Misteri vintage

Lione, 1768: la leggenda dei bambini dissanguati

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

I bambini, nessuno tocchi i bambini! Voci e leggende metropolitane possono avere conseguenze orribili, disseminare paure e diffidenze, portare a vere e proprie sommosse e linciaggi. E questo accade ancora di più quando i rumors riguardano i bambini – e il senso di protezione che naturalmente ci ispirano – considerati di volta in volta al centro di traffici d’organi, rapimenti, violenze, messe nere. Potrebbe sembrare un fenomeno moderno, ma non lo è: uno dei casi esemplari di rivolte scatenate da voci e dicerie ebbe per scenario la Lione dell’anno 1768. 

La fama di questa storia, altrimenti poco nota in Italia, si deve per lo più allo storico Jean Delumeau, che ne ha discusso nel suo classico La paura in Occidente. Storia della paura nell’età moderna (La peur en Occident, ediz. orig. 1978):

Talune dicerie che crearono un tempo stati di panico ci sembrano oggi totalmente aberranti. […] Ciò che importa in questi casi è ciò che l’opinione pubblica, o una parte di essa, crede possibile. Nel 1768, il collegio degli oratoriani di Lione è invaso dalla folla e saccheggiato. Si accusano i religiosi di ospitare un principe mutilato. “Tutte le sere” si racconta “vengono fermati intorno al collegio dei bambini ai quali viene tagliato un braccio per provarlo al preteso principe. La sommossa fa 25 feriti. Spieghiamo psicologicamente questo accesso di collera. Molti un tempo non ritenevano impossibile uno straordinario intervento chirurgico di questo genere. D’altra parte, dall’epoca dell’espulsione dei gesuiti, si nutriva diffidenza da parte dell’opinione pubblica nei riguardi dei loro successori, giudicati capaci dei peggiori misfatti. Infine, circolavano periodicamente, a Lione come altrove, voci di rapimenti di bambini: di ciò venivano accusati ora gli zingari e i vagabondi, ora oratoriani, come nel nostro caso, ora la polizia.

Il collegio

Iniziamo col descrivere il set dei nostri disordini: il Collegio della Trinità di Lione, a due passi dal Rodano, nel cuore del centro storico. L’edificio fu fondato nel 1519 dalla confraternita della Trinità e destinato all’istruzione dei ragazzi; poi, dal 1565 al 1762, venne gestito quasi ininterrottamente dai gesuiti, che ne volevano fare una “cittadella della vera fede”. Tra il 1617 e il 1622 fu costruita anche una cappella annessa, la Grand Chapelle, in stile barocco: sarà lì che nel 1802 Napoleone riunirà i rappresentanti della Repubblica Cisalpina e darà origine alla Repubblica Italiana del 1802-1805, prima tappa verso la costituzione del nostro Stato. Attualmente i locali del Collegio ospitano una scuola superiore, il liceo Ampère, mentre la cappella, dopo essere stata utilizzata per anni come palestra, intorno al 1990 è stata restaurata e adesso ospita regolarmente concerti e conferenze. 

Ma all’epoca dei nostri disordini queste cose erano ancora di là da venire.    

Quando nel 1762 la Compagnia di Gesù fu espulsa dalla Francia, la gestione del Collegio della Trinità passò agli Oratoriani francesi ordine fondato nel 1611 su ispirazione di quello già creato da Filippo Neri  con gli intenti classici della Controriforma cattolica: porre un freno alla rilassatezza dei costumi del clero e prendere in mano la formazione dei giovani. 

Nel 1768, in pieno Illuminismo, l’edificio era suddiviso in due parti: quella superiore ospitava un’accademia di disegno, quella inferiore il Collegio di medicina. 

Qui di seguito vedete la topografia del luogo, com’era più o meno al tempo dei fatti che ci riguardano (riproduzione dal sito della Regione Auvergne-Rodano-Alpi). 

