I segreti dei Serial Killer: Vincenzo Verzeni
Articolo di Marianna Cuccuru
La figura del serial killer è da secoli avvolta da un alone di mistero, che a volte sconfina nella leggenda. L’assassino seriale spesso uccide le sue vittime con modalità atroci, insolite, che infrangono ogni tabù immaginabile, come il cannibalismo o la necrofilia. Suscita in noi emozioni contrastanti come l’orrore, il disgusto e la rabbia per il dolore inferto alle sue vittime, ma non si può negare che susciti anche una fascinazione che ci turba, che scalfisce le nostre certezze profonde con domande che preferiremmo non formulare mai. I mass media spesso usano metafore provenienti dal mondo animale o dalle creature fantastiche e mostruose per definire un omicida di questo tipo; celebri sono ad esempio le diciture come “mostro”, “mantide”, “lupo mannaro”, “vampiro”, “vedova nera”, “angelo della morte”. Ciascuna di queste espressioni è stata associata a molti assassini (seriali e non) ed ha contribuito a disumanizzarli, a renderli qualcosa che di umano non ha più nulla. Probabilmente è proprio questo l’aspetto che più di ogni altro non possiamo accettare: Il fatto che un serial killer sia un essere umano, possieda una mente umana e risponda a logiche umane, per quanto possano essere logiche considerate assurde ed estreme dalla comunità in cui vive, oltre ogni norma etica e sociale. Non appartiene a un mondo di mostri, ad una razza aliena che contamina silenziosamente la società civile di persone “normali”.
Anche se questi cosiddetti mostri sono noti da secoli, è solo dagli anni ’80 del Novecento, principalmente in ambito statunitense, che ci si è posto seriamente il problema di studiarli più a fondo, capirne le dinamiche in modo più sistematico e cercare di classificarli in qualche modo, differenziandoli più nettamente da altri tipi di criminali, come gli assassini di massa. Questo ritardo è probabilmente dovuto anche al fatto che il crimine seriale ha avuto un aumento esponenziale durante il corso del ‘900, in particolare tra gli anni ’70 e ’80, pur rimanendo fortunatamente un fenomeno estremamente marginale.[1]
Vincenzo Verzeni, un vecchio caso nostrano
Un caso particolare, che ha sicuramente segnato un primo interessamento del mondo scientifico italiano dell’epoca positivista, e in particolare di Cesare Lombroso, è stato senza dubbio quello di Vincenzo Verzeni. La criminologia era agli albori: si parlava invece di antropologia criminale, e i crimini come quelli di Verzeni (che non è sfuggito al soprannome di “Vampiro bergamasco”) erano considerati “senza motivo” e dettati da una follia indecifrabile. Era alta infatti la curiosità nel mondo scientifico e giuridico intorno a dei crimini che non sembravano essere motivati dai moventi “canonici”, come denaro, odio, gelosia, vendetta, tornaconto personale.
Vincenzo Verzeni nasce l’11 aprile del 1849 a Bottanuco, un paesino di campagna in provincia di Bergamo. È figlio di contadini, ed è contadino anche lui. Non ha frequentato alcuna scuola, viene definito un bambino intelligente e introverso, poco appariscente e remissivo. Conduce una vita dura e faticosa, in un mondo dalla mentalità bigotta e repressiva, in cui qualsiasi tipo di svago o divertimento non è contemplato.[2] I suoi familiari, genitori e zii, sono severi con lui, lo picchiano regolarmente ma lui non mostra mai segni di ribellione, sembra anzi rispettarli molto, in particolare il padre. La madre è una donna fredda, poco affettuosa. Verso i 12 anni, Vincenzo inizia ad avere le prime pulsioni sessuali, che però capisce non essere affatto nella norma. I pensieri da cui è ossessionato sono infatti molto particolari: ciò che lo eccita è il pensiero di aggredire una donna, di gettarla a terra con la forza, di metterle le mani intorno al collo stringendolo più possibile, stando sopra di lei. Qualche anno prima aveva iniziato a capire che uccidere i polli non era per lui qualcosa di quotidiano e necessario per mangiare, ma un’azione estremamente piacevole, che faceva ad ogni occasione.[3]Oggi sappiamo che la maggior parte dei serial killer sperimenta la violenza sugli animali prima di passare a quella sugli esseri umani: gli animali sono infatti le prime creature su cui i futuri seriali possono esercitare un potere assoluto. Crescendo, Vincenzo riesce ad avere qualche ragazza, ma capisce che i normali rapporti sessuali sono per lui insoddisfacenti. Il ragazzo attua la prima aggressione nel 1867 nei confronti di sua cugina dodicenne, Marianna Verzeni, che abita nella stessa cascina dove vive Vincenzo. L’occasione si presenta quando la cugina è a letto in convalescenza dopo aver avuto il colera. Vincenzo le sale sopra, inizia a stringerle il collo con tutte le sue forze, strusciando su di lei il suo corpo, e la lascia solo quando lui raggiunge l’orgasmo. Marianna è ancora viva, terrorizzata e ansimante. La cugina non dirà nulla di quella aggressione.
