Misteri vintage

Il bicchiere spiritato di Mineo

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo 

Una casa infestata dagli spiriti, sì, possiamo concederla… Ma un bicchiere, diciamo noi? Un bicchiere? Eppure per alcuni mesi, nel 1930, un semplice oggetto di questo tipo diventò famosissimo, riuscendo a catalizzare le attenzioni di un bel pezzo di mondo scientifico e occultistico dell’epoca. Questa è la la storia del bicchiere spiritato di Mineo, paese di cinquemila anime sui monti Iblei, in provincia di Catania, ma che negli anni ‘30 doveva contarne almeno il doppio. A darne notizia fu dapprima il Corriere della Sera del 28 settembre 1930:

Uno strano fenomeno avviene nel vicino paese di Mineo, nella casa abitata dalla famiglia del sig. Giuseppe Zimbone in via Paolo Mancia: un bicchiere di tanto in tanto si muove sulla lastra di marmo del cassettone su cui, insieme con altri bicchieri, riposa capovolto.

Inutile a dirlo, il popolino aveva subito dato la colpa agli spiriti e al diavolo, mentre alcuni scienziati, più concreti, si erano messi alla ricerca di cause più convincenti – o, almeno, convincenti per il quadro plausibile al tempo. Il fenomeno aveva attirato l’attenzione del professor Corrado Luigi Guzzanti (1852-1934), “appassionato studioso di fisica”, sismologo e direttore dell’Osservatorio di Mineo, che lui stesso aveva fondato nel 1882. Come avveniva spesso all’epoca, la struttura si occupava di misurazioni meteorologiche e sismografiche al tempo stesso, che si pensavano ancora legate. Guzzanti aveva anche intrapreso un’interessante collaborazione con le lavandaie del paese, che tutti i giorni misuravano la temperatura delle acque quando portavano i panni al fiume. 

Ad ogni modo, nel 1930 il nostro studioso aveva già settantotto anni, e di cose doveva averne viste parecchie. Ma mai un bicchiere spiritato. Così si era recato sul posto e aveva constatato che, in sua presenza, il vetro si era lentamente appannato fino a “coprirsi come di rugiada”, in analogia a ciò che accadeva su uno degli strumenti di uso comune al tempo in fisica, l’igrometro a condensazione di Chistoni. Poco dopo era avvenuto il miracolo: il bicchiere si era mosso da solo, scivolando per tutta la lunghezza della lastra di marmo e fermandosi solo sul bordo. Il fisico siciliano aveva riprovato l’esperimento asciugando il bicchiere, aveva constatato che si ripeteva, e a quel punto aveva raccolto l’acqua trasudata “per ulteriori analisi”. 

Ma sul caso era stato interpellato anche un altro studioso: si trattava del metapsichista Eugène Witry, dell’Istituto Tunisino di Studi Psichici: per lui quella in atto era senz’altro

un’azione dipendente da uno sdoppiamento spontaneo del corpo astrale di uno dei familiari.

Però – ovviamente – ci voleva anche l’influenza dell’ambiente, come 

lo stato igrometrico, la ventilazione, come forse anche il magnetismo proprio e caratteristico del vetro e l’influenza degli astanti.

Qualunque cosa potessero significare queste cose mescolate senza pensarci troppo, il giornale concludeva scrivendo che il bicchiere aveva attirato le attenzioni di parecchi altri studiosi di metapsichica, che avevano scritto per avere informazioni e per suggerire esperimenti. 

Proprio per questo, il giorno successivo il Corriere della Sera tornava sull’argomento in maniera più ampia: il popolo degli scienziati si era mosso più massicciamente e cominciavano a fioccare i primi pareri autorevoli. Un certo professor Isvara, ad esempio, si era recato nell’abitazione dei proprietari del bicchiere, aveva osservato il fenomeno del “sudore” e del successivo scivolamento (a suo dire “innegabile”, né frutto di suggestione collettiva), e aveva steso una relazione. Purtroppo la “deplorevole opposizione della famiglia” non aveva permesso semplici esperimenti come quello di prendere il bicchiere e vedere se si muoveva anche su un’altra lastra o su altro materiale. E questo a causa di una superstizione: si trattava dell’eredità d’un defunto, che doveva continuare a stare dove era sempre stato, pena “qualche sciagura”. 

