Le piastre di Tesla e la scienza capovolta
Articolo di Matteo Matassoni
Nikola Tesla è un nome che ricorre spesso nei discorsi di chi propone teorie pseudoscientifiche. Questo è dovuto al fatto che uno dei suoi campi di studio fu l’elettromagnetismo, cioè un fenomeno misurabile ma non visibile e quindi più facile da strumentalizzare ed al fatto che Tesla ha lasciato una scarna documentazione dei suoi esperimenti, rendendo più facile attribuirgli teorie che non ha mai sostenuto. Inoltre il suo carattere eccentrico e le sue bizzarrie lo hanno posto spesso in contrasto con gli scienziati dell’epoca, quindi con quella che viene definita con disprezzo scienza “ufficiale”. Tutto questo rende Tesla estremamente attraente per chi diffonde soluzioni illusorie o apparati miracolosi. Uno di questi dispositivi è costituito dalle Piastre di Tesla che ci accingiamo a descrivere.
Le Piastre di Tesla vengono descritte come un dispositivo in grado di utilizzare l’energia dell’universo, denominata “free-energy“, per diminuire emicranie, dolori articolari, gonfiori e crampi, migliorare la capacità di concentrazione dei bambini e le prestazioni fisiche degli adulti ed aumentare la qualità del cibo e dell’acqua, con benefici effetti anche su piante ed animali.
Chi le promuove afferma che esse sono state inventate da un presunto collaboratore di Tesla di nome Ralph Bergerstresser che, sfruttandone il brevetto No.685.957 del 1901, avrebbe costruito delle antenne in grado di captare e ritrasmettere energia cosmica. Particolare interessante: il nome di Ralph Bergerstresser non si trova su internet se non legato ai siti che propongono le Piastre di Tesla; non compare con ricerche on line o su altri siti.
La spiegazione del funzionamento mette insieme applicazioni tecniche confuse e approssimative a teorie di meccanica quantistica, descrivendole come antenne di Alluminio riceventi e trasmittenti, che prendono energia dal campo di Schumann per ritrasmetterla a ciò con cui entrano in contatto.
Il procedimento con cui vengono realizzate è costituito da un processo di ossidazione che modificherebbe lo spin degli elettroni dell’Alluminio e una successiva anodizzazione gli permetterebbe di interagire coi Tachioni rallentandoli e creando un altro campo “ad alta densità”.
Questo sarebbe in grado di neutralizzare i campi negativi e provocare benefici effetti sugli organismi.
Il problema principale di questa descrizione è l’arbitrarietà con cui vengono utilizzati termini fisici o matematici.
La parola “campo” non rappresenta un luogo situato in uno spazio fisico, ma è una astrazione ideale utile a creare modelli per studiare sistemi complessi (come il campo scalare o quello vettoriale).
Il campo (o risonanza) di Shumann, ad esempio, è un debolissimo campo elettrico presente tra la ionosfera e la superficie terrestre. È una sorta di eco delle scariche dovute ai fulmini e non emana nessuna “energia” o influenza sulla materia vivente.
L’esistenza dei tachioni, inoltre, non è mai stata provata, né a livello teorico né ci sono evidenze sperimentali che li abbiano rilevati.
Dichiarare di poterli rallentare per produrre campi ad alta densità è una affermazione priva di significato: anche se i tachioni esistessero non sarebbe possibile rallentarli. E chiaramente non si può agire su qualcosa che nessuno ha mai visto.
Lo spin è una proprietà intrinseca delle particelle legata alla loro rotazione, ma non nel senso comune del termine (in sostanza una particella non ruota sul suo asse come il pianeta Terra).
Siamo nel campo della meccanica quantistica, cioè della teoria che spiega il comportamento delle particelle subatomiche altrimenti non interpretabile con le leggi della meccanica classica.
Processi di ossidazione o verniciatura non hanno nulla a che fare con lo spin.
Non è neanche specificato in cosa consista la variazione dichiarata (ad esempio se uno spin intero diventi semintero o da positivo diventi negativo) né come questa variazione sia stata provata, visto che per poterlo affermare bisognerebbe aver eseguito almeno due misure, una prima e una dopo la modifica.