Due anni dopo questo primo episodio, nell’inverno 1869, Vincenzo mette in atto la sua seconda aggressione, avvicinando le vittime in un modo che ripeterà più volte, anche nei delitti: incontra Barbara Bravi in una stradina di campagna, sembra che la voglia salutare e invece la trascina in un campo, le afferra la gola stringendola più forte che può; Barbara tenta di liberarsi senza successo. Sopraggiunge l’eiaculazione, al che Vincenzo lascia immediatamente la presa. Barbara, terrorizzata, non racconta a nessuno ciò che è successo.
Pochi giorni dopo, Vincenzo aggredisce Margherita Esposito con le stesse modalità dell’agguato a Barbara Bravi. Margherita è però molto forte e riesce a ribellarsi a Verzeni, a liberarsi dalla sua stretta e a scappare. Anche Margherita non denuncia questo episodio.
L’otto dicembre del 1870 scompare da Bottanuco una ragazzina di 14 anni, Giovanna Motta, che era a servizio della famiglia Ravasio. Sulla strada per Suisio, il paese verso cui era diretta Giovanna il giorno della sua scomparsa, per andare a trovare la sua famiglia, vengono ritrovati degli oggetti appartenenti alla ragazza, un fazzoletto e un santino. Inoltre, il nove dicembre, un contadino di nome Battista Mazza ritrova delle interiora in un albero cavo, ma immagina appartengano a un animale.
La sera stessa, con tutto il paese in ansia e mobilitato per cercarla, Giovanna viene ritrovata.
Gli omicidi
È stata strangolata e lasciata nuda nella neve. Ha della terra in bocca, è stata selvaggiamente pugnalata e sventrata, l’intestino estratto, è stata mutilata degli organi genitali e di un polpaccio. Accanto al corpo, dieci spilloni per capelli che appartenevano a Giovanna sono stati disposti in maniera simmetrica dall’assassino. Il paese intero è completamente sconvolto, un delitto del genere è tanto efferato da far impallidire Jack lo Squartatore, che avrebbe colpito Londra quasi vent’anni dopo. Il caso rimane per mesi irrisolto, nessuno era preparato per affrontare e risolvere un crimine così assurdo.
Il 10 aprile del 1971 Maria Galli viene importunata, aggredita e gettata a terra da un uomo che tenta di strangolarla, ma che improvvisamente la lascia andare. In seguito riconoscerà in Verzeni il suo aggressore.
Il 26 agosto del 1871 Maria Previtali viene aggredita da un suo lontano cugino, Vincenzo Verzeni, in una strada di campagna. Vincenzo la trascina lontano dalla strada, la schiaccia a terra, le stringe le mani al collo. Maria pensa di morire, sente le forze venirle meno. Inaspettatamente, Vincenzo la lascia, la fa alzare in piedi e la libera.
Il giorno dopo scompare la contadina Elisabetta Pagnoncelli. Il marito si allarma subito, esce a cercarla e la trova la sera stessa. Elisabetta è in condizioni molto simili a quelle di Giovanna Motta: è stata strangolata, questa volta con una corda, è nuda e piena di ferite, è stata sventrata. Mancano i suoi genitali. Ha tre dei suoi spilloni per capelli nella schiena e gli altri sono disposti accanto al corpo.