Isvara concludeva, fiducioso nella trasposizione del linguaggio della fisica newtoniana della forza nel regno scivoloso dell’occulto:

Il fenomeno se non è generato da un’energia fisica ignota potrebbe essere originato da un’esteriorizzazione della forza neuropsichica di qualche individuo abitante nella casa e dotato inconsciamente della non comune facoltà di agire sopra la materia e sopra oggetti inanimati. Simili fenomeni di esterioramento psico-dinamico non sono nuovi negli annali della metapsichica e furono controllati e studiati da uomini di scienza come Richet, Flammarion, Morselli ed altri. Sarebbe interessantissimo studiare i componenti della famiglia a uno a uno al fine di individuare la persona generatrice inconscia dell’invisibile forza determinante il misterioso fenomeno.

Insomma, qualcuno nella famiglia poteva essere un medium a sua insaputa. Chi? Per scoprirlo il professor Guzzanti aveva costruito “un semplice strumento regolatore del dinamismo psichico”, riferiva La Stampa del 30 settembre (e qui noi saremmo curiosissimi di capire come potesse essere fatto uno strumento tanto prodigioso: i dettagli latitano). Di fronte a medici, altri specialisti e allo stesso Guzzanti, scriveva il giornale torinese, il professor Isvara aveva messo lo strumento in moto rotatorio usando solo la sua forza di volontà. E avrebbero voluto far ripetere lo stesso esperimento ai proprietari del bicchiere, se non fosse che questi si erano scocciati e avevano chiuso la porta a ogni ulteriore indagine. 

Per fortuna, però, qualche piccola prova avevano fatto in tempo a farla. Il professor Isvara, era riuscito a piazzare una lastra di vetro tra il marmo e il bicchiere, e aveva constatato che il fenomeno si ripeteva allo stesso modo (cosa che, almeno a suo dire, permetteva di escludere la forza elettromagnetica come causa del fenomeno).

Inoltre, alla processione degli studiosi si erano aggiunti il professor Francesco Galvano, dell’Istituto di Fisica Università di Catania, e il suo nuovo assistente. Anche loro avevano constatato lo scivolamento, avevano chiesto inutilmente ai proprietari di portare il bicchiere su un altro mobile, ed erano ripartiti promettendo di tornare con “una macchina pneumatica per far operare il bicchiere nel vuoto e altri apparecchi di fisica occorrenti alla bisogna”. 

Non erano gli ultimi interessati nemmeno questi: a parte gli osservatori de visu, decine di persone dall’Italia e dall’estero avevano scritto a Guzzanti, per chiedere “notizie, relazioni, pareri”. Tra questi, raccontava sempre La Stampa, c’erano nomi importanti:

Le lettere arrivate al prof. Guzzanti sono quelle del prof. Carlo Del Lungo del Regio Istituto Tecnico di Padova, del prof. Proviero, direttore dell’Osservatorio geofisico di Trento (Antonio Proviero, geofisico, N. d. A.) e infine del prof. Isgrao (forse da leggersi come Isgrò, N. d. A.) dell’Istituto di ricerche scientifiche del Cairo.  

Quest’ultimo in particolare aveva manifestato il desiderio di venire a Mineo, e Guzzanti era corso a telegrafare per rassicurarlo che sì, il fenomeno continuava. Insomma, il bicchiere era diventato famosissimo e nelle università non si parlava d’altro.