La sommossa

Una delle fonti principali della nostra storia è costituita da un articolo uscito, privo di firma, sulla Revue du Lyonnais nella sua prima annata, quella del 1835 (pp. 432-436).

Domenica 27 novembre, “quando i lionesi rientravano dalla passeggiata” sul quai de Retz, di fronte al Collegio di medicina, alcune donne (che dunque la fonte considera il punto di partenza delle dicerie) 

si fermarono, quasi per dire: “ecco, dunque, come si dice, il posto dove si dissanguano vivi i bambini”.

Si sarebbero formati via via dei capannelli, ma inizialmente “innocui”, in cui si discuteva pacificamente e con opinioni diverse. 

D’un tratto si disse che proprio in quel momento un bambino era stato strappato a sua madre; che questo genere di rapimenti erano frequenti, e che da qualche giorno si era notato che parecchi bambini mancavano e che non se ne trovava traccia. Queste affermazioni corsero di bocca in bocca e ben presto l’allarme si fece universale. 

Dalle donne, alla folla, al ruolo del vino. 

Degli “avvinazzati”, infatti, si accendono a quei discorsi, e “comunicano alla folla i movimenti da cui sono agitati”. Ci si propone di sfondare le porte del Collegio, ma per il momento il sindaco, monsieur de la Verpillière, subito accorso, riesce coraggiosamente a impedire il passaggio alle vie di fatto. Prende con sé alcuni facinorosi, li fa entrare nel Collegio e li accompagna in giro per i locali, per mostrare che non c’è nessun bambino imprigionato nell’edificio.

Ma nel frattempo la situazione precipita. Gruppi di ragazzi sfondano la porta dell’adiacente scuola di disegno asserendo che vi è detenuto un loro compagno e devastano i locali. Gettano mobili e suppellettili dalle finestre e tutto viene dato alle fiamme in un rogo acceso presso le sponde del Rodano, che scorre lì accanto. 

La folla accorre urlando incontrollabile, non solo sul quai de Retz, ma anche nelle strade vicine. 

Si dà fuoco anche alla porta della panetteria dei padri dell’Oratorio, giacché si pretende che vi abbia dato asilo ai medici; il popolino domanda a gran voce che gli siano consegnati.

Intanto i Consoli, sotto la guida del sindaco, Louis Vitet, radunano unità di armati. Una compagnia di guardie riprende a fatica i locali della Scuola di disegno. La folla li bersaglia con una sassaiola. Quelli rispondono a colpi di moschetto, e cadono i primi morti e feriti. Alcune fascine sono incendiate davanti alle porte del Collegio nell’intento di dar fuoco all’intero edificio. Accorrono nuove truppe, più numerose delle prime, accolte dal lancio del pavé disselciato. La folla viene dispersa dopo duri scontri e un fuoco intenso. L’ordine è ristabilito, ma a quale prezzo!

Circa trecento individui furono uccisi, e si ebbe un numero più alto di feriti e di storpiati. Alcuni furono arrestati e consegnati ai tribunali. Ecco un esempio: due malfattori che si erano distinti nei disordini furono condannati alla forca. I disgraziati erano tuttavia cento volte meno colpevoli di quelli che avevano eccitato l’agitazione del popolo, e come dice Prost de Royer (il capo della polizia cittadina, N. d. A.), se si erano distinti è soltanto perché il popolo di cui facevano parte aveva perso la testa. 

Questa fonte accredita dunque un bilancio spaventoso: trecento morti, centinaia di feriti, condanne a morte. Quanto sia attendibile, è difficile a dirsi: gli studiosi moderni parlano di cifre molto più contenute.

Un’altra cronaca

Su quei fatti tragici disponiamo però di un’altra fonte di rilievo: la corrispondenza “fra un magistrato e un gentiluomo del Beaujolais” che fu pubblicata come parte di una “Petite chronique lyonnaise” da Louis Morel de Voleine sulla Revue du Lyonnais (vol. II, n. s., 1851, pp. 274-276).

