Ritrovato il mitico “anello mancante”?
Oggi parliamo di evoluzione. E, quando si parla di evoluzione tutti corriamo con la mente agli anni scolastici, delle elementari o delle superiori che siano. La maestra o la professoressa ci avevano spiegato come l’uomo è sceso dagli alberi per intraprendere il suo cammino evolutivo che lo ha portato dalla savana africana alla conquista del mondo intero.
Molti di noi non hanno più avuto a che fare con l’argomento e quindi le nostre conoscenze non sono progredite di pari passo con la ricerca.
Per questo, quando si parla di evoluzione umana, molti hanno l’idea che sia simile ad una scala, dove diverse specie si sono susseguite durante la storia, in modo lineare, fino ad arrivare a noi: Australopithecus, Homo habilis, Homo erectus, Homo neanderthalensis, Homo sapiens.
Come i gradini di una scala. Ormai da tempo gli scienziati sanno che l’evoluzione somiglia di più ad un cespuglio, in cui diversi rami si dipartono e vanno in direzioni diverse. Il numero di specie che conosciamo è aumentato notevolmente tanto che non si parla più di Homo habilis, ma di Early Homo, proprio perché abbiamo diverse specie che sono vissute nello stesso periodo di tempo negli stessi luoghi.
Questa idea dell’evoluzione come scala, però, ci ha condotti al radicamento di alcune idee che si sono rivelate sbagliate, come quella dell’anello mancante. Nel XIX secolo, gli scienziati fecero un semplice ragionamento: guardiamo gli uomini e le scimmie di oggi, e capiamo che in qualche modo dobbiamo essere parenti. Quindi, nella preistoria ci deve essere stato un antenato comune con caratteristiche simili sia a noi sia alle scimmie moderne.
Visto che all’epoca si stava appena cominciando a scoprire i primi ominini fossili, si parlò di anello mancante nella catena dell’evoluzione. Questo antenato fu chiamato Pitecantropo. Lo si immaginava come uno scimmione con un’andatura curva e ciondolante ma il cervello da uomo (spoiler: non è mai stata trovata una specie di questo tipo).
Successivamente vennero alla luce molti altri resti e si identificarono molte specie di ominini fossili più o meno recenti, e gli scienziati si convinsero che in realtà l’andatura eretta si era sviluppata prima del cervello. Il più antico ominino che secondo alcuni studiosi appartiene solo al nostro ramo evolutivo fino ad oggi scoperto sarebbe da identificarsi nell’Ardipithecus ramidus: risale a 4,4 milioni di anni fa e camminava già eretto su due piedi, in un modo molto simile al nostro.
Comunque stia la questione appena accennata, a quel punto gli scienziati si sono posti però un’altra domanda: come mai specie che prima erano arboricole e si muovevano da un albero all’altro, poi diventarono bipedi? La risposta non è facile, anche per la scarsità di ritrovamenti che testimonino questo passaggio.
Osservando proprio Ardipithecus ramidus, qualcuno ha però proposto che l’ultimo antenato in comune con le scimmie fosse dotato di quadrupedismo arboreo, mentre altri sostengono che il bipedismo si sia evoluto da antenati che si muovevano con un movimento sospensorio.
E qui finalmente arriviamo alla notizia di oggi. Nelle scorse settimane molti giornali (ad esempio La Stampa) hanno riferito una notizia su una scoperta fatta in Germania. E, come al solito, sulla stampa generalista sono comparse tutte le classiche parole chiave che associate a scoperte di questo tipo: “trovato l’anello mancante”, “bisognerà riscrivere i libri di scuola”, ecc…
Ma qual è l’importanza di questa novità e cosa può dirci del nostro passato?
La scoperta è stata pubblicata il 6 novembre su Nature sotto il titolo “A New Miocene Ape and locomotion in the ancestor of great apes and humans” ed è dovuta alla paleoantropologa Madeleine Böhme ed altri suoi colleghi. In Germania, e più precisamente nella regione di Allgäu, in Baviera, sono stati trovati dei resti appartenenti a scimmie del Miocene e risalenti a 11,62 milioni di anni fa, cioè proprio al periodo nel quale si stima che sia avvenuto il passaggio al bipedismo. Questa nuova specie descritta nello studio uscito su Nature è stata chiamata Danuvius guggenmosi (in onore del fiume Danubio e della relativa divinità celto-romana e dell’archeologo dilettante bavarese Sigulf Guggenmos, scomparso nel 2018).
Si tratta di un ritrovamento molto importante, perché riguarda gli scheletri di quattro individui abbastanza completi da poterne descrivere la morfologia degli arti, della spina dorsale e delle proporzioni del corpo.
Il Danuvius guggenmosi era di taglia piccola, simile ad un moderno bonobo. In questa immagine, presa a scopo illustrativo dall’articolo di Nature, ecco alcuni campioni dentali e craniali del Danuvius.
Anche la proporzione tra gli arti era simile a quella dei bonobo. Invece la morfologia della tibia era comparabile a quella degli ominini. La combinazione degli attributi delle braccia e delle vertebre di questa specie ha portato gli scienziati ad ipotizzare un nuovo metodo di locomozione che potrebbe essere proprio alla base del bipedismo. Questo meccanismo è stato definito extended limb clambering e presuppone per l’andatura un eguale contributo degli arti posteriori ed anteriori. I piedi erano piatti e orizzontali per aggrapparsi ai rami leggermente inclinati con il forte alluce. Le ginocchia venivano abitualmente estese e anche i gomiti erano capaci di una flessione completa. Le mani erano forti per sopportare una sospensione.
Il nuovo modo di spostarsi descritto nell’articolo dunque, combinava caratteristiche tipiche della sospensione e del bipedismo, cosa che fornisce alcuni indizi su come doveva camminare l’antenato comune tra noi e le scimmie attuali.
Nell’immagine in evidenza: Homer Simpson, vertice dell’evoluzione della specie.
Sigulf Guggenmos non è scomparso, è morto.