Giandujotto scettico

La casa della rondinella e dello scommettitore

Giandujotto scettico n° 61 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (09/04/2020)

Questa è la storia di una singolare truffa al lotto, che, forse, non ci fu mai se non nella fantasia di qualche malpensante. Appartiene al folklore della città di Torino, ma ne fa parte (a differenza di altre “tradizioni” che in realtà risalgono appena agli anni ‘60-’70, a cominciare dal mito del monte Musinè), almeno da un secolo.

Il fattaccio sarebbe avvenuto ai tempi del dominio napoleonico sul Piemonte, dunque all’inizio dell’Ottocento. Bisogna sapere che all’epoca il lotto a Torino esisteva già da tempo: venne istituito nel 1754 da Carlo Emanuele III di Savoia come metodo per rimpolpare le casse dell’erario e sottrarre quegli appetitosi proventi alle imprese private. Ma già prima c’erano stati diversi tentativi di istituire il gioco come attività pubblica. Le prime iniziative risalgono ai tempi di Carlo Emanuele I di Savoia, cioè alla fine del Cinquecento; dapprima la concessione delle scommesse fu data in mano a tre ebrei, poi – nel 1620 – al portarchibugio di Carlo Emanuele I, Carlo Forneris.

L’anno seguente invece il privilegio fu concesso a Pietro Antonio d’Albano, credenziere della duchessa. In seguito il gioco proseguì con alterne fortune: nel 1655 Carlo Emanuele II lo vietò, ritenendolo immorale; nel 1674 fu reintrodotto, come forma di azione benefica, per raggranellare la dote per cinque ragazze povere in età da marito. E poi, ancora, il monopolio fu concesso a un certo Amedeo Gratapaglia, che pagava ogni anno 7500 lire per la concessione; poi fu ancora vietato, e di nuovo ripristinato nel 1742… Ma fu solo nel 1754, dicevamo, che nacque finalmente il Regio Lotto nel senso moderno del termine, che da allora cambiò più volte nome, ma che nella sostanza dura ancora oggi.

Ebbene, corre voce che un uomo, a un certo punto, fosse riuscito a far “saltare il banco”, realizzando una cospicua vincita grazie a un’astuta truffa. Ecco come racconta la vicenda La Stampa del 21 agosto 1944, descrivendo una casa denominata dai torinesi cà d’la rondolina (“casa della rondinella”):

Questa denominazione era dovuta, secondo una leggenda diffusa e da tutti ritenuta vera, al fatto che i fondi per costruire la casa erano stati furbescamente accumulati servendosi di una rondinella adoperata per truffare l’erario a mezzo del giuoco del lotto. La storiella potrebbe anche non essere vera ma è così curiosa e carina che merita d’essere conosciuta e raccontata, anche per dimostrare che le truffe al Lotto non sono poi di invenzione modernissima. Come è noto, l’origine del giuoco del Lotto risale a circa tre secoli, almeno.

All’inizio dell’Ottocento le estrazioni si facevano alternativamente, una settimana a Torino ed una settimana a Milano e le giuocate fatte nel Piemonte e nella Lombardia valevano egualmente per l’unica estrazione fatta un sabato qui e un altro sabato colà. Quando si estraevano i numeri a Milano, e ciò avveniva poco dopo il mezzogiorno, le giuocate fatte a Torino erano ritenute valide anche se fatte verso sera quando si chiudevano i botteghini e cioè quando a Milano l’estrazione era già avvenuta da parecchio tempo, e cioè almeno da alcune ore. Tanto nessuno avrebbe potuto conoscere i numeri estratti sino al giorno dopo, od anche soltanto al lunedì quando il corriere di Milano fosse giunto, dopo una ventina di ore di viaggio, in vettura od a cavallo, nella nostra città.

È grazie a questo meccanismo che il raggiro si sarebbe consumato:

Di questa circostanza approfittarono due intelligenti truffatori, dei quali uno, durante la settimana si recava a Milano portando con sé una rondinella che aveva fatto il nido ed aveva i suoi piccini nella casa di lui e ch’erano riusciti ad addomesticare; appena conosciuti i numeri del Lotto estratti, li scriveva in un pezzettino di carta che legava ad una zampa della rondinella alla quale dava libero il volo. La rondinella portata dall’istinto verso il suo nido ed i suoi piccoli, appena alzata a volo si dirigeva verso Torino dove arrivava in poco più di un’ora di cammino. Qui era raccolta, nel nido, dall’altro compare, il quale staccato il foglietto dallo zampino della rondine, correva a giuocare i numeri già estratti a Milano, giungendo sempre alcune ore prima che il botteghino del Lotto si chiudesse. La vincita era perciò sempre più che sicura…

Il cronista de La Stampa aggiungeva che non si sapeva per quante volte la truffa si fosse ripetuta, né quanto avessero guadagnato i due compari; però tutti, a Torino, sapevano, e quando passavano da via Arsenale dicevano: “Questa è la casa della rondinella”.

Riccardo Gervasio, insegnante e appassionato di storia locale, in Storia aneddotica descrittiva di Torino: Soste obbligate col naso all’insù (Le Bouquiniste, Torino, 1967) ci dà anche una data esatta in cui collocare i fatti :il 5 dicembre dell’anno 1800. Secondo La Stampa del 28 febbraio 1928 questa sarebbe la data di un Avviso, emesso dalle autorità per evitare truffe:

Il fatto è autentico e sta a dimostrarlo un avviso emanato dalla Direzione del Lotto il 5 dicembre del 1800, e che diceva: “…per andare al riparo di molti inconvenienti occorsi e di altri che l’astuzia attentare potrebbe in danno delle Finanze nazionali, a cominciare dalla prima estrazione del 1801 le giocate su Milano sarebbero cessate a mezzogiorno in punto”, ora nella quale avveniva colà l’estrazione.