Secondo de Voleine i disordini erano cominciati verso le quattro del pomeriggio: cinquecento persone armate di asce avevano sfondato le porte del Collegio di medicina e della Scuola di disegno perché pensavano vi fossero detenuti bambini da dissanguare. Soprattutto, questa fonte ci fornisce un altro dettaglio di rilievo: la scoperta di cadaveri usati nelle lezioni di anatomia aveva fatto crescere la rabbia della folla.

Le autorità si radunano nella sala della Prefettura. Padre Langlade (un oratoriano, N. d.A.), più morto che vivo, crede che si vogliano vendicare per l’espulsione dei gesuiti. La guardia, gli archibugieri e una compagnia franca finalmente arrivano. Da parte loro, i congiurati, dopo aver distrutto, bruciato e devastato tutto nella Scuola di medicina, vogliono penetrare oltre e attaccano la casa dei Padri ed il pensionato. Sfondano un grosso muro ed entrano nei corridoi minacciano d’incendiarli. Qualcuno è arrestato. Uno, interrogato su quella frenesia, grida: “ah, è stato uno sbaglio!”, e un oratoriano: “padre, confessatemi, e poi che mi si impicchi!”. Lo sarai domani, gli replica monsieur de Bacot (un intendente finanziario di Lione, N. d. A.)

I ragazzi del pensionato scappano spaventati, i soldati li scambiano per rivoltosi e solo i religiosi impediscono che si tiri anche su di loro. Una carica alleggerisce la pressione dei rivoltosi, cadono morti e feriti. Decine di facinorosi sono arrestati. Nel pieno dei disordini, dice la fonte, qualcuno aveva gridato che bisognava anche bruciare gli Oratoriani e il palazzo dell’arcivescovo, che li proteggeva.  

Le voci: dai medici sadici al principe monco

Il giorno dopo, scrive la Revue du Lyonnais nel suo primo articolo (quello del 1835), in città non si trovò un medico, sebbene la situazione fosse tornata alla calma. Le autorità chiesero ai cittadini, per placarli, di denunciare con la massima urgenza qualsiasi scomparsa recente di bambini, ma non pervenne alcuna segnalazione, neppure dai dintorni. L’arcivescovo Antoine de Malvine de Montazet domandò ai parroci di fare il possibile per dissipare le dicerie, e molte omelie furono pronunciate la domenica successiva dai pulpiti.

La scuola di disegno poté riprendere le attività solo dopo due o tre anni. I locali del Collegio di medicina invece furono affittati a un fabbricante di bottoni, che li rimise in ordine e li usò per la sua attività.  

Pochi anni prima lo scritto di Louis de Volaine, però, nel 1847, era uscita anche una Histoire de la ville de Lyon (Guilbert et Dorier, Lione), colossale compendio del medico e bibliotecario Jean Baptiste Monfalcon. Alle pp. 825-826 si trova traccia dei fatti del 27 novembre 1768.  

Così Monfalcon ricostruiva il contenuto delle voci:

Fra il popolo circolavano voci sinistre: si sosteneva che i medici prendessero i passanti, di notte, e che li smembrassero per insegnare agli allievi come trattare le fratture; si diceva che dei bambini fossero rapiti e dissanguati vivi. 

Dopo aver anch’egli accreditato la cifra di trecento morti, dava un’altra spiegazione per l’origine dei tumulti:

Sembra che il custode della scuola, importunato dai bambini del quartiere, li minacciasse brutalmente di farli dissanguare, e che si pretendesse che uno degli insorti aveva riconosciuto il cadavere di suo fratello morto all’ospedale e trasportato in quel posto per servire da cavia. 

Come abbiamo già accennato, rispetto all’ecatombe dei 300 morti, fonti moderne tendono a ridimensionare la portata – sia pur assai grave – di ciò che accadde. 

