Antologia dell’inconsueto: quando non inviti la Morte al party
Se c’è un autore che non può mancare in una antologia come questa è Edgar Allan Poe (1809-1849).
Diciamo che non siamo partiti con lui perché pubblicare qualcosa di Poe in un’antologia dell’inconsueto è voler vincere facile. Crediamo però che “La maschera della Morte rossa”(1842) sia un classico che non possiamo continuare ad ignorare.
Possiamo dividere il racconto in tre sezioni: nella prima troviamo una descrizione di cosa accade nel mondo, come la Morte rossa (forse un’allegoria del Colera) si riversa come una piena nelle strade, come la gente ne muore tra atroci sofferenze. In un secondo momento vediamo come reagisce il Principe Prospero (la descrizione della sua persona, dei suoi possedimenti, dei suoi averi e dei suoi amici). La sua idea è buona: isolare tutti gli amici in salute e intrattenerli il più possibile. La terza parte è quella più narrativa, la Morte rossa si auto invita ad un party in maschera: troppo sicuro di sé, il principe Prospero aveva permesso che in troppi si prendessero gioco della morte.
Vediamo alcuni aspetti in campo sia artistico che letterario che conosciamo fin dal medioevo:
- La morte trionfa sempre: Il trionfo della morte, la danza macabra e l’incontro dei tre vivi e dei tre morti fanno parte dell’iconografia classica della morte.
- Alla morte piacciono i party: una delle più suggestive leggende storiche della Rivoluzione Francese sono ad esempio “les bals des victimes”, balli leggendari che sarebbero stati dati dai parenti dei giustiziati durante il periodo del “Terrore”; un tema così affascinante che ha lasciato parecchi strascichi nella letteratura gotica… Ad ogni modo, anche la musica ci ricorda che alla Morte piace ballare.
- Il tempo: l’iconografia del tempo che scorre è “amica” della morte. Spesso il Tempo è rappresentato come un vecchio con la falce, altre volte è inserito in un contesto allegorico che ci ricorda la fugacità della gioventù e l’inutilità della vanità. Nel nostro racconto, il ruolo del tempo è rappresentato dall’orologio di ebano nelle stanze del palazzo di Prospero che scandisce le poche ore che rimangono alla vanità del Principe.
- La sfida alla morte: c’è chi ci gioca a scacchi, chi sceglie un mantello dell’invisibilità e chi si chiude in un labirintico palazzo con i suoi “scanzonati” amici.
- L’isolamento durante la pestilenza: il Decamerone di Boccaccio è uno degli esempi letterari più famosi (insieme alla Maschera della Morte rossa, ovviamente), ma perché non citare “Io sono leggenda” (Richard Matheson, 1954)?
- La morte è una “livella”: arriva per per tutti. Non fa differenza di ceto né di censo.
“La maschera della Morte rossa” contiene tutti questi temi, con un particolare interesse per l’ultimo. La morte come “livella” ci sembra particolarmente rilevante, proprio perché nel racconto viene sottolineata più volte la ricchezza di Prospero, è da lì che deriva la sua vanità, è proprio grazie a questa che il Principe pensa di poter “vincere” la morte, mentre la sua gente muore per via.
Vi proponiamo il racconto nella traduzione di Baccio Emanuele Maineri (1869) del 1842.
Vi ricordiamo che moltissime opere di Poe sono disponibili su Wikisource in libera lettura.
La maschera della Morte rossa
Per lunga e lunga stagione la Morte Rossa aveva spopolato la contrada. A memoria d’uomo non s’era mai veduto una peste così orribile, così fatale! A guisa del Vampiro, sua cura e delizia, il sangue, — la rossezza e il lividore del sangue. Negl’infelici côltine si manifestava dapprima con dolori acuti, con improvvise vertigini; e dappoi un sudare e trasudar copioso, donde lo sfinire è il dissolversi infine di tutto l’essere. E chiazze porporine su la pelle, soprattutto sul volto delle vittime, facean si che queste fossero schifate e fuggite da tutti, nè soccorso o alcun segno di simpatia le consolasse. — Invasione, progresso ed effetti del male erano una cosa stessa, l’affare d’un momento.
Innanzi questo flagello il principe Prospero rimanevasi imperturbabile; anzi si mostrava felice, sagace, intrepido. E quando e’ vide piucchè a metà spopolate le proprie terre, convocò un migliaio circa de’ suoi fidi e amici, tutta gente piena di vita e di cuore baldo, la eletta dei cavalieri e delle dame della propria corte; e in compagnia sì cara ricovrò in un solitario palazzo, sito in una delle molte sue abbazie o feudali castelli. — Era questo un edifizio vasto e magnifico, una creazione da principe, d’un gusto singolare e, nondimeno, grandioso: un muro spesso ed alto cignevalo d’ogn’intorno, nel quale si aprivano grosse porte di ferro. Entrativi, usando del fuoco e di buoni martelli, saldarono ogni serratura; e là si credettero al sicuro. Risolvettero di rendersi forti contro gli assalti improvvisi di esterne paure e di chiudere così ogni uscita alle frenesie del di dentro. Larghe provviste immisero nell’abbazia; e, grazie a precauzioni tanto sottili, i cortigiani poterono lanciare la sfida al fiero contagio. E, chi stava al di fuori, s’acconciasse come meglio potesse; intanto, follia l’affliggersene, il darsene pensiero. Avrebbe il principe provveduto a tutti i mezzi di piacere.
Eran con esso buffoni, improvvisatori, musici e ballerini, — vi splendeva il bello in tutte le sue forme — e vin generoso a guazzo. E così, al di dentro, ogni cosa bella e la maggior sicurezza; al di fuori la Morte Rossa.
In sul finire del quinto o sesto mese di questo ritiro, e in quella che la pestilenza incrudeliva d’ogn’intorno nella sua più fiera rabbia, il principe Prospero pensò di gratificarsi i mille suoi amici con un ballo in maschera, dato nella più straordinaria magnificenza.
Un quadro veramente orientale, l’ideato ballo!
Importa qui descrivere le sale ove questo ebbe luogo. — Sette magnifiche stanze in fila, — d’un effetto per vero imperiale, magico. In molti palazzi, quando i battenti delle porte sono da ambe le parti rivolti verso i muri, cotali serie di sale formano di lunghe prospettive in linea retta, in modo che l’occhio, incantato, vi si perde senz’alcuno ostacolo. Ma qui, com’era da aspettarsi dalla parte del principe e del suo gusto vivissimo per le cose bizzarre, — qui, dico, il caso era assai differente. Le camere erano disposte in modo tanto irregolare, che l’occhio non poteva contemplarne più di una alla volla. In capo ad uno spazio di venti a trenta piedi inglesi, sorgeva d’un tratto una giravolta misteriosa, per cui ad ogni svolta s’aveva una prospettiva nuova. A destra ed a manca, a mezzo di ogni muro, un’alta e stretta finestra gotica dava sopra un corridojo chiuso, che seguiva le sinuosità dell’appartamento. Ogni finestra spiccava di vetri dai più vivi colori in armonia al gusto tenuto nelle decorazioni della sala in cui si apriva. Per esempio, quella che sorgeva all’estremità orientale, era tutta damascata di azzurro, — e le finestre splendevano d’un turchino profondo.
Tutta ornata d’un vivo porpora mostravasj la seconda, e di vivissima porpora i vetri della rispondente finestra, intieramente verde la terza, intieramente verdi le invetriate. Decorata di arancio la quarta, — a cui di egual colore davano ugual luce i vetri; bianca la quinta, — violetta la sesta.
La settima sala poi era a tutto rigore sepolta in isplendidi damaschi di un velluto nero che, vestendone l’intiera volta e le mura, ricadevano in isfarzose nappe sopra un tappeto della stessa stoffa e di eguale colore.
Tuttavia, in questa camera soltanto, il colore delle finestre non corrispondeva alla decorazione. I vetri appariano singolarmente scarlatti, — d’un intenso colore di sangue.
Ora, in ciascuna delle sette sale, a traverso gli ornamenti d’oro qua e là sparsi a profusione, o pendenti dalle soffitte, non si scorgeva verun lampadario, nè un solo candelabro. Non lampane, anzi non bugie, nessun lume, insomma, di cotal fatta in così lunga fila di camere. Se non che nei corridoj che cignevano quelle stanze, e precisamente dirimpetto ad ogni finestra, s’innalzava un treppiede enorme con un braciere ardente, il quale projettando i suoi raggi lungo i vetri colorati, illuminava la sala di uno splendore abbagliante: da che si produceva una moltitudine sterminata di fantasmi, fantasticamente ed incessantemente congiunti. Fenomeno di solennità meravigliosa! Ma è da notarsi che, nella camera volta a ponente, la camera nera, la luce che il braciere sprazzava sulle funebri tele damascate e lungo i vetri dal color di sangue, splendeva spaventosamente truce e sinistra, dando alle fisionomie di coloro che vi si fossero imprudentemente immessi, un’apparenza tanto strana, che pochi e pochissimi dei baldi danzatori sentivansi l’animo di mettere i piedi in quel magico recinto.