Ma ecco che a scompaginare i giochi arrivò Alessandro Amerio (1876-1965), nativo di Nizza Monferrato, nell’Astigiano, dal 1928 docente di fisica sperimentale presso il Politecnico di Milano. A lui si erano rivolte alcune persone che, dalla Lombardia, avevano provato a replicare il fenomeno: e ci erano riuscite, anche se operando in circostanze “non perfettamente uguali ma poco dissimili” da quelle esposte nei giornali siciliani. 

Il Corriere della Sera del 1° ottobre riferiva gli esperimenti dell’illustre professore:   

[…] il prof. Amerio, fatti portare in uno dei luminosi e modernissimi gabinetti del Politecnico una lastra di marmo, un bicchiere comune, ma regolarmente molato al bordo, ha acceso un becco Bunsen a gas. Prima condizione per la riuscita del fenomeno: una leggerissima inclinazione della lastra di marmo, inclinazione non controllabile dalla vista, quale si verifica nella maggioranza dei casi sulle superfici dei mobili domestici. Seconda condizione: un sottile strato d’acqua sul marmo, come può essere dato da una forte umidità atmosferica. Sulla lastra fu posto, rovesciato, il bicchiere, e lo si raffreddò con un po’ di ghiaccio. Il fenomeno di Mineo si inizia con una leggera appannatura del recipiente che poi si copre interamente di rugiada. Scientificamente – ha detto il prof. Amerio – ciò si può spiegare solo con una diminuzione della temperatura, che condensa in liquido il vapore acqueo sospeso nell’aria. Infatti, opportunamente raffreddato, anche il bicchiere milanese si è appannato celermente nella superficie interna. 

Rimaneva da spiegare il movimento spontaneo: a provocarlo, secondo il professore milanese, bastava però un aumento di calore di alcuni gradi. Di fronte al giornalista, il professore aveva avvicinato per alcuni istanti il bicchiere alla fiammella del gas, ed ecco che questo aveva cominciato a muoversi, prima con alcuni leggeri sussulti, poi scivolando lentamente fino al bordo della lastra che, come avevamo detto, era umida e leggermente inclinata. 

La spiegazione è questa: con il calore, l’aria contenuta nell’interno si dilata e la maggior pressione tende a tenere sollevato sul velo d’acqua il bicchiere. D’altra parte l’acqua stessa, contornando tutto l’orlo del recipiente, garantisce la perfetta tenuta del bicchiere rovesciato. Di quando in quando l’aria interna, che tende a liberarsi, solleva lievemente l’orlo, imprimendo un piccolo urto al bicchiere, il quale, tenuto, come si è detto, quasi sospeso sull’acqua, scivola facilmente sulla superficie impercettibilmente inclinata del marmo, nel senso della inclinazione stessa. Infine, al limite della lastra, il bordo del bicchiere viene a sporgere nel vuoto per qualche millimetro, ciò che basta a liberare l’aria in pressione e ad interrompere il movimento. 

Di fronte al giornalista del Corriere, il bicchiere milanese era stato più volte riscaldato e raffreddato, e più volte si era mosso. Certo, Amerio non aveva saputo spiegare come potessero esserci differenze di temperature così repentine nella stanza di Mineo. Però anche il bicchiere milanese si era mosso, “senza spiriti né magia”. 

Ce n’era abbastanza per farsi venire qualche dubbio. 