Nel 1961, sul numero 1 dei Cahiers Lyonnais d’histoire d’histoire de la médecine, il medico Jean Lacassagne pubblica “Le College de médecine et l’émeute populaire du 1768”, in cui dà un bilancio di sette morti e una trentina di feriti. 

Però è in quello che è considerato un piccolo capolavoro storiografico, il libro di Maurice Garden Lyon et les Lyonnais au XVIIIe siècle (1970) che emerge (pp. 583-584) la voce più estrema e forse più interessante che avrebbe avuto vita nei giorni della rivolta, quella che riferisce anche Delumeau e che abbiamo ricordato in apertura. I padri oratoriani, si diceva, ospitavano un principe monco e 

tutte le sere, intorno al Collegio, si portavano via dei bambini ai quali si tagliava un braccio per provarlo al supposto principe.

Garden colloca questo ed altri moti in periodi di crisi economiche e di forti rialzi dei prezzi, con un gran numero di lionesi ridotti alla fame da un mese all’altro. 

L’eco e le conseguenze dei fatti

La gravità dei disordini è testimoniata da note come quella che si può trovare in questo archivio cittadino: nel 1770 un risarcimento di 3000 lire francesi è deliberato dal governo locale a uno dei direttori dell’accademia di disegno, come indennizzo per i danni subiti. 

L’eco fu comunque enorme: lo storico della medicina Guy Ledoux-Lebard ha descritto un’illustrazione che circolava a suo tempo e che voleva rendere evidente la portata dei tumulti (in Histoire de la médecine, numero speciale 4, 1961, pp. 94-95). Jacques de Flesselles, intendente cittadino, il 24 dicembre 1768 scrisse un rapporto al ministro “circa un moto contro il Collegio di medicina, sospettato dal popolo di dissanguare dei bambini”.

I moti lionesi del 1768 sono meno famosi di quelli parigini della primavera 1750. In quell’occasione, per un periodo di tempo prolungato, nella capitale e in altre città circola la voce che alcune carrozze rapiscano bambini da sgozzare: Luigi XV ha la lebbra e per guarire deve fare il bagno nel sangue degli innocenti. A farne le spese è un certo Labbé, che lavora per la polizia, visto da alcune donne mentre attacca bottone con dei bambini. La folla lo preleva, lo deposita davanti alla casa di un commissario di quartiere, ma poi, non ricevendo soddisfazione, si fa giustizia da sé. Una voce dalle conseguenze devastanti, ricostruita dagli storici Arlette Farge e Jacques Revel nel volume La logica della folla (Laterza, 1989) e che si inserisce in un solco di altri episodi simili. La rivolta di Lione, tuttavia, fu probabilmente tra le più cariche di conseguenze. 

La paura dei rapimenti di bambini continua ad attirare grande attenzione da parte degli studiosi di voci e di leggende contemporanee. Delle ondate italiane più recenti di dicerie simili si può leggere qualcosa qui e qui; ma panici collettivi analoghi, spesso con conseguenze più gravi, hanno riguardato nel tempo buona parte del mondo. Soltanto nel corso del 2019, gravi disordini dovuti alla circolazione voci si sono verificati in India, nello Sri Lanka e nel Myanmar. E tra le leggende legate ai rapimenti, compare ciclicamente anche quella sul presunto traffico d’organi. 

Se questo può essere in qualche modo comprensibile nel 2019 – quando, cioè, i trapianti sono ormai routine – è curioso pensare che già nel Settecento si potesse pensare a “parti di ricambio” per le mutilazioni dei ricchi e dei potenti. In un certo senso, la leggenda ha precorso i tempi: nella fantasia popolare, i trapianti di organi erano già “reali” oltre 250 anni fa. 

Immagine in evidenza: Lione assediata dall’esercito francese nel 1793. Incisione su cuoio, Parigi, fine XVIII secolo.

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