Questo secondo delitto però ha dei testimoni: due donne del paese raccontano di aver riconosciuto Verzeni, di averlo visto parlare con Elisabetta il giorno del delitto, vicino al luogo del ritrovamento del cadavere. Emergono le testimonianze delle vittime dei tentati omicidi, e così Vincenzo viene subito arrestato e confessa i suoi delitti.[4]
Arriva il positivista
Cesare Lombroso si interessa al suo caso, lo analizza a fondo per cercare di comprendere quali siano le motivazioni alla base di omicidi apparentemente immotivati. Cerca conferme sulle sue teorie sull’atavismo, sul “delinquente nato”, sui tratti fisici anomali che sarebbero segnali di una tendenza criminale innata, ma cerca anche di capire Vincenzo, ci parla per ore ed ore, lo tratta con umanità per comprenderlo e cercare di stabilire se sia pazzo oppure no. Lo studioso definisce Il giovane bergamasco come proveniente da una famiglia affetta da “cretinismo”, malato di pellagra, e “affetto da necrofilomania o pazzia per amori mostruosi e sanguinari”.[5]
Vincenzo parla di ciò che oggi chiameremmo la sua vittimologia: fin da ragazzino il suo desiderio più grande è quello di strangolare le donne, ma non ha preferenze di età o di aspetto. Ha aggredito ragazzine, ragazze di oltre vent’anni e donne di mezza età: non gli interessano le caratteristiche fisiche. Sembrerebbe che colpisca solo in base all’opportunità di non essere interrotto, ma non si preoccupa di lasciare vittime vive, tracce di sé o testimoni. Racconta di aver divorato alcune delle parti del corpo prese alle donne uccise, di aver bevuto il loro sangue. Afferma di non avere grande interesse per quelle che chiama “parti sessuali” delle donne, ma semplicemente nello strangolamento. Una forte attrazione sessuale per questa forma di violenza non è qualcosa di insolito tra i serial killer: un esempio è Jeanne Weber, chiamata “l’orchessa della Goutte-d’Or”, vissuta tra l’Ottocento e il Novecento in Francia, provava un intenso piacere erotico nello strangolare bambini e bambine.[6] Nel caso di Vincenzo, appena sopraggiunge l’eiaculazione, lo strangolamento si interrompe immediatamente quando quello che lui definisce “l’estro” ha il suo termine. Se però l’orgasmo tarda, se la vittima muore, allora Verzeni sente il bisogno di mettere in atto dei gesti con delle caratteristiche rituali, come lo sdraiarsi accanto al corpo o la disposizione degli spilloni; gesti di cui nemmeno lui sa spiegare il significato. Ama mordere l’interno delle cosce delle vittime, prova estremo gusto nel mangiarne la carne e berne il sangue, nel toccare e sentire il calore delle viscere delle ragazze. Afferma di provare eccitazione al solo odore delle vesti femminili. Racconta di aver usato un rasoio per lo sventramento di Giovanna Motta, quello che usava per radersi, e di averne tratto un immenso piacere.
Lombroso stabilisce, sia in base ai racconti di Vincenzo sia in base alle misurazioni antropometriche che secondo lui dimostrano la delinquenza innata, che Verzeni ha un vizio parziale di mente, che non può essere condannato a morte. Al contrario, il perito Luigi Fornasini non esclude una certa capacità di distinguere il bene dal male e di deliberata scelta di uccidere del Verzeni. Egli afferma infatti:
“Un uomo che abbia commesso tutti i delitti dei quali è imputato il giovine Verzeni, nel modo e nelle forme note, potrà dirsi nel linguaggio volgare un pazzo. Noi però lo denunciamo, a rigore di termine, come un delinquente. Chi è dotato di ragione e arbitrio, e tuttavia si arrende alle suggestioni malvagie, ha sempre la responsabilità morale e legale delle sue opere. L’indole, o inclinazione naturale attenua sì, ma non esclude la colpa.”[7]
È interessante notare come questo tipo di dilemmi, nonostante il progresso della psichiatria, sia presente ancora oggi in molti processi per omicidio, ed è frequente che ci siano perizie contrastanti.
Il processo e la detenzione
I giudici della corte di Assise di Bergamo scelgono infine di giudicarlo come sano di mente, di votare per un’eventuale fucilazione. Per un solo voto non si raggiunge l’unanimità, per cui Verzeni viene condannato all’ergastolo, ai lavori forzati a vita. Anche dopo la condanna Verzeni vuole parlare con Lombroso, fornisce moltissimi dettagli dei suoi crimini, ormai non ha nulla da perdere e probabilmente gli fa piacere avere un eminente studioso che lo ascolta, e che lo tratta in modo dignitoso.
Nel 1872 Vincenzo Verzeni viene rinchiuso nel manicomio criminale di Milano. I trattamenti psichiatrici in uso allora, che al giorno d’oggi sarebbero considerati vere e proprie torture, lo gettano presto in una cupa disperazione.
