Giandujotto scettico

Un antico fulmine globulare nel Canavese

Giandujotto scettico n° 65 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (04/06/2020)

Gli eclettici della scienza, assai diffusi in un passato ormai remoto, sono sempre interessanti. Diseguali, a volte, essendo degli onnivori, non sempre in grado di maneggiare pienamente le pur modeste conoscenze dei loro tempi, irrefrenabili estensori di relazioni in bella prosa, testimoniano gli strati colti delle società e la ricezione faticosa di nuove idee, modelli, concezioni, modi con i quali si concepivano l’evidenza e le “prove”, oltre che rapporti e influenze reciproche fra studiosi.

Un eclettico fu senz’altro un religioso torinese, Antonio Maria Vassalli-Eandi (1761-1825), che, pur essendo dal 1792 professore aggiunto di fisica all’Università di Torino ed occupandosi di pesi e misure, coltivò per tutta la vita la principale delle sue passioni, la meteorologia, tanto che negli ultimi sei anni di vita ebbe la direzione dell’Osservatorio meteorologico dell’Accademia delle Scienze.

Oltre a descrivere i presunti fenomeni insoliti che avrebbero costellato lo sciame sismico che nel 1808 colpì la Val Pellice e dintorni, Vassalli Eandi fu forse il primo scienziato piemontese a dedicare attenzione al fenomeno – tuttora controverso – dei fulmini globulari, del quale avevamo raccontato già qualcosa in relazione al Piemonte. Doveva saperne a sufficienza grazie agli articoli che uscivano nelle Philosophical Transactions della Royal Society di Londra, e poi, forse ancora di più, gli era giunta l’eco degli scritti di Benjamin Franklin sull’elettricità e sui parafulmini, e quella delle osservazioni dell’abate Pierre Bertholon, che nel 1787 a Parigi aveva pubblicato in due tomi il trattato De l’électricitè des méteorès. Entrambi avevano provato a inserire i resoconti sui presunti “globi di fuoco” temporaleschi nelle loro teorie sull’elettricità, ed è chiaro che Vassalli si muoveva sulla loro scia.

La testimonianza più chiara che il fisico piemontese aveva fatto sua l’attenzione degli scienziati verso le caratteristiche elettriche di alcuni fenomeni, è in una serie di saggi che Vassalli Eandi pubblicò a Torino nel 1789 presso la Stamperia Reale, le Memorie fisiche. Alle pagine 74-93 c’era la Relazione degli effetti prodotti dal fulmine caduto addì 9 di luglio alle ore 23 1/2 sopra il campanile della Chiesa Parrocchiale di Corio.

Da essa apprendiamo che Vassalli-Eandi, appreso in qualche modo che a Corio Canavese, nelle valli di Lanzo, si era abbattuto un temporale fulminifero che aveva recato morte e distruzione, vi si era recato per svolgere un’indagine sulle caratteristiche del fenomeno e sui danni prodotti, lamentando che in tante precedenti descrizioni di cadute di fulmini non vi fossero dettagli sulle caratteristiche esatte dei punti e dei luoghi in cui si erano scaricati.

…per una settimana interrogai molte persone, e addottrinate, e rozze, che furono presenti al fatto, e ponderando le loro risposte replicate con una severa critica, procurai di torre ogni parto della fantasia, che fece travedere diversi, ed impedì di sentire, o meglio di riferire al fulmine i suoi propri effetti.

La sera del 9 luglio 1788, dunque, intorno a Corio si vedevano tre diverse celle temporalesche muoversi in direzioni tali che ad un certo punto si fusero in una sola, a ovest dell’abitato. Mentre si moltiplicavano i fulmini, sul paese prese a piovere copiosamente. Dopo un quarto d’ora di pioggia a dirotto, un fulmine si abbatté sulla chiesa parrocchiale, quella di San Genesio, che a quel tempo aveva non più di quarant’anni.

Colpì la croce sul campanile e scese attraverso le campane, vicino a cui si trovavano in quel momento cinque persone. Un ragazzo fu ucciso all’istante dalla scarica, un altro, che stava suonando la campana mezzana con una cordicella legata al battente, rimase ustionato e perse i sensi per un po’, tanto che all’inizio pensarono fosse morto. Un terzo si trovò i capelli bruciati. Il padre dell’ustionato finì sbalzato su due travi, col naso che perdeva sangue e ferite provocate dall’urto contro il muro. Tornò pienamente cosciente solo il giorno dopo. Soltanto il quinto fra i presenti restò illeso.

Vassalli-Eandi sondò con aghi metallici alcune delle pietre silicee che componevano la torre campanaria, e a molti giorni di distanza constatò che risultavano magnetizzate. I danni arrivavano sino al portone della chiesa, all’organo e ad altre strutture vicine. Insomma, una botta terribile.