Per alcuni giorni la polemica si fermò, come se le analisi del fisico milanese fossero state un colpo un po’  troppo duro da digerire. Soltanto il 5 ottobre tornarono a parlarne sia il Corriere della Sera sia La Stampa. La famiglia Zimbone aveva deciso che ne aveva abbastanza: per loro il fenomeno era causato dalla buonanima del defunto. A cosa servivano tutti quei controlli cui i professoroni volevano sottoporlo? E quindi si era opposta a ogni ulteriore indagine, con sommo disappunto di tutti quelli che si erano appassionati al caso. Che erano sicuramente tantissimi: il professor Guzzanti, che per primo aveva reso noto il fenomeno, continuava a ricevere lettere ricche di teorie e consigli, anche dall’estero. Tanto per fare un esempio: il professor Eugène Witry, il già menzionato esponente dell’Istituto Tunisino di Studi Psichici, scartava l’ipotesi spiritica e accusava “quei movimenti spontanei di oggetti inanimati che furono a lungo oggetto di studio da parte di Cesare Lombroso”. Per lui, quindi, non c’entrava lo spirito di un defunto, ma, ancora una volta, secondo l’alternativa “moderata” dei credenti nel paranormale, una di quelle particolari forze di cui sembravano dotate alcune persone che con il loro “influsso incosciente” riuscivano a provocare fenomeni telecinetici sugli oggetti intorno a loro. Queste manifestazioni accadevano più spesso quando si era in presenza di donne, bambini e adolescenti: e forse non era un caso se nella casa di Mineo abitava anche l’ennesimo “giovinetto” che aveva già dimostrato facoltà psichiche, tanto per non farci mancare niente, mediante sogni premonitori.  

Purtroppo, come detto, la famiglia non permetteva che si facessero prove semplicissime come soltanto prendere il bicchiere e portarlo in un’altra stanza o su un altro mobile. Lo spirito del parente ne sarebbe uscito offeso E anche il consiglio di Witry, quello di provare ad allontanare per qualche giorno da casa il sospetto giovinetto, cadde nel vuoto.  

L’allusione di Witry è comunque interessante. Sembra dipingere il ritratto di una famiglia che aveva già frequentato lo spiritismo, o che almeno ne aveva conosceva i contorni. Sarebbe interessante ricostruire l’humus in cui il fenomeno fu notato e catalogato come dovuto all’influenza degli spiriti. Purtroppo nessun giornale in nostro possesso racconta le convinzioni e le esperienze delle persone che vivevano in quella casa. In compenso, grazie a due articoli de La Stampa pubblicati il 5 e il 7 ottobre abbiamo un bel ritratto della psicosi che investì Mineo. Il secondo, particolarmente interessante, è un reportage sul campo: il quotidiano torinese mandò in paese un inviato che fu in grado di raccogliere impressioni e opinioni della popolazione locale. 

Tutto il paese era in trepidazione. In piazza e nel piccolo circolo si parlava del fenomeno con circospezione e a voce bassa, “come di vicenda che dalla realtà sta per passare nell’alone del mito”. Il bicchiere era, per loro, un cattivo presagio:

Apprende il forestiero che giunga a Mineo, infatti, come i fedeli non vadano più alle funzioni; si abbia timore di uscire da casa; moltissimi soffrano di insonnia e tutti si attendino il terremoto da un momento all’altro. 

Già, il terremoto: il 28 luglio, ossia due mesi e mezzo prima, si era registrato un sisma catastrofico con epicentro intorno ad Avezzano, in Abruzzo. C’erano stati più di 1400 morti. E poi, naturalmente, era ancora vivissima l’eco della grande tragedia della fine del 1908, quella che aveva raso al suolo Messina e Reggio Calabria. Una catastrofe accompagnata da presunte profezie, presagi, dicerie, visioni e accompagnato dal sorgere di un folklore ben presente nella popolazione dell’isola. Qualcosa del genere si stava preparando a Mineo? 

Ma l’idea della catastrofe non era l’unica che circolava in paese. Il bicchiere aveva catalizzato tutti i discorsi sul presente e sul futuro:

Un paese di dodicimila abitanti, da tre mesi circa è, insomma, come angosciosamente legato alle sorti di questo misterioso bicchiere semovente, dal quale ci si attende ogni cosa, il bene e il male, il fasto e il lutto, la guarigione e la morte. Non c’è avvenimento familiare del quale non si voglia attribuire la responsabilità ad esso. Sta per morire uno di casa? Sia maledetto il bicchiere, nel nome di Gesù e di Maria. La malattia, invece, è in fase risolutiva? Lode al bicchiere, nel nome di Giuseppe e di Maria. 

