Giandujotto scettico

Pesci d’april del tempo che fu

Giandujotto scettico n° 60 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (26/03/2020)

Era il primo aprile del 1874, quando il Corriere Fossanese pubblicò una notizia niente male:

Nel cimitero di Canale il becchino ha trovato un rospo del peso di Miriagrammi tre.

Trenta chili di rospo: un vero e proprio mostro! Il giornale di Fossano non dava altri dettagli, ma per fortuna un paio di giorni prima, il 29 marzo, il quotidiano cuneese La Sentinella delle Alpi aveva provveduto fornirne parecchi. E si scoprivano così una serie di particolari ancora più bizzarri.

Tutto era iniziato quando al cimitero di Canale avevano cominciato a scarseggiare gli spazi. Il becchino del paese si era quindi messo di buona lena a “disturbare il riposo dei primi per alloggiare gli ultimi”, e cioè a dismettere le vecchie tombe per crearne di nuove. Ad un certo punto si era trovato a scavarne una che era appartenuta a un personaggio singolare, un ateo, specie che probabilmente all’epoca era vista, in provincia, come un qualcosa di tremendo.

Spiegava il giornale:

Dieci anni or sono veniva a morte in Canale un tal dei tali che non volle assolutamente saperne di confessione, e protestò altamente che piuttosto di confessarsi sarebbe volentieri diventato un rospo… Morì, si sotterrò, e buona notte, più nessuno parlò di lui.

Mentre dunque il becchino scavava la tomba di quest’uomo che – riferiva sempre La Sentinella delle Alpi – “scandolezzò la popolazione del paese col suo ateismo”, arrivato a circa un metro di profondità gli sembrò che la terra gli si muovesse sotto ai piedi. Si fermò, rimase un po’ in attesa, poi pensò che fosse stata soltanto la sua immaginazione, e si rimise al lavoro. Ma ecco che questa volta sentì la terra che si sollevava “un cinque o sei dita”!

Il pover’uomo si spaventò, saltò fuori dalla fossa e corse in paese raccontandolo a tutte le persone che incontrava. E a tutti diceva che si trattava di lui, dell’indemoniato, che “per castigo divino non poteva nemmeno trovar pace nella fossa”. A ogni racconto si aggiungevano particolari, come il fatto di aver anche udito la voce del morto. Il becchino dichiarò solennemente che non sarebbe più tornato a quella tomba; ma un gruppo di giovani, invece, ci andò di filato: e lì, balzati nel fosso, sentirono davvero la terra smuoversi. Presero la pala del becchino, si misero a scavare, e ai loro sguardi si presentò il “grossissimo rospo”, che per giunta sembrava guardarli con uno sguardo piuttosto irritato per esser stato disturbato.

Concludeva il quotidiano:

È inutile dire i commenti che si fecero nel paese a simile notizia, basti il sapere che quel rospo del peso di oltre tre miriagrammi, è visitato non solo dai Canalesi, ma bensì dai paesi circonvicini arrivano a squadre onde visitare il dissotterrato rospo. Certuni poi che la san lunga, fanno correre voce che questo rospo sia veramente l’indemoniato o l’ateo, come lo dicono, trasformato così per voler di Dio, avendo esso desiderato in vita di diventar piuttosto un rospo che confessarsi prima di morire. Se è così è meglio confessarsi che cadere in pericolo di dare spettacolo di noi dieci o venti anni dopo la nostra morte!

Storia vera o bufala giornalistica? La trasformazione di un “cattivo soggetto” in animale era qualcosa di ben radicato nella mentalità dell’epoca: ancora nel 1933, a Bedizzole (Brescia), si era diffusa la voce che un contadino era stato trasmutato in maiale dall’Altissimo per aver giocato uno scherzo al prete del paese. Naturalmente, nel caso di Fossano la prossimità della storia con il primo aprile riusciva a malapena a celare l’origine scherzosa della vicenda.

Sicuramente al racconto non credette Il Corriere Fossanese, che dopo aver dato notizia del rospo in quell’unica riga riportata qui sopra, rilanciava:

A coloro che dubitassero di questo fatto, possiamo osservare, come notifichiamo a tutti, che, atterrando gli olmi di Romanisio, si è scoperta alla radice del più venerando una talpa bianca, grossa come un crinet [maialino, ndR] di Genola, la quale fu acquistata dal signor Aragno, esercente del caffè Ristorante dello scalo. Chi vuol vederla vada colà a bere una bottiglia di birra.