Ma ecco la parte di nostro interesse maggiore, quella che concerne ciò che accadde prima che il fulmine si scaricasse all’interno della chiesa.

Il sig. D. Caviglione Maestro delle scuole di Corio, il quale in quel momento che scoppiò il fulmine ritrovavasi sulla porta, per cui dalla sagrestia si passa all’altar maggiore, mi assicurò di aver osservato nel mezzo della Chiesa all’altezza di un raso circa da terra [un raso nel Piemonte pre-rivoluzione francese corrispondeva a 60 cm circa, NdA] un globo di fuoco d’oncie circa dodici di diametro [51 cm circa, NdA], il quale in brevissimo tempo si dissipò. Varie persone concorse in Chiesa a pregare caddero per essere state scosse, e la serva del suddetto sig. D. Caviglione perdette gran parte della vista dell’occhio destro, esaminando il quale lo trovai coperto di una piccola nubecola albicante verso il centro.

Quando si trattò di considerare la natura delle due manifestazioni più clamorose, la caduta del fulmine sul campanile e la comparsa del “globo di fuoco” a mezz’aria all’interno della chiesa, Vassalli-Eandi si attenne alle nozioni standard del suo tempo. L’elettricità presente in natura proprio in quegli anni si stava rivelando una chiave per passare all’accumulo di elettricità e, poi, alla sua produzione artificiale.

Anche se la pila era ancora lontana, quando Vassalli si occupava del fenomeno di Corio, Alessandro Volta aveva già inventato il condensatore (o capacitore) da otto anni. In quel contesto generale, si discuteva fra i dotti ormai da quasi cinquant’anni anche di quelli che poi saranno chiamati fulmini globulari, ma in tanti – come Vassalli Eandi – li collegavano ancora alle meteore, delle quali, del resto, ancora quasi nessuno aveva chiara l’origine extra-atmosferica.

Circa “il globo di fuoco comparso in mezzo della Chiesa” era pacifico nelle sue sicurezze. Prima di soffermarsi più a lungo sui fulmini lineari, infatti, argomentava così:

Riguardo al primo avendo altrove diffusamente dimostrato [il riferimento era alla Memoria sopra il bolide degli 11 settembre MDCCLXXXIV, e sopra i bolidi in generale, Torino, Stamperia Reale, 1786, che si occupava di un fenomeno meteorico scorto da tutta l’Italia settentrionale, NdA], che simili globi sia che facciano la loro comparsa nelle alte regioni dell’atmosfera, ovvero che si muovano poco elevati da terra, sono prodotti dal fluido elettrico, il quale per equilibrarsi deve passare per un conduttore, che non ha sufficiente capacità per trasmettersi latente, credo inutile cosa trattenermi ad applicare a questo caso la teoria, che si può dire confermata dal Greco Epico diligentissimo osservatore della natura co’ seguenti versi:

Come talora esce di nube oscura
Astro lucente apportator di guai;
E come si mostrò, poscia si fura,
e nella nube spegne i chiari rai.

(La versione usata da Vassalli-Eandi era L’Iliade d’Omero tradotta in ottava rima dal Padre Giuseppe Bozoli della Compagnia di Gesù, Roma, 1770, canto 11, str. 12)

La bio-bibliografia di Vassalli-Eandi compilata nel 1825 dal medico Secondo Berruti (1796-1870), nipote del fisico, mostra (alle pp. 27-29, per l’episodio di Corio) che lo studioso era, nel bene e nel male, uomo del suo tempo. Il grande mito della fine del XVIII secolo, l’elettricità naturale, spiegava tutto, e – fra le altre cose – rendeva conto anche di bolidi, meteore meno vistose, fulmini lineari e globulari, aurore boreali, terremoti, e così via. I fulmini, che fossero “sferici” o meno, per lui dovevano essere parenti stretti delle meteore. Di lì a poco, nel 1794, sarebbero giunte le osservazioni di un altro prete e matematico italiano, l’abate senese Ambrogio Soldani, e quelle del fisico tedesco Ernst Chladni, che avrebbero fatto cambiare del tutto il paradigma sui bolidi: stava diventando chiaro che si trattava di sassi provenienti dallo spazio, anche da zone remotissime di esso. Con i fulmini globulari c’entravano ben poco.

Le analogie individuate da Vassalli-Eandi tra “globi di fuoco” e manifestazioni meteoriche, però, sono pagine di storia del pensiero scientifico e degli uomini che lo fecero. La storia della scienza è anche la storia di quelle teorie che per un certo tempo sono sembrate valide, e poi abbandonate. Ed è bello pensare che per un po’ uno di quei sentieri sia passato anche da Corio.

Foto di Nathaniel Stensen da Pixabay