Il bicchiere tutto poteva,tutto sapeva. Era diventato al tempo stesso un ambivalente bicchiere-demone e bicchiere-santo. Le donne incinte che volevano un maschio lo chiedevano a lui, e a lui si chiedevano “la buona vendemmia” e “la sciagura del nemico”. 

Nel paese, registrava il cronista, si era sviluppato anche un interesse “quasi morboso” per i fenomeni psichici. In molti si erano sottoposti alle “prove” del professor Isvara, che era probabilmente ospite della casa di Guzzanti. La Stampa non approfondiva quali fossero gli “esperimenti di psico-dinamica” messi in atto, ma ci informa che gli esiti furono “ottimi”. 

A fronte di tutto questo, la famiglia Zimbone aveva serrato la porta a conoscenti e visitatori, che erano diventati una vera e propria folla. Addirittura, c’era gente che al cospetto del fenomeno si inginocchiava, implorava grazie o si lamentava di non averne ricevute, chiedeva vendetta o ringraziava. Decisamente troppo anche per individui in perfetta buona fede. Allo stesso modo, le due “giovinette di casa Zimbone” – due ragazze di 16 e 19 anni – si erano sempre rifiutate di sottoporsi ai test di Isvara. Erano loro, secondo la voce popolare, le “benedette da Dio”, quelle che facevano in qualche modo muovere il bicchiere. Due giovani di “bellezza e di assennatezza non comune”, elevate al rango di medium o di semi-sante, ritenute in grado di elargire grazie o di rifiutarle. 

Eppure, il sottrarsi della famiglia aveva generato l’effetto contrario a quello sperato: il fenomeno ora si ammantava di un velo di mistero, diventava qualcosa di cui ormai si conosceva qualcosa, ma al quale non si poteva più assistere. Quasi il segno di un dio diventato ombroso, ma in grado di additare ogni cosa, dalla gravidanza della scrofa alla pioggia agognata o temuta. 

Non si avevano comunque dettagli su particolari fortune occorse alla famiglia Zimbone, come alcuni si aspettavano (“si vede, dunque, che il bicchiere teme l’accusa di favoreggiamento per la gente che vive sotto il suo tetto”). E anzi, tutti quelli di casa Zimbone sembravano abbastanza scocciati: 

A giudicare dalla voce irata con cui respingono i visitatori, si direbbe che gli Zimbone siano soltanto irritati dal contegno sin qui tenuto dal loro bicchiere: e che preferirebbero somigliasse ai tanti altri simili ad esso, dediti senza dubbio a meno clamorose imprese, ma ad altre più utili agli effetti dei domestici interessi. E chissà che una cera mattina non si spalanchi una finestra di casa Zimbone e non venga lanciato giù, ad infrangersi sulla strada, l’oggetto del prodigio. Si griderebbe, senza dubbio, al sacrilegio. A torto?

Questa, finora, la cronaca del 5 ottobre 1930 su La Stampa. Ma il cronista, arrivato fin lì, voleva poter vedere, almeno lui, il bicchiere. Si era recato a casa Zimbone, una “rocca impenetrabile” con porte e finestre sbarrate, con nelle orecchie l’avviso dei paesani: i più pericolosi, in quella casa, non erano affatto i cani. Questi ultimi, poi, si diceva in paese che fossero lasciati digiuni sei giorni su sette, per meglio accrescerne l’aggressività. 

Al giornalista aveva comunque aperto una donna anziana, che alle insistenze lo aveva lasciato entrare, purché lui si impegnasse a non riferire ad anima viva di essere penetrato nell’abitazione. “Impegnarsi? Certamente, il giornalista si impegnava.” La cronaca minuta, pubblicata il giorno seguente sul quotidiano torinese, è testimone della promessa mancata, ma è grazie a questa debolezza etica che abbiamo qualche ultimo dettaglio su come le cose stavano procedendo nella casa di Mineo. 

In casa l’uomo aveva trovato la signora e una delle figlie intenta al ricamo. Era lei una delle famose “giovinette” che il popolo riteneva toccate dalla grazia divina. Dissero di non voler precludere lo studio del bicchiere agli scienziati, ma di desiderare solo “un po’ di tranquillità”. 

Il bicchiere era fermo sul tavolo, e trasudava goccioline sullo sfondo di tre alti lumi a petrolio. Vicino a quello, altri tre bicchieri che non si sognavano affatto di muoversi. Poi il miracolo si era ripetuto anche di fronte all’inviato de La Stampa: lo slittamento, un lieve rumore quando il bicchiere era arrivato al capolinea, forse per effetto dell’aria che entrava nel bicchiere. Quindi l’oggetto era stato rimesso a posto. Fine della rappresentazione. Due particolari però il giornalista era riuscito ad apprendere. Primo, la scoperta del fenomeno era dovuta a una delle giovani di casa Zamboni, che se n’era accorta già tre mesi prima. Secondo, il sogno premonitore dell’altro figlio (un ragazzino di dodici anni) era avvenuto due giorni prima di quella scoperta. A lui era apparso il nonno, morto da qualche tempo, che gli aveva sussurrato:

Domattina, appena svegliato, andrai nel cortile e sotto la pietra accanto al pozzo troverai quattro numeri e cinquanta lire. Giocherai la quaterna, ma zitto. 

Sotto la pietra non era stato trovato nulla, però due giorni dopo il bicchiere aveva cominciato a muoversi. C’era una correlazione tra le due storie, quella della premonizione del lotto e quella dei movimenti del bicchiere che sudava? La famiglia Zimbone giurava di sì.

Con questa visita per il quotidiano torinese si esaurì l’interesse per la vicenda. Così per non pare sia stato per parecchi altri organi di stampa, in specie dell’Italia meridionale. Ne sappiamo qualcosa grazie al numero di dicembre 1930 de La Revue Spirite parigina (pp. 553-554): Il Mattino e il Corriere di Napoli del 5 e del 7 ottobre confermavano che Guzzanti e Galvano avevano constatato i movimenti; certo Privitera sosteneva di aver documentato con foto gli spostamenti, e si direbbe che un secondo bicchiere mobile fosse stato segnalato a Cefalù, nel palermitano (Giornale dell’Isola, Catania, 7 ottobre); il 9 ottobre La Tribuna di Roma menzionava anche un intervento del professor A. Lo Presti; sLa Voce nuova, periodico italiano di Tunisi, il 12 ottobre il dottor Paolo Mirabelli aveva discusso la spiegazione di Witry; ancora sul siciliano Giornale dell’Isola il 16 ottobre il professor Enrico Del Castillo, preside dell’Istituto magistrale di Campobasso, faceva conoscere una sua non meglio precisata “spiegazione scientifica”, mentre lo stesso giorno Il lavoro fascista usava toni ironici sulla vicenda, e così via… 

Al nord, a parlarne ancora in maniera ampia era stato il Corriere della Sera l’11 ottobre, ma lo faceva sottotono: con la cessazione degli spettacoli pubblici il clamore per la vicenda almeno in apparenza si stava smorzando. Solo, si riferiva che un altro figlio degli Zimbone – un giovane studente liceale sui vent’anni, Vincenzo – aveva provato a spostare il bicchiere su un altro canterano e su un comodino sormontato da un lastrino di marmo: lo scivolamento si era riprodotto anche lì. Sul coperchio in legno di una macchina da cucire, invece, il bicchiere non si era spostato, “ma lo si vedeva fare sforzi, con piccole, brusche spinte”. Il giornale precisava poi che il giovane era spesso assente da casa e che il fenomeno era avvenuto anche senza la sua presenza. Il bicchiere, a quanto pare, negli ultimi tempi si era mostrato ancora più attivo che in passato. Ad osservarlo erano arrivati anche certi professori “Barcellona e Tucci da Catania”, mentre Guzzanti aspettava ancora un invito per continuare i suoi studi: si proponeva di sottoporlo a esperimenti elettroscopici, pesarlo con bilance di precisione prima e dopo lo slittamento e provare a farlo muovere nel vuoto. 

Si direbbe che questi tentativi abbiano prodotto dei risultati. Ancora una volta qualche dettaglio lo apprendiamo dalla Revue Spirite (numero di gennaio 1931, p. 28). Il Giornale del’Isola del 31 ottobre e del 4 novembre aveva pubblicato due ulteriori interventi del professor Guzzanti. Nel primo caso, Guzzanti in una lettera spiegava che aveva ottenuto il permesso di mettere il bicchiere sul marmo di un altro comodino, e che dopo 25 minuti, insieme ad altre persone presenti, aveva visto comparire intorno al bicchiere una nebbia, mentre comparivano delle goccioline e per due volte compiva un piccolo movimento verso l’alto. Nell’articolo successivo Guzzanti spiegava che i movimenti sembravano essere ormai diventati poco frequenti, ma che al contempo la presenza della nebbiolina e la comparsa delle gocce erano cresciute…

Guzzanti fece anche una piccola esperienza ulteriore: prese un altro bicchiere presente sul comodino e lo immerse nell’acido solforico: dopo mezz’ora era asciutto, mentre quello “stregato” si contornava della “nebbia” e poi di umidità intensa. Per lui il “mistero” continuava.

Da quel momento, comunque, almeno per quel che sappiamo, il bicchiere uscì dalle cronache nazionali e regionali per passare sulle colonne dei giornali specializzati in metapsichica. La prima era Luce e ombra che a quel tempo usciva a Roma,  e che già nel numero di ottobre 1930, col metapsichista e psicoanalista Emilio Servadio (1904-1995), alle pagine 476-477 lamentava che tutto il bailamme intorno al fenomeno avesse ostacolato analisi più serie, seguito, subito dopo da Angelo Marzorati, direttore della rivista, forse più disincantato sulla vicenda, dato che, scriveva, la famiglia aveva posto “un bacile all’ingresso per raccogliere le offerte dei numerosi visitatori”. La napoletana Mondo occulto, invece, che recava come sottotitolo “Rivista Iniziatica Esoterico-Spiritica” nel suo numero del 1° dicembre 1930 si limitava a riprodurre alle pp. 308-309 una lettera inviata l’8 novembre dal preside della Scuola media “Carducci” di Catania, professor Oreste Pafumi, al direttore del quotidiano cittadino Giornale dell’Isola, che evidentemente si era detto scettico sulla faccenda. Nella lettera Pafumi difendeva a spada tratta la natura “misteriosa” del fenomeno, ma senza aggiungere niente di nuovo. Della Revue Spirite francese invece si è già detto.

Una storia di “presenze spiritiche” che, come tante altre volte, gira intorno al ruolo di bambini e ragazzi di famiglia. Sono loro ad avere sogni premonitori che preludono al fenomeno, sono loro a “scoprire” per primi lo spostamento del bicchiere a segnalarlo agli adulti. Il bicchiere, non dimentichiamolo, era quello del nonno, scomparso qualche tempo prima. Nei loro racconti e nei loro gesti, probabilmente è da ricercare la dinamica retrostante all’ennesimo, piccolo dramma familiare degli spiriti burloni.

Si ringrazia Roberto Labanti per alcune  delle fonti da noi utilizzate.

Un pensiero su “Il bicchiere spiritato di Mineo

  • “Così per non pare sia stato per parecchi altri organi di stampa, in specie dell’Italia meridionale. ” Procediamo con ordine: 1) al posto di “per” scriverei però. 2) Metterei un punto dopo stampa, cancellando “in specie dell’ Italia meridionale”. Intendiamoci, essendo io un credenzone, credo che la cosa sia probabile. Ma uno scettico dovrebbe portare delle prove, specie di fronte ad affermazioni che potrebbero essere considerate non politicamente corrette.

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