quel tempo assai temuti dai piloti. Al contempo, cominciavano ad esserci cenni di un nuovo folklore, assai più moderno: il mito dell’incontro, durante il volo, con fenomeni aerei misteriosi, dalla natura incerta. Questo testo sarà ristampato in versioni diverse nel corso della guerra.  

L’articolo del Sun, invece, proseguiva descrivendo in dettagli deliziosi due tipi di gremlins visti da chi scriveva (il Line Astern, che porta una canna da pesca e siede sul ruotino di coda, e Vic che in realtà è una coppia formata da maschio e femmina). Fra gli scherzi messi in atto dai folletti, uno ci colpisce: alcuni mettevano delle minuscole copie di caccia tedeschi contro il parabrezza, e le toglievano via appena entrati nel campo visivo dei piloti. In questo modo, i gremlins si facevano carico degli errori percettivi e delle vere e proprie esperienze allucinatorie indotte dalle missioni belliche.   

Un esempio di questa funzione della leggenda è l’articolo che apparve sul numero di novembre 1942 di Boeing Magazine, la rivista della grande impresa aeronautica, che allora stava iniziando a produrre i modelli di grandi bombardieri che avrebbero spianato i Paesi dell’Asse. 

I gremlins erano più numerosi e dispettosi mano a mano che gli aerei salivano verso la stratosfera. Lì c’erano i veri e propri strato-gremlins. In questo caso, si trattava da un lato di far capire le grandi difficoltà tecnologiche e mediche che allora comportava volare a 10-11 km, dall’altro di illustrare gli sforzi che la Boeing stava facendo al riguardo. Per questo – raccontava l’articolo – l’industria si stava dando da fare per combattere gli strato-gremlins. 

La descrizione di questi folletti d’alta quota è divertente. Sono più grandi degli altri, perché hanno apparati respiratori più massicci, e l’evoluzione li ha forniti di una specie di maschera ad ossigeno naturale sul naso, una rada pelliccia azzurra che li protegge dal freddo, orecchie morbide e grandi. Sulla schiena hanno delle bombole da cui inalano ossigeno puro, ma più per diletto che per necessità. L’articolo, non firmato, contiene anche una rappresentazione grafica di uno strato-gremlin. Ve la presentiamo.

Lo strato-gremlin, come fu offerto ai lettori di “Boeing Magazine” nel novembre del 1942.

In sostanza, questi esseri del folklore moderno erano un punto d’aggancio fra credenze tradizionali e una nuova forma di leggendario tecnologico che farà la sua comparsa quattro anni e mezzo dopo, ossia quello legato ai nuovi, misteriosi super-aerei che cominceranno ad essere avvistati negli Stati Uniti: i dischi volanti.

Sull’Harvey Murray Times australiano del 17 dicembre 1942 era delineato un intero mondo narrativo in via di formazione, generato anche questo dalla necessità di far fronte allo stress estremo delle missioni aeree. Molti equipaggi si erano dotati di oggetti in grado di proteggerli dai folletti dell’aria, in particolare sciarpe o spille. Un dettaglio che li collega ai rimedi portafortuna dei soldati nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, che sin dal primo momento avevano attirato l’attenzione di folkloristi e antropologi. Soprattutto, l’utilizzo simbolico “buono” dei gremlins è attestato dal fatto che diversi reparti di volo alleati li usarono come loro insegna (ne trovate un repertorio qui).

Diversi nell’aspetto secondo delle regioni dalle quali erano segnalati (Gibilterra, Vicino Oriente, Gran Bretagna), secondo il comando di una base di bombardieri, quelli rossi o blu erano malvagi, quelli verdi o gialli, buoni. Ne fornivano anche un disegno, che comprendeva ali simili a quelle di aerei (riecco la miscela fra folklore classico e tecnologia), grandi alluci, coda biforcuta da diavolo e grandi orecchie scimmiesche. Per il Daily Mercury (Australia) del 30 dicembre, di solito erano alti 30 centimetri. In questo modo prendevano l’aspetto di un ibrido tra l’animalesco e il futuristico, una fusione tra passato e avvenire. Il 12 gennaio 1943 l’Herald di Melbourne ne nominava altri tipi e riferiva che ormai anche gli aviatori americani stavano facendo i conti con la loro presenza. 