Romanisio è una zona, a quel tempo ancora assai alberata, non troppo distante dalla stazione ferroviaria di Fossano, e il ristorante, gestito dal signor Giuseppe Aragno, era stato inaugurato allora da pochi mesi.

Se Il Corriere Fossanese era scettico, comunque, Il Monferrato lo era il doppio, e non credeva né alla storia del rospo, né a quella della talpa. Anzi, il 5 aprile ne approfittava per fare una rassegna delle migliori carote (così si chiamavano, all’epoca, le bufale giornalistiche) che avevano costellato il primo aprile 1874:

Quest’anno chi fece le spese da noi si fu il Rospo di Canale che pesava quattro miriagrammi, il Coccodrillo dell’Italia del Popolo (quotidiano di Torino, NdA) fuggito da un museo (!!!) e trovato nel Po, l’enorme Rinoceronte dal naso lunghissimo che il Ficcanaso (rivista satirica che usciva anche quella a Torino, NdA) fece trovare fossile negli scavi della Piazza d’Armi torinese, e la Cometa a tre code dell’Astese. Questa benedetta cometa nella notte del 1° aprile fece alzare tanti nasi in su, fece tener fissi tanti occhi verso l’Oriente, nasi ed occhi moncalvesi (il riferimento è a Moncalvo, nel Monferrato, NdA), che è un diletto a pensarci.

Ci concediamo, a questo proposito, una piccola digressione: in occasione degli ultimi pesci d’aprile ha tenuto banco anche in Italia il dibattito sull’opportunità di pubblicare volontariamente bufale sui quotidiani, tanto che più di uno si è si dissociato dalla pratica. In quest’epoca di fake news – si è detto – che senso ha riportare una notizia volutamente falsa? I giornali non dovrebbero distinguersi per affidabilità e per serietà? Altri hanno risposto: ma no, che male c’è?, e hanno perpetuato la tradizione. Per quanto ci suoni nuova, questa controversia non è affatto inedita. Già nel 1874, ai tempi del rospo di Fossano, i toni erano simili. Citiamo sempre da Il Monferrato del 5 aprile:

Il pesce d’aprile! Voi avete stimmatizzato l’usanza dei giornali d’ammanire ai loro lettori il pesce d’aprile. Ebbene, io credo che in ciò non vi sia poi tanto male. Succede così di rado che i giornali piantino carote, che dovrà essere loro ben lecito il piantarne in un dato tempo dell’anno, massime quando i lettori sanno che in tal tempo vi è licenza di far questo. Vi è chi crede? Eh! Via, gli si ride un po’ alle spalle e chi n’ha avuto, n’ha avuto. […] Sono usanze queste come le altre e rispettiamole. Tant’è un pocolino di riso fra tanto lutto che ci circonda, è cosa che può passare.

Bastava, secondo il settimanale, non esagerare, come con la “fiaba” di un prete che era stato fatto passare per “grassatore”, generando commenti non proprio simpatici per la vittima della pseudo-notizia. Non sappiamo dove venne pubblicata la storiella, ma già l’accenno ci fa capire che le fake news (anche pesanti) erano all’ordine del giorno. E il fatto che all’epoca si percepissero i giornali come abituati a piantar carote (cioè, nel gergo del tempo, a pubblicare bufale) dovrebbe farci ridimensionare un po’ la sensazione che le false notizie siano un problema degli ultimi dieci o quindici anni, e comunque figlie della possibilità di diffondere qualsiasi storia in modo praticamente istantaneo.

Se nel 1874 erano stati numerosi gli scherzi dei giornali, comunque, è possibile che se ne facessero anche ai giornali. È in quest’ottica che va letto, probabilmente, il resoconto di un’altra strana notizia pubblicata il 5 aprile da un secondo settimanale della zona, Il Fossanese. Questo raccontava che “alcuni giorni prima” si era diffusa la notizia di un grosso meteorite, “tutto di pietra e color ferrigno” che era caduto sulle sponde dello Stura, in località Boschetti, proprio al confine tra il fiume e alcuni possedimenti denominati La Coppa d’Oro. Qui il masso si era schiantato, “fiammeggiante come l’Angelo dell’Apocalisse”, andando ad affossarsi tra le ghiaie.

