Prarostino, 1896: le lettere degli spiriti
Giandujotto scettico n° 58 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (27/02/2020)
Quando nella storia del paranormale ci troviamo di fronte a infestazioni spiritiche, spesso le vittime si rivolgevano alle persone che più percepivano come qualificate a fronteggiare il sovrannaturale: i preti cattolici. Ma cosa accadeva quando erano proprio questi ultimi al centro delle attenzioni di uno spettro burlone? Cosa accadeva quando erano proprio le loro canoniche a essere oggetto di colpi, rumori, oggetti che si muovevano o altre manifestazioni?
Questi racconti sono abbastanza rari; non sappiamo se è perché fosse un caso più unico che raro, o se è perché invece generassero scherzi, ironie e imbarazzi (su cui la stampa, almeno quella di diretta emanazione confessionale, preferiva glissare). Ne abbiamo, in qualche caso, alcuni cenni sprezzanti, privi di dettagli.
Qualche informazione in più ci arriva invece da una vicenda che interessò un piccolo paese sulle colline, tra Pinerolo e la val Chisone. Si tratta di San Bartolomeo, frazione capoluogo del comune di Prarostino.
La prima fonte che abbiamo sulla storia di oggi è costituita da La Lanterna Pinerolese del 25 aprile 1896. In quel periodo la chiesa cattolica di San Bartolomeo era retta da un parroco, don Bertocchio, studioso di teologia, e da un curato, don Cortino, che abitavano la canonica con le rispettive donne di servizio.
La Lanterna in quegli anni era un periodico apertamente anticlericale; non stupisce, quindi, che i toni risultino particolarmente lievi e divertiti. L’articolista si firmava “Satanasso”, e senza troppi giri di parole intitolava il suo intervento Che sia un altro C.C. (ciapa c…?), abbreviazione probabilmente usata per evitare il piemontese ciapa-ciuc, ossia “acchiappascemi”, che poteva sembrare un po’ troppo denigratorio.
Datando da Prarostino, 22 aprile, la breve corrispondenza, Satanasso spiegava che da qualche giorno don Bertocchio era disturbato insieme alle sue fantesche, in casa sua, da uno “Spirito Folletto” che si dava da fare
lanciando in ore indeterminate bottiglie vuote, bicchieri, sassi, mattoni e monete di rame, meno però biglietti di banca, e più ancora delle Missive che predicono agli infelici presi di mira l’avvenire, se non daranno ascolto alle profezie in dette lettere contenute.
Come avvenisse la consegna delle lettere da parte dello spirito folletto per il momento non ci veniva detto.
Di notte tempo poi, le porte ben chiuse a chiave si aprono con un fracasso indiavolato, e taccio del resto per non far venire la pelle d’oca ai gentili miei lettori.
Lo show, più che spaventare, sembrava divertire gli abitanti dei dintorni:
Intanto va benone per gli osti che approfittano del numeroso concorso dei curiosi per vendere il loro rinomato buon vino.
La Stampa di due giorni dopo, 27 aprile, forniva ulteriori dettagli. Stando a quello che aveva appreso un corrispondente da Pinerolo, era già dal mese di febbraio che nella canonica si erano cominciati
a sentire di notte degli strani rumori, poi in camere disabitate comparivano pietre, mattoni, qualche moneta di rame della Repubblica Argentina, e tutto questo di ignota provenienza.
Si apprendeva così anche qualche altro dettaglio in più sulle lettere dello spirito a don Bertocchio:
poi pervenivano lettere di curiosa minaccia, nelle quali gli si imponeva di comportarsi in un certo modo, altrimenti gli spiriti gli avrebbero tagliato le coazze del campanile.
L’articolo proseguiva informando che lo spirito “toscaneggiante” (non si capisce bene perché toscanceggiasse)
in questi giorni è apparso assai spesso fra le risa di una parte della popolazione valdese e la santa paura delle donne di San Bartolomeo.
Quest’ultimo è un cenno interessante, perché è plausibile alluda a tensioni sociali e culturali fra gli abitanti valdesi (Prarostino è sede di una chiesa valdese assai numerosa) e quelli cattolici. Tuttora i due luoghi di culto sono posti in quella località a poche decine di metri l’uno dall’altro. Forse questa vicenda leggera potrebbe inquadrarsi nel contesto delle dinamiche religiose intercomunitarie, a quel tempo ancora vivaci. D’altronde, circa i lanci di monete argentine, in quei decenni il Paese sudamericano era oggetto di forte immigrazione da parte della gente del posto. Molti se le facevano mandare per posta, come curiosità e per dono, dai parenti lontani.
Come succedeva sovente in quei decenni, coi santi si scherzava, ma coi fanti un po’ meno. Proseguiva infatti il resoconto:
La morale si è che se ne occupò anche l’Autorità giudiziaria ed a visitare lo spirito vennero mandati i carabinieri, che giova sperare lo condurranno a far dello spirito in luogo più opportuno, ridonando la tranquillità ai buoni abitanti di San Bartolomeo.
Visto che si era mosso il gigante dell’informazione regionale, La Stampa, il 1° maggio La Lanterna passò ai grossi calibri. Finalmente, grazie a un’inchiesta fatta sul posto, si capivano di più i meccanismi dietro ai lanci di sassi, bottiglie, gli arrivi delle lettere e così via.