Nel 1873 aggredisce un infermiere, strappandogli un testicolo con un morso, questo gesto gli costa l’isolamento per quaranta giorni. Sulla fine dei suoi giorni esiste una controversia: secondo alcune fonti, poco dopo il periodo di isolamento, Verzeni si sarebbe impiccato nella sua cella, all’alba. In seguito, lo stesso Lombroso avrebbe effettuato l’esame autoptico su Vincenzo, senza trovare la fossetta occipitale, il “segno”, secondo Lombroso, della criminalità atavica.[8] Secondo altre fonti invece, sarebbe sopravvissuto al tentativo di suicidio e sarebbe morto in età più avanzata per cause naturali, nel 1918.[9]
Oggi sappiamo che le teorie sull’atavismo e sui “delinquenti nati” sono prive di fondamento. Tuttavia, l’interessamento di Lombroso, controcorrente rispetto alla norma del tempo riguardo all’atteggiamento nei confronti dei criminali, ha segnato un passo importante: ha messo in dubbio l’idea che ci fossero crimini “immotivati”, incomprensibili, frutto solo della follia, della mera cattiveria o dell’influsso del demonio. Figlio della cultura positivista, Lombroso è stato ad ascoltare, ha cercato di capire e per certi versi di aiutare Verzeni, ed anche di intuire un modo per prevenire futuri crimini, cercandone le cause più profonde, un’idea che sarà alla base della criminologia moderna.[10]
Riferimenti bibliografici
[1] C. Wilson, D. Seaman, Il libro nero dei serial killer, Newton Compton, Roma 2008.
[2] C. Lucarelli, M. Picozzi, Serial killer. Storie di ossessione omicida, Mondadori, Trento, 2004, pp.10-22.
[3] V. Mastronardi, R. De Luca, I serial killer, Newton Compton, Roma, 2006, pp.604-605.
[4] C. Lucarelli, M. Picozzi, Serial killer. Storie di ossessione omicida, Mondadori, Trento, 2004, pp.10-23.
[5] Ibidem.
[6] M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma, 2004, pp. 342,343.
[7] A. Accorsi, M. Centini, I serial killer, Newton Compton, Roma 2008, p.33.
[8] C. Lucarelli, M. Picozzi, Serial killer. Storie di ossessione omicida, Mondadori, Trento, 2004, pp.22-23.
[9] M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma, 2004, pp. 335,336.
[10] C. Lucarelli, M. Picozzi, Serial killer. Storie di ossessione omicida, Mondadori, Trento, 2004, pp.10-22.
“Il 10 aprile del 1971 Maria Galli viene importunata…” Direi: 1871. Certo, uno come me, che di fronte a una storia del genere sente il bisogno di mettere a posto una data, non è normale. Corro dall’ Armando (De Vincentiis).
Ciao Aldo, non mi sono accorta dell’errore e mi dispiace. Però mi sarebbe più utile un parere più generale sull’articolo. PS un salto da De Vincentiis penso lo dovremmo fare tutti..
Cara Marianna, grazie per il sollecito di un parere. L’ articolo è scritto bene. Ovviamente è anche in linea con le linee-guida della Ricerca Scientifica nel campo della Criminologia e della Psichiatria “di confine”. Quando dici “Oggi sappiamo che le teorie sull’atavismo e sui “delinquenti nati” sono prive di fondamento” rivendichi la Tua appartenenza, che, in un altro modo, è comunque di radice lombrosiana. Non era Positivista solo lui, ma lo siete anche Voi del CICAP, per quanto Neo-Positivisti. Purtroppo la Verità è esattamente il contrario. Certi personaggi e certi comportamenti si spiegano molto bene solo con l’ esistenza di Dio e del Diavolo, in particolare di Demoni che si incarnano in questo Mondo grazie ai nostri comportamenti favoreli ad essi. L’ orrore di certi comportamenti sessuali si spiega molto bene con il Peccato Originale e il Potere che da allora Satana ha sul sesso. Certo non ho a sostegno della mia opinione quasi nulla di quello che oggi è ricerca scientifica e pochi Psichiatri e Criminologi, i quali vanno molto cauti nell’ esprimere in ambito scientifico qualunque idea di base che includa l’ esistenza di Dio e del Diavolo. Perché si è deciso anche prima della Rivoluzione Francese di abbandonare queste verità e in primis le ha abbandonate la parte ufficiale della Chiesa Cattolica. Facciamo una cosa, scommettiamo: se avete ragione Voi tra 150 anni al massimo verremo a capo del problema e non esisteranno più personaggi come Verzeni. Se ho ragione io tra meno di 50 anni non esisterà su questo pianeta più nulla di simile alla moderna Criminologia e alla moderna Psichiatria.
Una storia molto interessante e ben scritta, complimenti!
Bellissimo articolo, scritto con molto ritmo e grande competenza.
Complimenti a Marianna Cuccuru!!!
A quando il prossimo?
Paolo Grappeggia