Voce popolare? Bufala? Qualcuno era andato a controllare (il quotidiano lo etichettava impietosamente come un merlo), e aveva trovato il masso. Perché sì, il masso c’era, infisso nella ghiaia, ma era assolutamente ordinario. Da una fenditura sottostante entravano e uscivano le lucertole come se avessero sempre avuto casa lì, e vicino si stendevano i rovi e gli sterpi che cominciavano a fiorire. Concludeva il giornale:

Si discusse il pro e il contro: a chi parve di ravvisare nel masso in questione la forma di una mano, a chi, quella di un mostro. Le opinioni erano divise. Un burlone di mia conoscenza che passava a caso per quei paraggi, chiamato a darvi intorno il suo giudizio, vi ravvisò poco su, poco giù… la forma di un pesce… Il pesce d’Aprile. E non aveva mica torto.

Il Fossanese, però, ne approfittava per un’ultima staffilata al mattacchione che probabilmente era implicato in molte delle bufale che avevano riempito i giornali in quei giorni:

Mi fa stupire che il solito bello spirito che si diverte a mandar corrispondenze sugli avvenimenti fossanesi ai giornali forastieri, non abbia preso la palla al balzo per fare di questo bolide un soggetto da articolone coi fiocchi… Corpo di un pianeta! C’era benissimo di che. Perché zittire? In circostanza simile io avrei detto, per esempio, che era cascato Giove, ammazzando una mezza dozzina di baboie panatere [scarafaggi, ndR] che passeggiavano sulla sabbia! Era tanto naturale! Cosa ne dite?

Ma torniamo ai nostri racconti di rospi e talpe giganti. La Sentinella delle Alpi non tornò più sulla “sua” storiella del cimitero di Canale. Il concorrente Corriere Fossanese, però, non lasciò certo perdere, e ne scrisse di nuovo per ribadirne la falsità. Aveva interpellato un collaboratore, tale C. Colleri di Carrù, che a sua volta aveva scritto a un amico del posto (il giornale non ne dava il nome, ma lo identificava comunque con la sigla A.F.). Quest’ultimo aveva etichettato l’intera vicenda come una “ridiculissima frottola”, complimentandosi per non aver “accolto con leggerezza” la “fiaba del rospo”. E ribadiva:

Ti posso assicurare colla più formale certezza, che non solo havvi esagerazione, ma decisa menzogna di quanto si narrò a tale proposito. Non è vero, che il Becchino abbia trovato un rospo nel cimitero ed è falso ogni dettaglio per necessaria conseguenza. Qui se ne è fatto parlare per qualche giorno, ma poi silenzio. La cosa invece si diffuse nei paesi circonvicini, essendosene fatto cenno in parecchi giornali. Ogni giorno capitano forestieri, e non fa d’uopo aggiungere che ne partono colle pive nel sacco.

Insomma, per Il Corriere Fossanese la storia de La Sentinella era un falso bello e buono. Ma non così la “sua” notizia, quella della talpa: quella invece era assolutamente autentica. Tanto che il giornale ne riportava gli sviluppo – almeno in apparenza senza dar segno di dubitare – nella sua edizione dell’8 aprile:

Il signor Aragno, esercente al Caffè ristorante dello scalo, per levarsi d’attorno la seccatura dei visitatori della talpa bianca, sarebbe disposto a rimetterla pel prezzo onde l’ha acquistata.

E, quasi inconsolabile perché nessuno credeva, il 19 aprile commentava ancora, in occasione di una notizia altrettanto curiosa:

Scrivono da Follonica (Toscana) che ai 6 del corrente avvenne colà un fenomeno veramente strano, cioè una pioggia di topi in tutto il paese e nella campagna circostante. E poi non vogliono credere alla talpa bianca del sig. Aragno, chiamandola un pesce d’aprile o un rospo di Canale!

La pioggia di topi era in realtà molto meno sensazionale di quanto riportato sui giornali: i cadaveri di centinaia di topi erano stati osservati a poca distanza gli uni dagli altri, quasi come se fossero “piovuti” dal cielo. Ma ovviamente nessun topino era cascato dalle nuvole, erano semplicemente morti e poi ritrovati così, sparsi per le campagne. Notizie al riguardo si trovano sul Bullettino del vulcanismo e di geodinamica generale, alla p. 84 del volume del 1874 (si ipotizzava l’avvelenamento degli animaletti a causa di una mofeta, esalazioni a fumarola, dal sottosuolo, di anidride carbonica).

Quanto al rospo e alla talpa giganti, prendiamoli come una testimonianza delle bufale, curiosità, esagerazioni che costellavano i giornali in pieno Ottocento. Come per le notizie attuali, impariamo a leggerle con occhio vigile e con un po’ di sano scetticismo – e di bonarietà.

Foto di Oleksandr Brovko da Unsplash