Anche negli Stati Uniti, infatti, si stava sviluppando una particolare categoria di gremlins in grado di provocare disturbi elettromagnetici alle radiotrasmissioni, i Grohms, dotati di vari sottogeneri: i Foobus, ad esempio, introducevano rumori di vario tipo nei microfoni (News, Australia, 24 febbraio 1943). Un gremlin femmina, Fifinella, dava seri problemi ad un aeroporto militare del Nuovo Galles del Sud: segno tipico della sua presenza, il fatto di trovarsi senza accorgersene sei cucchiaini di zucchero nel tè. Fifinella, che in realtà era stata inventata da Roald Dahl nel dicembre 1942 su Cosmopolitan, era una bionda naturale, carina, che portava pantaloni rosa (Newcastle Morning Herald and Morning’s Advocate, 23 gennaio 1943). 

Un fenomeno di portata mondiale

L’eco della credenza nei gremlins ebbe portata mondiale, nei Paesi Alleati. Il 9 gennaio del 1945 l’Ellesmere Guardian neozelandese faceva notare che era giunta anche laggiù, fra gli aviatori di quel Paese, ma che la cosa dipendeva dal fatto che avessero servito all’estero, in particolare in Gran Bretagna. In quel modo la schiera degli appassionati e dei gremlinologists si era accresciuta anche in Nuova Zelanda, e i “convertiti” al nuovo verbo proveniente dalla madrepatria si stavano moltiplicando.

Non tutti la prendevano sul ridere. Qualcuno inclinava verso il paranormale. Un uomo d’affari di Newcastle, in Australia, tenne una conferenza presso il Business Club cittadino argomentando che con le tensioni estreme del combattimento aereo 

il sistema dei sensi umani si estende al punto che si diventa coscienti di sfere d’esistenza che sono reali e oggettive quanto quelle che conosciamo normalmente. (The Newcastle Sun, 24 febbraio 1943). 

Per tutti gli altri, i gremlins servivano principalmente per scaricare lo stress attraverso l’umorismo. E’ in questo senso che si devono leggere alcune notizie “sopra le righe”, come quella pubblicata sull’Evening Post neozelandese il 16 marzo 1943. Secondo il quotidiano, infatti, girava una “circolare della RAF” secondo cui una vasta colonia di gremlins era stata scoperta nel sud dell’Inghilterra, fra Whitechurch e Newbury, probabilmente in una discarica. 

Sul Daily Express di Londra un giornalista e politico controverso, Tom Driberg, protestò perché la mania stava diventando eccessiva. In giugno, “Ten Little Gremlins”, storia degli incontri fra gli equipaggi della RAF e i piccoli esseri dispettosi, non ultimo con il loro comandante in capo, il Gran Walloper, fece il giro di parecchi quotidiani. Era firmato con lo pseudonimo “C. W. Morse”, e il Gran Walloper in persona confermava che, pur essendo dei burloni, i folletti volanti stavano dalla parte degli Alleati. 

Abbiamo detto che nel complesso il folklore dei gremlins fu un prodotto della prima parte della Seconda Guerra Mondiale e che prima del maggio 1942 se ne parlava poco. Si cercava comunque di ricostruirne le presunte origini storiche. Su The News del 6 marzo 1943 Brian O’Brien ne forniva descrizioni dettagliate e raccontava che gli spiritelli erano stati “scoperti” per primi da un meteorologo dell’aeroporto parigino di Le Bourget, non si sa quando; secondo altri, il primo era stato liberato da una lampada magica nella cabina di un aereo da ricognizione nel 1923. In più occasioni, in effetti, le fonti del tempo accennarono al Medio Oriente o al Mediterraneo come luoghi delle prime manifestazioni, magari fra le due guerre mondiali. Questa idea della provenienza dei gremlins da un mondo vagamente arabo restò comunque minoritaria. Al contrario, la corrente dominante fu quella di rivendicarne con orgoglio l’origine, collocandola nella cultura popolare delle Isole britanniche. Fra i tanti aneddoti raccontati dagli equipaggi da ogni teatro di guerra, O’Brien spiegava:

Non sono malvagi in senso stretto. Non provocano mai incidenti gravi o morti. Però hanno dei sistemi per terrorizzare i piloti troppo fiduciosi nel loro potere. Parteggiano senza alcun dubbio per le Nazioni Unite. Probabilmente l’Asse non li capirebbe. 

I gremlins, insomma, erano un rischio, ma erano nei cieli anche per invitare i piloti a controllare, ricontrollare, osservare e non distrarsi mai, nemmeno per un attimo, e a mettere in atto qualsiasi tecnica e rituale simbolico disponibile per rendere più sicure le missioni. Occorreva però ingraziarseli. Il 4 novembre del 1942 il Courier-Mail di Brisbane e due giorni dopo il News di Adelaide scrivevano da Londra quello che era successo ai sei membri dell’equipaggio di un bombardiere “Halifax”. Non solo avevano chiamato l’aereo “G for Gremlin”, ma salendovi a bordo lo salutavano. Giuravano che i folletti gli avevano salvato la vita più volte, permettendogli di fare a pezzi la contraerea tedesca. Però un giorno erano stati abbattuti. I quattro che avevano eseguito il rituale erano stati fatti prigionieri vivi, i due che non l’avevano fatto erano rimasti uccisi. 

I gremlins non erano dunque “tedeschi”, o “italiani”, o “giapponesi”. Non erano loro a mandarli o a arruolarli nelle loro fila. Questo non vuol dire che i tedeschi non potessero avere la loro razione di gremlins. Ve lo spiegheremo meglio nel prossimo paragrafo.

Il racconto di Roald Dahl

Fra le migliaia di articoli e riferimenti ai gremlins negli anni della guerra, ci sono dei punti di svolta fondamentali, che sancirono il passaggio del nostro mito alla memoria collettiva del mondo anglosassone e, in seguito, a quella di buona parte del globo. 

Nell’autunno del 1942 Roald Dahl, il grande scrittore e sceneggiatore inglese, comprese la forza del mito in via di formazione e, sul numero di dicembre del 1942 di Cosmopolitan, pubblicò sotto lo pseudonimo di Pegasus un racconto breve, The Gremlins. Le illustrazioni erano frutto della collaborazione con gli studios della Walt Disney e avrebbero dovuto condurre alla produzione di un intero cartoon da commercializzare nei cinema. Non se ne fece niente, ma la prima, fondamentale conseguenza di questo progetto fu l’espansione del racconto breve di Dahl in un vero e proprio libro dallo stesso titolo, pubblicato nel corso del 1943 dalla stessa Disney. Fu un successo enorme, nell’anno in cui fumetti e pubblicità s’impadronivano dei folletti dell’aria facendoli diventare un fenomeno di massa. 

La copertina del libro di Roald Dahl (1943).

La storia ha un profilo letterario “alto”, ma è pure fondamentale per capire il ruolo di valvola di sfogo che ebbe quest’invenzione collettiva. Dahl narra con maestria la trasformazione dei folletti dispettosi, fautori di guai di ogni genere, in alleati della RAF: le creature del cielo capiscono che è il momento di unire le forze e in sostanza diventano essi stessi dei mini-aerei da guerra, incomprensibili per i tedeschi, che subiscono le conseguenze di questa inedita alleanza. 

Nel 2002 il folklorista olandese Peter Burger ha pubblicato per Contemporary Legends (n.s., vol. 5, pp. 136-158) uno studio sul rapporto fra Dahl e le leggende contemporanee. Lo spazio dedicato a The Gremlins non è eccessivo, ma comunque sufficiente per permettere a Burger di sostenere che Dahl, nel suo interesse per i folletti dispettosi, dipese largamente da narrazioni orali e per notare come, in seguito, lo scrittore non abbia esitato in varie occasioni ad attribuirsi la stessa invenzione dei nostri personaggi – cosa, con ogni evidenza, non corrispondente alla realtà.  

Il 7 dicembre 1942, mentre milioni di persone leggevano il racconto di Dahl su Cosmopolitan, innumerevoli altri americani e abitanti del mondo libero leggevano su Time, uno dei settimanali più prestigiosi del tempo, che cosa erano i gremlins e quanti guai potevano creare. Non molti sanno, però, che anche Orson Welles, che era stato affascinato quattro anni prima dall’idea di un’invasione marziana della Terra, il 21 dicembre 1942 trasmise una commedia radiofonica di Lucille Fletcher, “Gremlins”, prodotta appositamente per la CBS nell’ambito della serie Ceiling Unlimited. La trama era incentrata sulle interferenze dei gremlins con le attività aviatorie, che del resto erano il filo rosso che legava l’intera serie di trasmissioni.