C’era da stupirsene? Nella canonica abitavano “due servette”. Una si occupava delle faccende domestiche di don Bertocchio, l’altro di quelle di don Cortino, “vecchietto arzillo di circa settant’anni”. Quest’ultima era “un pezzo di grazia di Dio”, in grado di agitare i giovinotti della zona…
Il risultato, a quanto pare, era che lo spirito folletto aveva sviluppato una grande gelosia e invidia nei confronti dei due preti, e quindi da due mesi scriveva lettere in pessimo italiano
che aveva cura di attaccare con una cordicella attorno ad un sasso, che veniva poi lanciato nel cortile, su per le scale e talvolta giù dal camino, quando non entrava nella stanza fracassando i vetri. Il buon parroco D. Bertocchio afferma di avere col curato ricevuto, con quell’economico mezzo postale, una cinquantina di lettere, contenenti le più atroci calunnie, con l’ordine formale e perentorio di licenziare le graziose perpetue, cosa che lo indusse a farne un bel falò in mezzo al cortile…
Afferma ancora il parroco di aver tentato più volte d’acchiappare lo spirito facendo mettere di sentinella attorno alla casa parecchi contadini, armati di nodosi randelli, ma il maligno folletto si faceva beffe di tutti e continuava come prima, colle più grasse risa degl’increduli valdesi abitanti nella borgata e lo spavento dei poveri cattolici, le cui preghiere a nulla valevano appo tutti i santi del paradiso. Le porte dell’inferno prevalevano. Lo spirito o gli spiriti gettavano nel cortile quintali di sassi, porte ed imposte, come se nulla fosse.
Ma ecco raccontata per bene anche la questione della comparsa delle monete, o almeno di alcune di esse.
Una volta avendo rotto un vetro ed essendosene lagnato il parroco colla serva, questa trovava all’indomani su per le scale una lettera con 20 centesimi, in compenso dei danni recati, ma avendo il rev. D. Bertocchio trovata troppo esigua la somma, all’indomani ancora si rinveniva nel medesimo luogo un supplemento di 10 centesimi (un dubbione d’America) accompagnato da un bigliettino chiedente graziosamente mille scuse.
Il pezzo allude con discrezione a un qualche ruolo di una delle due domestiche, per le manifestazioni spiritiche in corso. Era dopo aver detto a lei che i soldini per il vetro rotto erano pochi, che era arrivato il resto…
Infine i due reverendi non sanno trovare una spiegazione allo strano fenomeno, e le due servette affermano abbassando modestamente gli occhi essere la volontà di Dio. Povero Signore, che hai tanto tempo da perdere in pettegolezzi e miserie umane! Che hai bisogno dello spago per legare le tue lettere ad un sasso, che ti mostri così spilorcio da pagare 30 centesimi solamente con dubbioni d’America, un vetro rotto che vale almeno due lire.
Il cronista, evidentemente, si divertiva. Si direbbe poi che le dinamiche interpersonali nella zona fossero assai più complesse di quello che ci appare e che attori di vario genere discutessero fra loro quello che stava accadendo. Leggiamo questo ulteriore, sorprendente particolare:
Una volta ancora il parroco si trovava a lieto convegno con altri colleghi ad Inverso-Porte [a pochi chilometri da San Bartolomeo, N. d. A.]; ebbene il credereste? lo spirito seppe riferire per filo e per segno tutta la conversazione tenuta, lamentandosi però che a suo riguardo egli si fosse espresso con sentimenti poco amichevoli.
Mentre i curiosi affluivano a centinaia da paesi vicini come San Secondo e Bricherasio, il parroco si rivolse al vescovo di Pinerolo, il quale lo consigliò di rivolgersi alle autorità. Il sindaco di Prarostino, dal canto suo, constatato il clamore, chiese l’intervento dei Carabinieri.
E infatti costoro, dopo una visita alla casa, un esame alle serve, dopo esortazioni o minacce profferite a mezza voce contro gli spiriti, che certamente nell’aria stavano a sentirli, e leggevano nel loro pensiero essere essi disposti a metter fuori le manette per legarli, riuscirono a ricondurre la calma e la tranquillità negli abitanti eccitati, con rincrescimento però degli albergatori locali…
Il 3 maggio un minuscolo trafiletto de La Stampa informava che l’intervento della forza pubblica aveva fatto cambiare aria allo “spirito folletto”. Da qualche giorno tutto era definitivamente “tornato in quiete” (ed è interessante la scelta di quest’espressione, quasi che i movimenti di pietre, bottiglie e monete avessero smosso per un po’ anche gli equilibri delicati della piccola San Bartolomeo di Prarostino, oltre che gli oggetti).
Quanto alle lettere, ormai disponiamo di un buon numero di casi a indicare che l’idea, al tempo, non era affatto improbabile. Al tempo dello spiritismo classico, fra metà Ottocento e primi decenni del Novecento, chi impersonava i fantasmi non disdegnava di mandare anche messaggi – divertenti, minacciosi, profetici, eccetera – facendo arrivare lettere e biglietti ai destinatari prescelti. Il caso della canonica di San Bartolomeo di Prarostino è farsesco, ma proprio questo ci dice quanto le persone comuni avessero in testa questa possibilità.
Del resto, proprio nel Piemonte di fine secolo ci eravamo già imbattuti nella corrispondenza spiritica. Era accaduto a Cuneo nel 1879, nella casa del professor Squinabol, e più tardi, nel 1902, in una sartoria di piazza Statuto a Torino.
Il nostro rimpianto è che di quelle letterine e di quei biglietti ingenui, nulla ci sia stato tramandato. Sarebbero testimonianze antropologiche meravigliose.
Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay