Mio cuggino topo-quaglia
Giandujotto scettico n° 63 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (07/05/2020)
Torino, 16 luglio. – Stamane poco dopo le ore 7, un vigile della sezione San Salvario notava procedere in bicicletta, in via Principe Tommaso, un giovanetto che recava sul manubrio della macchina un cestino coperto da un bianco asciugamano, all’uso di quelli dei macellai. Preso da legittima curiosità, fermò il giovane e gli chiese cosa avesse nel cestino. – Quaglie – rispose l’interpellato. Ma il vigile non s’accontentò e volle vedere. Alzato l’asciugamano, notò che le quattro… quaglie avevano ciascuna… quattro zampe.
Durante la sua carriera gli era già occorso di notare delle singolarità, ma fino a quel punto, non ancora. Alla sezione dei vigili il giovanotto cadde in varie contraddizioni e si riconobbe che la carne, già pronta per essere cucinata, apparteneva tutt’altro che a volatili. Si trattava infatti di quattro roditori. Evidentemente questi grossi topi erano già stati scuoiati e mozzati del capo e delle zampine per essere pronti alla cucina. L’autorità sta ora indagando su questo stranissimo caso.
Questo articolo fu pubblicato nientemeno che da Il Popolo d’Italia, il quotidiano ufficiale del Partito Nazionale Fascista, il 17 luglio 1941. Erano tempi duri, quelli: l’Italia era entrata in guerra un anno prima, Torino era stata catapultata nel conflitto già con i bombardamenti aerei inglesi dell’11-12 giugno 1940, che avevano fatto 17 vittime e parecchi danni. Per la verità, il 1941 fu un anno abbastanza tranquillo da quel punto di vista: quando comparve la nostra storia, l’ultimo raid aereo sulla città risaliva al gennaio precedente. Più preoccupanti, per i civili, le restrizioni sui consumi e il razionamento dei generi alimentari. Già un mese prima dell’entrata in guerra, il 6 maggio 1940, erano arrivate le tessere annonarie, che stabilivano l’ammontare delle razioni individuali e permettevano di prenotarle e ritirarle presso i negozi, secondo calendari stabiliti.
La vendita di zucchero, burro, e grassi era attentamente regolamentata, così come quella dei cibi considerati “voluttuari”: prodotti come gelati e pasticceria potevano essere venduti solo di sabato, domenica e lunedì, mentre la carne non poteva esserlo (né poteva essere servita al ristorante) nei giorni di martedì, mercoledì e venerdì. L’Italia aveva milioni di uomini sotto le armi che andavano riforniti, e una parte del cibo veniva ammassata per le necessità delle Forze Armate.
Inoltre prima del conflitto i nostri maggiori fornitori di carne erano… proprio la Gran Bretagna e il suo impero, contro cui eravamo entrati in guerra. Aggiungiamo il fatto che il nostro Paese non aveva autonomia alimentare, che mancavano i carburanti per i (pochi) trattori disponibili, che il lavoro dei campi era ancora in parte largamente manuale, e diventerà facile comprendere quello che stava succedendo ai tempi della nostra storiella: il cibo mancava e le restrizioni cominciavano a farsi sentire sul serio.
È in questo clima che cominciarono a girare di bocca in bocca una serie di voci che parlavano di macellazioni clandestine su larga scala, di carne di cane spacciata per bovino, di truffe alimentari di ogni tipo. Certo, queste storie non erano un’esclusiva del nostro Paese; circolavano anche altrove dove la fame si faceva sentire in maniera peggiore che da noi: in Inghilterra, quasi negli stessi anni circolava la storia di una famiglia che aveva comprato carne al mercato cittadino, l’aveva portata a casa, e aveva cominciato a percepire uno strano tremolio proveniente dall’involto: si trattava, in realtà, di…. un tumore di balena.
Questa leggenda girò parecchio nel Regno Unito: Rodney Dale (1933-2020) ci intitolò pure un libro, The Tumour in the Whale (Il tumore nella balena, 1978), che raccoglieva tutti quegli aneddoti in cui una storia era attribuita all’amico di un amico, ma per le quali, andando a ritroso nella catena delle fonti, non si riusciva mai a capire come fosse saltata fuori. Un libro considerato una pietra miliare dello studio delle leggende metropolitane: consacrò per i posteri l’acronimo FOAF, “Friend of a Friend”, utilizzato ancora adesso dagli studiosi (l’organo dell’ISCLR – International Society for Contemporary Legend Research – si chiama tuttora FOAF Tale News). Va detto che il raccontino del tumore nella balena attecchì poco in Italia. In compenso, a Torino ne giravano altri dal tono analogo:
Sono circolate in questi giorni, dopo il noto scandalo della carne putrefatta che i coniugi Susa tenevano nascosta per insaccare nei salumi (il riferimento è alla scoperta, dieci giorni prima, della vendita di carne inadatta al consumo da parte di una macelleria di quello che oggi è corso Casale, NdR), alcune infondate voci di macellazione clandestina, di altri animali che non siano bovini e suini. In borgo San Donato ad esempio si è parlato per più giorni, nei crocchi e nei negozi, della scoperta, inesistente, nel canale del Fortino, di due cani morti e completamente spellati. (Stampa Sera, 17-18 luglio 1941)
La voce popolare affermava che i cani erano stati buttati in acqua da “salumai o negozianti disonesti”, che volevano disfarsi del corpo di reato per non essere scoperti dalla Polizia annonaria (proprio in quei giorni si erano intensificate le operazioni di controllo). La Stampa, comunque, aveva provato anche a verificare le voci circolate sui topi-quaglia:
Immediatamente abbiamo richiesto informazioni alla Sezione dei vigili di S. Salvario, al Commissariato locale di P.S., alla Polizia Annonaria, a tutte quelle Autorità, insomma, che la grave cosa avrebbero dovuto conoscere, ma nulla, assolutamente nulla, di vero risultò esistente nella notizia. Né il nome del vigile, non quello del fermato e neppure che scoperte del genere od altre abbiano portato in questi giorni a qualche arresto e denuncia all’autorità giudiziaria.
In questo modo, il quotidiano cittadino smentiva un articolo pubblicato dal giornale diretto da Vito Mussolini, nipote del duce… Le fake news, lo ripetiamo sempre, non sono un’invenzione di questi giorni. Ma la vicenda dei topi-quaglia di San Salvario ha qualcosa in più del “semplice” falso giornalistico. Ha il sapore della leggenda metropolitana d’epoca, del racconto sussurrato nei crocicchi e poi ripresa, senza troppe verifiche, dal cronista del Popolo d’Italia. Storie da stomaco vuoto, potremmo chiamarle, alimentate dalle restrizioni a cui i torinesi erano sottoposti…
La “nostra” versione, tutta piemontese, del “tumore nella balena” britannico.
Foto di Nick Fewings da Unsplash