Mentre Dahl preparava l’ampliamento della sua storia sotto forma di libro, Clive Caldwell, comandante di uno Squadron da caccia e il più celebre asso dell’aviazione australiana, spiegò sul Sun di Sydney del 3 gennaio del 1943 di aver visto lui stesso i gremlins, insieme a tanti altri colleghi. Non solo: il pilota raccontò di aver contribuito a scrivere, durante un soggiorno negli Stati Uniti (probabilmente nell’agosto 1942), la storia poi firmata in dicembre da Dahl con lo pseudonimo di Pegasus. La cosa era poi passata alla Walt Disney, e Caldwell aveva in seguito dovuto spiegare al rappresentante della Disney per l’Asia e l’Australia molti altri dettagli sugli esseri mitici.

Ben presto compariranno altri impieghi determinanti per la cultura di massa del tempo. I passaggi ineludibili per la nostra rassegna sono almeno due: il primo, Falling Hare, cartoon divertentissimo anche oggi e diretto da Bob Clampett, ha per protagonista l’ineffabile coniglio Bugs Bunny in lotta contro un gremlin. Uscì il 30 ottobre del 1943. Potete godervelo qui. In questo caso il folletto dell’aria è concretamente pericoloso per la sicurezza degli aerei militari, e Bugs Bunny si salva da una catastrofe per il rotto della cuffia. 

Il particolare degno di nota è che il gremlin indossa tuta di volo, guanti, ha una coda a forma di alettoni di aereo e orecchie a forma di ali (lo vedete nell’immagine in evidenza). Si tratta di un vero e proprio ibrido macchina-vivente. Questa oscillazione fra l’idea del gremlin come essere “animalesco”, sia pur soprannaturale, e “aeronautico”, con caratteristiche meccaniche, accompagnerà tutti gli anni della guerra, e a noi interessa molto anche per questo. Un altro bell’esempio di questa sintesi è illustrato qui sotto.

Il “radio-gremlin”, esempio della fusione macchina-vivente tipica della leggenda (da “Gremlin Americanus”, di Eric Sloane, B. F. Jay & Co., 1943).

Il secondo utilizzo di successo sui grandi schermi di quegli anni è Russian Rhapsody, un cartoon della durata di sette minuti diretto anche stavolta da Clampett. In questo capolavoro del maggio 1944, con un eccellente utilizzo di motivi musicali classici, i gremlins non sono soltanto al servizio della causa alleata contro i bombardieri tedeschi, ma sono gremlins sovietici, dunque comunisti, necessari per battere il comune nemico mortale: Hitler. Il versante della sintesi macchina-uomo di cui si è detto è largamente è sovrastato dalla necessità di rappresentare i “gremlins from the Kremlin” in primo luogo come russi. Da qui l’utilizzo massiccio di gremlins-cosacchi e simili.  

E i “foo”, che cos’erano?

L’intervista all’asso dell’aria australiano Clive Caldwell ci dice che, ai primi del 1943, i gremlins erano già stati accostati a un altro personaggio mitico dai contorni indefiniti, il foo

Con un po’ di snobismo, Caldwell spiegava che il foo era l’ultimo arrivato della categoria, mentre il gremlin era presente nella RAF da ben tre anni. Il misterioso foo sarà ben presto definito dalla stampa anglosassone un poltergeist e sarà  associato in modo diretto con i gremlins. Nella primavera del 1943 il termine era già diventato sinonimo di “sconosciuto” e di “coso”, soprattutto in Australia e poi in Nuova Zelanda. Mani sconosciute tracciavano la scritta FOO col gesso dappertutto, e la circostanza faceva preoccupare parecchi, quasi si trattasse di un segnale di minaccia. Al contempo il foo assunse – un po’ come contraltare locale ai gremlins britannici – particolare rilievo prima fra le forze di mare e poi fra quelle dell’aria. I marinai lo collocavano sulle navi, gli avieri in cielo: in questi casi, assumeva funzioni simili a quelle del gremlins. 

Sulle origini di quest’altro elemento della cultura popolare anglosassone ci sarebbe da dire parecchio. 

Come visto, nel 1943 i foo vennero associati ai gremlins e furono considerati, fra le altre cose, degli esseri volanti. Vedere scritta la parola, senza ulteriori specificazioni, faceva pensare di tutto – anche che a tracciarle fossero non meglio precisati “orientali”. Australiani e neozelandesi subivano le conseguenze dell’espansionismo giapponese, e d’altro canto il pensiero del pericolo giallo era presente nelle culture anglosassoni sin dalla fine del XIX secolo. L’utilizzo della parola foo nei fumetti americani tra le due guerre mondiali, in specie in “Smokey Stover” (1930), è stato sovente ricondotto ad una vaga ispirazione cinese del termine. L’ideatore di Smokey Stover, Bill Holman, sostenne di essersi ispirato all’onnipresente ideogramma cinese Fu (fortuna, prosperità).   

Eppure il foo non è un’invenzione dei tempi della Seconda Guerra Mondiale e nemmeno degli anni ‘30. Fece la sua apparizione nel primo conflitto mondiale sotto forma di graffiti murari che recavano la scritta Foo was here, tracciati col gesso dal corpo di spedizione australiano in Francia, forse già nel 1914. Erano accompagnati dal disegno di una figuretta calva che si sporgeva da un muro. In maniera simile, durante la Seconda guerra mondiale divenne celebre il graffito “Kilroy was here”, trascritto dai soldati americani sulle basi militari e nei luoghi delle missioni belliche. Anche questo era accompagnato dalla figura stilizzata di un uomo al di là di un muro.  

Può darsi che il foo delle origini avesse valore scaramantico, e comunque sorse nel contesto tremendo della guerra di trincea. Risorse con la nuova guerra, e le scritte tracciate sulle case australiane e neozelandesi nel 1943-44, oltre che per l’associazione della parola ai nostri gremlins, sembrano essere importanti pure come una delle tante manifestazioni di paura per i “codici segreti”, i segni e simboli tracciati sui muri che così sovente sono stati associati alla criminalità. Il caso più noto, inutile dirlo, è costituito dal mito del “codice segreto dei ladri” dalla vita ormai secolare.

Il fatto importante, per quanto ci riguarda, è che i foo, trasformati già da un paio d’anni in folletti volanti simili ai gremlins, dal dicembre 1944 vennero accostati, sulla stampa americana, al termine inglese per “aereo da caccia”: erano nati i foo fighters

Con questo nomignolo, che potremmo tradurre come “caccia misteriosi”, alcuni aviatori e poi la stampa americana designarono le “cose” che ritenevano di vedere durante le terribili azioni di bombardamento sul territorio tedesco e che dovevano preoccuparli molto. La paura era che si trattasse di armi antiaeree teleguidate, di strumenti per disturbare le comunicazioni, addirittura di armi segrete capaci di far guastare i motori degli aerei. Oggi ne sappiamo di più grazie ai documenti degli archivi militari, ma sempre troppo poco, dal punto di vista della storia culturale.

Certo, vi furono, a seconda delle aree geografiche e dei servizi delle forze armate alleate, parecchi concorrenti dei gremlins e dei foo (ad esempio il Kaditcha delle forze di terra australiane, documentato verso la fine del 1943), ma nessuno fu così importante come quei due, che influenzarono la cultura popolare, ne furono influenzati a loro volta e, insieme, diedero una mano a creare il clima da “misteri aviatori” che portò, dopo la guerra, ai flying saucers, i “dischi volanti”.  

Re Giorgio VI incontrò i gremlins?

Se ancora dubitaste quale dimensione aveva assunto questa mania collettiva, aggiungiamo questo. Nell’autunno del 1944 il sovrano britannico, Giorgio VI, che allora reggeva ancora un impero vasto mezzo mondo, raccontò di aver sperimentato di persona la presenza dei gremlins. In quel periodo il re stava facendo un tour degli aeroporti militari canadesi in Gran Bretagna. Parlando nella sala riunioni del 427° Squadrone da bombardamento “Lion”, che si trovava a Leeming, dichiarò con un sorriso che, durante un volo di rientro dall’Italia insieme alla regina e alla principessa Elisabetta, aveva creduto di sentire un gremlin; ma il sovrano gli aveva imposto di tacere, e il gremlin era stato zitto (Evening News, Nuova Zelanda, 4 novembre 1944). 

Gli scienziati sociali se ne occupano…

Gli psicologi sociali e gli studiosi di scienze umane ci misero un po’ a farsi carico del nuovo mito. Nel febbraio del 1944 sul Journal of American Psychology, per la prima volta un addetto ai lavori, Charles Massinger, dedicò un intero articolo alla questione. The Gremlin Myth è un esempio tipico della scienza del tempo e delinea in modo chiaro il contesto in cui operava. Quello che interessava Massinger non era la dimensione culturale, antropologica, folklorica, collettiva, della leggenda, ma la sua natura distorsiva della realtà. Richiamandosi alle nozioni enunciate a fine Ottocento nei Principles of Psychology da William James, per lui i gremlins non potevano essere che fatti allucinatori, o confabulatori, oppure ricostruzioni a posteriori dovute a quanto accadeva a tanti aviatori: erano fenomeni di ordine fisiologico dovuti alla paura della morte imminente con conseguenti “nevrosi transitorie”.  

I folletti volanti erano una proiezione della paura anche per un altro psicologo, il canadese Walter R. Miles, che su American Scientist dell’ottobre 1945, a guerra ormai finita, li accostava a ciò che Orazio, nel terzo libro delle Odi (cap.1, v. 39) scriveva a proposito del cavaliere sul dorso della cui cavalcatura siede l’atra cura, la funesta, oscura angoscia. Miles pensava che le personificazioni di questa angoscia, di cui mostrava un’immagine creata per il Quintii Horatii Flacci Emblemata (pubblicato ad Anversa nel 1607 dal pittore e incisore Otto van Veen), trovassero un parallelo nei gremlins della Seconda Guerra Mondiale. Nell’incisione olandese l’atra cura oraziana aveva le sembianze di un piccolo essere mostruoso draghiforme avvinghiato sulla schiena del milite equestre.  

Anche il contributo dei linguisti fu in linea con la cultura del tempo. Nel dicembre del 1944, su American Speech, Henry Alexander scriveva del gran numero di neologismi entrati in uso nell’inglese parlato con la guerra e accennava a una trasformazione del nostro termine. Nato per designare delle “creature mitiche”, nell’autunno del 1944 sembrava aver “esteso la sua sfera operativa, al punto che il termine può essere applicato a quasi tutto ciò che va male negli affari umani senza che si riesca a capire il perché”.  

Prima del 1942 si trovano sparsi diversi riferimenti ai gremlins. C’è chi ha sostenuto che siano nati nelle basi inglesi a Malta, in India e nel Vicino Oriente già negli anni ‘20. Una menzione significativa, in specie circa la loro pretesa origine fra gli aviatori inglesi in servizio in Medio Oriente, dovrebbe comparire nel periodico specializzato The Aeroplane del 10 aprile 1929. L’origine della parola rimane comunque dibattuta. Un buon quadro etimologico – che mostra però che nessuno ha le idee del tutto chiare – è reperibile qui.

Un altro eccellente intervento di Brian Dunning per il podcast scettico Skeptoid ha invece mostrato quanto siano dubbie le attribuzioni “antiche” a storie e aneddoti (anche creduli) sui gremlins.

Se anche non nacque nel 1942, ma prima, è altamente probabile che mito dei gremlins abbia avuto una circolazione contenuta sino alla Seconda Guerra Mondiale. Alcune connotazioni iniziali da racconti tipo Mille e una notte potrebbero far supporre che possa essere nato davvero in Africa settentrionale o in Medio Oriente, nelle basi della Royal Air Force allora presenti in quella parte di mondo (ce n’erano a Malta, in Egitto, in Giordania, in Iraq e in buona parte della penisola arabica). Lo stesso tipo di interpretazione circa l’origine dei gremlins è stato avanzato alcuni anni fa anche in un articolo di Davide Bartoccini per Difesa Online

Non saremo certo noi a dirimere la questione. Ci interessava di più raccontarvi come diventarono popolari, perché e a che cosa servirono. In fondo, sono un segno di tempi terribili della guerra e dei modi infiniti che la nostra mente può escogitare per farvi fronte.  

In evidenza: Il gremlin del cartone animato “Falling Hare” (1943).

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