Ed era per lo appunto in questa sala che, appoggiato al muro di ponente, levavasi un gigantesco orologio d’ebano. Il suo pendolo oscillava solenne con un tic-tac, sordo, sordo — monotono ; — e quando l’ago dei minuti avea compito il giro del quadrante, e che l’ora era li lì per iscoccare, dai polmoni di rame della macchina strana si destava un suono distinto, scrosciante, profondo e superlativamente musicale, ma di note tanto singolari e di tale energia che, ad ogni ora, i musici dell’orchestra erano obbligati d’interrompere un istante i loro accordi, così per ascoltare la misteriosa musica delle ore. Allora, i ballerini, come vinti da subitanea forza, cessavano i loro giri; un’agitazione momentanea magneticamente serpeggiava in tutta la gioconda brigata; e sino a tanto che la soneria mandava i suoi concenti, i men saldi di animo vedeansi quali cadaveri illividire, e i più maturi di età e forti di spirito, incerti, passarsi le mani sopra le fronti, quasi rapiti da una meditazione prepotente o da un sogno delirante.
Ma non sì tosto l’ultima eco erasi svanita, che un’ilarità lieve lieve circolava in tutta l’assemblea: i musici, allora, guardandosi l’un l’altro, ridevansi de’ proprj esaltamenti nervosi e della loro follia, e reciprocamente giuravansi che a’ primi nuovi suoni essi avrebbero opposto un’impassibilità perfetta. Parole vane! Passati appena i sessanta minuti, che comprendono i tremila seicento secondi dell’ora scomparsa, ecco i nuovi suoni dell’orologio fatale, ed ecco gli stessi timori, i brividi stessi, le stesse fantasticherie negli astanti.
Se non che, malgrado sì spiacevole inconveniente, quell’orgia passava tra le ebbrezze della magnificenza e della gioia. Tutt’affatto particolare il gusto del principe; il suo occhio per rispetto a que’ colori e a’ loro effetti, pienamente sicuro: e riguardava con disprezzo il decoro della moda. I suoi disegni rilevavansi per temerità ed avevano del selvaggio, e ne’ suoi pensieri balenava uno splendore di barbarie cupa; tanto che non pochi l’avrebbero tenuto per infermo di mente. Certo, i suoi cortigiani non ignoravano ch’egli era in ogni sua facoltà ben sano; ma ad assicurarsi ch’e’ no ’l fosse — importava sentirlo, vederlo e persino toccarlo.
In occasione di questa splendida festa, egli aveva assistito in persona, quasi continuo, alla decorazione delle suppellettili di quelle sette camere, e quella varietà spiccata di stili e colori era per intiero dovuta al personale suo gusto. — A che celarlo? — si vede; le sue erano state idee bizzarre e grottesche; in tutto un gusto sfavillante, uno sfarzo che abbagliava. Il bizzarro al fantastico, la novità si mesceva al solenne, — molto, insomma di quanto abbiam visto da che venne fuora l’Ernani. — Ivi, spiccavano figure veramente arabesche, con abbigliamenti e corredi assurdi, tirate senza ragion d’ordine e di simmetria; immagini sinistre con tutte le apparenze della follia: il bello, in lotta colle concezioni della licenza, e qua e là scene di capriccio vivo; ed ora apparía il colorito del terribile, ora il ributtante in tutto il suo orrido aspetto.
In breve, era una moltitudine di sogni infinita, che qua e là si pavoneggiava incessante in quelle sette sale, sogni che — a mo’ di serpi in lotta contorcevansi per ogni verso, colorandosi dai colori delle camere rispettive; — e sarebbesi detto ch’essi eseguissero co’ lor piedi la musica, e che le arie strane dell’orchestra fossero l’eco ancor più strana dei loro passi.
E sempre, di tanto in tanto, ad un’ora di intervallo, i suoni dell’orologio della sala di velluto vibravano misteriosamente solenni. Ed allora per un istante, a cessare ogni moto, a farsi silenzio perfetto, — e la voce dell’orologio a dominare sola; — e le fantasime erranti agghiadano, e, come tocche di paralisi sospendono ogni lor mossa. Ma, dileguati gli echi della soneria — le loro vibrazioni non durano che pochi istanti, — dileguati appena, dico, ecco un’ilarità lieve lieve e mal simulata circolare sui volti di tutti. E la musica novellamente s’infiamma, e rivivono i sogni, e più ebbri e folli di prima intrecciansi, contorconsi, e trasformansi, riflettendo i colori delle finestre attraverso i quali scintillano i raggi del treppiede ardente. — Tuttavia, là in fondo, nella camera volta a ponente nessuna delle maschere osa avventurare l’audace piede; poichè, e la notte s’avanza ed una luce ognor più rossa piove traverso i cristalli dal color di sangue, ed il bruno dei funebri tappeti è spaventoso: all’insensato ch’ivi rivolga i suoi passi, l’orologio d’ebano fa sentire un sonío più grave, più solennemente energico di quello che manda alle orecchie delle maschere stoltamente turbinanti nella piena spensieratezza delle altre sale.
Nelle quali tutte è un formicolare di cortigiani meraviglioso, a cui le mille febbri degli accesi sensi agitano convulsivamente il cuore. — E le danze procedevano ognor più animate e festose, e la tensione del piacere grandissima: — quand’ecco, in fine, si sentono i tocchi della mezzanotte, mandati dall’orologio d’ebano. Allora, come dissi, issofatto la musica cessa, e sull’istante si sospendono le danze; e d’ogn’intorno, come già prima, librasi un’immobilità ansiosa e crudele. Ma questa volta la soneria dell’orologio aveva battuto dodici tocchi; per cui egli è verosimile che un’idea ancora più penetrante ed insistente s’insinuasse nelle meditazioni di coloro che in così grande, e gavazzante moltitudine aveano tuttavia i lor pensieri a posto. E, forse, da ciò provenne che, molti di questa folla, prima che gli ultimi echi dell’ultimo tocco dell’orologio si fossero estinti nel silenzio, avessero avuto il tempo d’accorgersi della presenza d’una maschera, la quale sin’ allora era rimasta da tutti inavvertita. Se non che, la notizia di simile intrusione avendo fatto sommessamente il giro delle sale, d’improvviso in tutta quell’assemblea destossi un bisbigliamento crescente, un mormorio significativo di meraviglia e di riprovazione, — e dappoi di terrore, di orrore e d’invincibil disgusto.
In un’accolta di fantasmi, com’io descrissi, per cansare una sensazione tanto forte, importava davvero che il nuovo appaiamento avesse caratteri tutt’affatto straordinarj. In verità i baccanali di questa notte non avevano quasi avuto nessun ritegno; ma il nuovo nostro personaggio aveva superato in istravaganza lo stesso Erode, aveva oltrepassato i limiti — compiacenti, se vuolsi — del decoro imposto dal principe Prospero. Nei cuori degli uomini anco i più indifferenti, anco i più incuranti trovansi talora certe corde cui non lice toccare senza che vibrino fortemente. Ma negli esseri più depravati, presso coloro per cui la vita e la morte sono egualmente un giuoco od uno scherzo, vi hanno cose con cui non è dato giuocare d’impunità. — Quindi, allora, l’intiera assemblea parve profondamente sentire il cattivo gusto e la sconvenienza della condotta e de’ modi dello straniero.
Il quale apparia grande e severo, e tutto avvolto in un lenzuolo dal capo alle piante. La maschera, che gli nascondeva il volto, rappresentava tanto perfettamente la fisionomia d’un cadavere livido e stecchito, che il più sottile esame non sarebbe potuto giugnere a scuoprirne l’artificio. E nulladimeno tutti quegli ebbri gaudenti avrieno forse, se non approvato, tollerato almeno il brutto e schifoso tiro: ma il carattere dell’orrore era estremo, poichè la maschera aveva avuto la bruttissima idea di adottare il tipo della Morte Rossa. I suoi indumenti vedevansi oscenamente chiazzati di sangue — e la sua ampia fronte e le linee della faccia schifosamente cincischiate di spaventevole scarlatto.
Non sì tosto gli occhi del principe Prospero caddero sopra questa figura di spettro, — il quale, quasi a meglio rappresentar la sua parte, incedeva qua e là con passi lenti, enfatici e solenni attraverso gli affollati danzatori — che d’un tratto fu veduto come magneticamente côlto di brividi di terrore e di spavento: il che fu come lampo, poichè immantinenti la sua fronte s’imporporò per impeto di selvaggia rabbia.
— Chi osa, — chies’egli con voce tremula d’ira a’ cortigiani che gli stava intorno, — chi osa dunque insultarci con tanto sacrilega ironia? Arrestate il temerario e smascheratelo; — importa sapere chi sia colui che al primo sole appenderemo, pasto dei corvi, a’ merli del castello!
Queste parole il principe Prospero le profferiva a mezzo la camera turchina, che guardava il levante; ed esse si ripercossero spiccate e sonore in tutte le sette camere; avvegnachè il principe fosse uomo imperioso ed aitante, e la musica delle danze al semplice segno di sua destra avesse tosto taciuto. E il principe, lo dissi, stava nella camera turchina ritto a mezzo denso stuolo di cortigiani.
A tutta prima, in quella ch’e’ parlava, ebbevi tra quel gruppo numeroso un leggiero movimento innanzi, nella direzione dell’intruso personaggio; il quale in un attimo fu sulle loro orme, — e adesso con passi liberi e solenni s’andava di più in più accostando alla persona del principe. Se non che, per effetto d’un terrore vago, misterioso, indefinibile, che l’audacia insensata della maschera aveva sparso su tutta la società, non si trovò qui più uomo che valesse a porgli addosso le mani, e frenarlo; per cui l’essere strano non trovando ostacolo alcuno innanzi a sè, scivolò a due passi della persona del principe; e, nell’atto che quella moltitudine immensa, quasi obbedendo ad un movimento solo ed istantaneo, dal centro della sala si accalcava sui muri, proseguì interrottamente il suo cammino, con lo stesso incesso solenne e misurato ond’erasi dal prim’istante fatto notare e corse dalla camera turchina alla camera color porpora — dalla camera color porpora alla camera verde — dalla camera verde a quella color arancio — da questa alla bianca, e dalla bianca alla violetta, prima che un solo di essi, rinvenendo, avesse potuto fare un movimento decisivo per arrestarlo.
Tuttavia, fu proprio in questa che, esasperato dalla rabbia e dall’onta della sua momentanea pusillanimità, il principe Prospero precipitosamente slanciossi a traverso le restanti sei camere, senza che alcuno de’ suoi gli andasse dietro: viltà fatale! — poichè un terrore intenso, inesprimibile di morte aveva avvinghiato tutti nella sua atmosfera di ghiaccio. Il principe brandiva un pugnale nudo, e di tutto impeto erasi avvicinato a una distanza di tre o quattro piedi dal fantasma che, cedendo, si ritraeva;… quando… quand’ecco quest’ultimo che, giunto all’estremità della camera di velluto nero, bruscamente gli si rivolge e arditamente oppone la impassibil faccia al persecutore impetuoso. — E qui partissi un grido acuto, acuto, e il pugnale scivolò lividamente lampeggiando su’ funebri tappeti, dove, in un baleno, il principe Prospero cadde morto.
Allora, invocando il coraggio violento della disperazione, una gran folla di maschere precipitossi d’un tratto nella camera nera, e afferrando l’incognito che, simile a gigantesca statua, perdurava ritto ed immobile nell’ombra dell’orologio di ebano, e’ sentirono come soffocarsi da un terrore senza nome: e qui irreparabilmente si accorsero, che sotto il lenzuolo e la maschera cadaverica, che essi stringevano con sì violenta energia, non esisteva sostanza di forma alcuna.
Di colta si riconobbe indubbiamente la presenza della Morte Rossa, la quale a guisa del ladro era venuta di notte. E tutti i convitati l’un dopo l’altro caddero nelle sale dell’orgia, inondate di sanguigna rugiada; ed ognuno spirò, e si giacque nel disperante atteggiamento della propria caduta….
E la vita dell’orologio d’ebano disparve con quella dell’ultimo di questi uomini del piacere. E le fiamme del treppiede spirarono. E le Tenebre, la Rovina e la Morte Rossa stabilirono sopra tutte le cose il loro illimitato impero….