Riflessioni sulle dee madri della preistoria
All’inizio del dicembre scorso, sui giornali e in rete è comparsa la notizia del ritrovamento di una Venere paleolitica in Francia, nel quartiere di Renancourt, ad Amiens (ad esempio, qui, qui e qui). La statuetta, della quale le varie testate pubblicavano la foto, era stata trovata rotta in tre pezzi e poi ricomposta dagli archeologi. I giornalisti spiegavano che questi oggetti avevano ampia diffusione in Europa e che erano identificabili come dee madri collegate ai culti della fertilità.
Ai primi di febbraio, questa volta in Italia, a Biandrate, vicino Novara, emerge dagli scavi un’altra Venere, in questa occasione una statuetta seduta appartenente al Neolitico medio.
I due ritrovamenti sono stati presentati dalla stampa in modo sostanzialmente identico: entrambe erano veneri preistoriche.
A ben guardare però, le differenze ci sono.
Come sanno bene archeologi e storici, la prima cosa da fare è riportare tutti i rinvenimenti al proprio contesto. Bisogna dunque chiedersi: quando e dove sono stati ritrovati questi i due oggetti, quello francese e quello italiano?
Tanto per cominciare, a prima statuetta è stata trovata in Francia e risale al Paleolitico superiore, per la precisione al periodo gravettiano. Con questo termine si indica il diffondersi di una cultura litica nella quale compaiono lunghe lame di pietra, le gravette appunto. Un’altra caratteristica di questa fase sono proprio le statuette femminili. Diffuse in tutta Europa (in Italia se ne contano una decina) hanno spesso caratteri evidentemente marcati, come seni e pancia prominenti. Quando, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento furono trovate le prime statuette di questa tipologia (il ritrovamento della Venere di Willendorf, una delle più famose, risale al 1908), vennero interpretate dagli studiosi come dee madri collegate a culti della fertilità.
Dapprima, dunque, questa era l’interpretazione prevalente elaborata dagli archeologi. Però, dall’inizio del secolo scorso i ritrovamenti si sono susseguiti, le tecnologie di indagine sono migliorate e anche le nostre interpretazioni delle civiltà paleolitiche sono cambiate di conseguenza. Per questo, sebbene il tipo di statuetta femminile con tratti marcati continui ad essere chiamata Venere anche da alcuni studiosi, sono in molti ad utilizzare un approccio più cauto, Colpisce a questo proposito la totale assenza del termine nelle pubblicazioni scientifiche e nelle dichiarazioni degli archeologi relative a questi ultimi due ritrovamenti.
Se è vero che queste statuette presentano tratti comuni, si possono notare anche molte differenze. Per esempio, alcune sono prive di tratti somatici, mentre altre presentano una fisionomia realistica.
Il discorso è un po’ diverso se ci riferiamo invece al ritrovamento italiano. La statuetta di Biandrate, infatti, non risale al Paleolitico, ma al Neolitico medio. In questo periodo è diffusa nell’Italia del nord la cultura di vasi a bocca quadrata, così detta dalla forma caratteristica di questi recipienti. A detta cultura appartengono diverse statuette femminili abbastanza simili a quella di Biandrate, per esempio quelle provenienti dalla Arene Candide, in Liguria, che sono sedute.
Le statuette appartenenti a questo periodo, però, a partire dagli anni ‘70 sono state caricate di un ulteriore significato. Utilizzando un approccio multidisciplinare da lei messo a punto, l’archeologa e linguista Marija Gimbutas interpretò questi ritrovamenti in chiave femminista. A suo avviso, durante il Neolitico sarebbe stata presente in Europa una cultura matriarcale, pacifica che non conosceva l’uso delle armi e che adorava le dee madri, simbolo di fertilità. Le nostre statuette sarebbero proprio la raffigurazione di queste divinità. Quella società, chiamata gilanica, a partire dal V millennio a. C. fino ad arrivare all’età del bronzo sarebbe stata progressivamente fagocitata dagli indoeuropei, popolazione violenta a base patriarcale.
La ricerca ha ormai confutato tutte le conclusioni della Gimbutas. Sappiamo ormai che la società neolitica non era affatto pacifica. Sono state individuate prove di diversi massacri compiuti proprio in questo periodo in tutta Europa (per alcuni esempi, guardate qui e qui).
Grazie a questi ritrovamenti, rigorosamente analizzati nel proprio contesto, si è potuto appurare che la società di quella fase non era affatto matriarcale e che gli uomini erano connotati come guerrieri e capi. Non a caso, venivano sepolti con l’arco e con le frecce.
In più, gli indoeuropei probabilmente non erano un popolo unitario nel senso in cui oggi possiamo intendere questa parola, ma una compagine più o meno unita, piuttosto fluida, simile ai popoli germanici o delle steppe arrivati in Europa durante il Tardoantico e l’Alto Medioevo.
Ma, se le teorie della Gimbutas sono state ormai ampiamente superate, come mai ci interessa ancora parlarne?
Il fatto è che, a prescindere dal fatto che esse sono riprese più o meno integralmente da vari movimenti femministi o New Age, queste statuette sono ancora chiamate Veneri preistoriche o dee madri, accomunando sotto questa etichetta qualunque raffigurazione femminile . anche proveniente da epoche e luoghi molto diversi. Si tratta di un’attribuzione fuorviante.
Il ritrovamento di molti di questi oggetti risale ad epoche nella quali la documentazione di scavo non era rigorosa come è oggi. In parecchi casi per noi il contesto di rinvenimento è perduto. Nei casi di rinvenimenti recenti, invece, è finalmente possibile studiare gli oggetti caso per caso, per capire quale funzione le statuette potevano avere in quel momento e in quel luogo specifici.
In futuro forse ulteriori scoperte getteranno luce su questi ritrovamenti, ma per ora, in assenza di fonti scritte dobbiamo limitarci a rimarcarne la pertinenza ad un ambito rituale, senza però attribuire loro caratteristiche ulteriori delle quali non possiamo essere sicuri.
Foto in evidenza: la cosiddetta “Venere di Renancourt” (immagine Wikimedia Commons).
Buongiorno, di solito non scrivo mai a nessuno, leggo l’articolo e traggo le mie conclusioni, nel suo caso mi sono permesso un’eccezione.
L’articolo è volto a cambiare le cose non sono solo le sue riflessioni.
La verità su come vivevano i nostri antenati non la sappiamo e mai la sapremo, abbiamo delle ipotesi, tratte dai vari ritrovamenti archeologici, ma che restano sempre delle ipotesi.
Se devo scegliere, però, preferisco credere alle dee madri.
Saluti