Il che è un dettaglio interessante, ma non prova poi molto. Sa più di “mito di fondazione”, magari di un modo per giustificare un improvviso arricchimento dei proprietari e la costruzione della casa. E, soprattutto, lascia aperta la porta a tutta una serie di dubbi: perché se la Direzione del Lotto sapeva della truffa tanto da emettere un avviso provocato dalla fregatura, non aveva chiesto la restituzioni dei soldi da parte dei proprietari? Perché non sequestrare il palazzo, frutto degli illeciti guadagni? Senza trascurare che un danno erariale di quella portata avrebbe comportato la possibilità di finire in gattabuia per un pezzo.

Ad ogni modo, oggi la casa non esiste più. Doveva trovarsi all’angolo tra via Arsenale e via Santa Teresa, in un edificio chiamato anche Casa della Vite. Fu abbattuta all’inizio del Ventesimo secolo per far posto al grande palazzo della Banca Commerciale Italiana, costruito su progetto dell’ingegner Angelo Santonè e inaugurato il 21 dicembre 1901,

Eppure, ancora anni dopo l’abbattimento, il legame fra il racconto e la casetta era ancora vivo. La Stampa del 21 giugno 1932 la descriveva così, in un articolo firmato E.B. riportante aneddoti e curiosità sulla “via dei Milioni” (cioè su via Arsenale, lungo cui si stendevano “palazzi di grandi Banche e di grandissime Società anonime”):

Nel secolo scorso vi stava una casa di modesta apparenza, detta la Ca’ dla vis o Ca’ del rondolin. Il primo appellativo si spiegava facilmente, perché un’annosa vite si inerpicava lungo la facciata, mettendo una curiosa nota di verde sui vecchi muri. Quei muri avevano visto l’assedio del 1706, e ne portavano il ricordo sotto forma di una bomba rimastavi incastrata, uno dei tanti diavo de fracassa-armari, come li chiamava l’Arpa discordata piovuti su Torino in quell’occasione. Vicino al fracassa-armari poi si vedeva, dipinta a fresco, una Madonna, non precisamente raffaellesca ma pur commovente come ringraziamento alla Vergine, come attestato dalla fede che anima i valorosi nostri avi, e come ricordo di quell’epoca gloriosa.

E. B. però non si beveva la “storia, ossia la tradizione” della truffa al lotto. E, anzi, commentava:

Per conto mio la ritengo una storiella, tanto più che, con poche varianti, si racconta anche in altre città; ma per molti era, temporibus illis, verità di Vangelo.

Considerazioni che farebbero pensare, forse, a una leggenda metropolitana d’epoca diffusa in molti luoghi diversi. Purtroppo, dobbiamo ammetterlo, non ne abbiamo trovato traccia nelle tradizioni di altre città: che sia una storia sopravvissuta solo a Torino?

Qualche indizio sulla natura leggendaria del racconto ci arriva, però, da due particolari. Il primo è che la storia viene tramandata con diverse piccole variazioni sul tema: su La Stampa del 21 giugno 1932, ad esempio, la rondinella arriva da Milano; su quella del 20 giugno 1984, da Genova; l’edizione del 22 luglio 1925, forse per non far torto a nessuno, menziona entrambe le città. Poche tracce ci sono anche sul protagonista della vicenda, che alcune fonti individuano in un certo “dottor Caramagna”. Il secondo indizio è che la storia delle “rondini che fanno vincere al lotto” è riferita, in toni più generici, anche in una conferenza del naturalista Michele Lessona (1823-1894, personaggio importantissimo per la scienza torinese, nonché traduttore delle opere di Charles Darwin in italiano). Lessona menzionò la vicenda durante una conferenza tenuta a Torino nel 1884:

Toccando della grandissima velocità che ha il volo della rondine quando questa torna al nido, narra alcuni aneddoti nei quali una rondine servì a recare una notizia, a salvare una fortezza assediata; che più… a far vincere un terno al lotto. E siano benedette le rondini allora! (La Stampa, 17 marzo 1884)

Più o meno nello stesso periodo (maggio 1882) un giornale senese dedicato alle scienze, il Bollettino del Naturalista, scriveva in un articolo firmato Caladium e dedicato ai piccioni viaggiatori:

Avanti l’invenzione del telegrafo alcuni allevatori di piccioni tentarono frodare le amministrazioni del lotto per somme vistose, inviando in altre città d’Italia i numeri estratti col mezzo di colombi messaggeri, i quali quasi sempre giungevano prima della chiusura dei giuochi.

Leggenda, quindi? Non tutti gli storici di Torino erano d’accordo, come prevedibile. Giovanni Bragagnolo ed Enrico Bettazzi, nel secondo volume di Torino nella storia del Piemonte e d’Italia (UTET, 1919) davano il fatto per certo. Lo stesso faceva il già menzionato Riccardo Gervasio nella sua Storia aneddotica descrittiva di Torino (la citazione è ripresa da un articolo del 31 gennaio 2015 de La Voce, periodico di Chivasso e dintorni, a firma di Silvio Bertotto):

Chi nutrisse qualche dubbio sull’autenticità del fatto […] riconosca almeno alla leggenda il pregio d’un certo garbo estroso, che esclude perfino l’ombra d’una supposta maldicenza da parte degli invidiosi.

Insomma, un racconto troppo elaborato, a suo parere, per essere solo una “storia da comari”. Da appassionati di leggende metropolitane, rimaniamo sempre affascinati da quanto profonda, originale e multiforme possa essere la fantasia umana.

Ci piace pensare che anche la storia della rondinella possa esserne una dimostrazione.

Foto di Kev da Pixabay