A differenza dell’esoterismo, che è dotato di un proprio simbolismo e di un proprio specifico linguaggio (vengono infatti usate parole come erratico, evocazione o sabba) o della magia, caratterizzata più che altro da parole inventate (abracadabra, hocus pocus), le pseudoscienze hanno la sleale caratteristica di mutuare il linguaggio scientifico e di utilizzarlo in maniera del tutto arbitraria.
Le parole “potenza”, “energia” e “vibrazione” per chi le usa in maniera scientifica hanno un significato ben preciso e definito. Unendo questi termini in una frase priva di significato del tipo: “potenza energetica vibrazionale”, si evocano in chi le ascolta immagini suggestive di atomi in movimento e, contemporaneamente, si creano difficoltà ad un ascoltatore che volesse controbattere con argomentazioni di carattere scientifico.
Per dare una parvenza di scientificità alle affermazioni fatte sulle Piastre di Tesla, viene proposto il risultato di un esperimento.
Questo sarebbe stato eseguito in un non ben precisato “centro clinico di Brisbane” in Australia, su un campione di 100 persone e mostrerebbe l’immagine di un dito anulare sinistro o di un corpo intero prima e dopo l’applicazione delle piastre.
Il confronto tra le due foto dimostrerebbe l’aumento della bioenergia dopo questa applicazione.
Il valore scientifico di un esperimento del genere è nullo.
Innanzitutto, nominare un generico centro clinico a Brisbane dà certamente un tocco di esotico e di internazionalità all’esperimento, ma non specificarne il nome è di per se indice di poca scrupolosità.
Nell’indicare i procedimenti con cui sono state ottenute le foto, vengono fatti generici accenni alla fotografia di Kirlian, a microscopi micro-capillari, a termometri ad infrarossi, EEG o ECG, ma senza dettagliare la procedurae senza spiegare come questi metodi siano stati applicati, né quale sia il fenomeno messo in risalto dalle fotografie o quali siano la quantità misurata e l’unità di misura utilizzata.
Mancano anche indicazioni sull’esistenza o meno di un gruppo di controllo e non viene presentata alcuna statistica sulle misurazioni fatte.
Non è dunque possibile verificare se l’effetto rilevato dalle foto sia dovuto al caso, ad una manipolazione o ad altri fenomeni anche naturali, che spiegherebbero quei risultati in maniera migliore delle forze cosmiche cui vengono attribuiti.
Tornando al brevetto di Tesla No. 685.957, il dispositivo che vi viene descritto non è un’antenna, ma un apparecchio dotato di una piastra conduttiva isolata, collegata in serie ad un condensatore e in grado di caricarlo elettricamente, per poterlo usare per un breve lasso di tempo come se fosse una batteria.
È vero che Tesla parla di “energia radiante”, “vapori di materia radiante” o “vibrazioni dell’etere” (anche se non nomina mai né il Campo di Schumann, né i tachioni o lo spin), questo però è semplicemente il linguaggio con cui venivano descritti all’epoca i fenomeni elettromagnetici, immaginati come oscillazioni meccaniche di un mezzo ipotetico. Quello utilizzato da Tesla nel 1901, altro non è che l’effetto fotoelettrico, che verrà spiegato completamente solo qualche anno più tardi da Albert Einstein con la scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico che gli valse il Nobel (e che, contrariamente a quello che comunemente si pensa, non gli fu attribuito per la Teoria della Relatività).
Quindi le piastre non sfruttavano nessuna energia misteriosa, ma semplicemente la luce del Sole.
Il dispositivo di Tesla agiva in base allo stesso principio che fa funzionare i moderni pannelli solari, di cui non è propriamente un lontano antenato, pur basandosi sullo stesso principio fisico.
Considerando le scoperte sull’elettromagnetismo fatte nell’ultimo secolo, leggere un brevetto originale di Tesla è estremamente emozionante.
In conclusione, attribuire a Tesla una qualsiasi relazione con le Piastre che portano il suo nome è un errore ed il dispositivo nel brevetto non sfrutta alcun tipo di energia cosmica.
Approfittare del nome del geniale inventore e prendere vocaboli a caso dai libri di meccanica quantistica non rende certe affermazioni vere, tanto quanto il fatto di indossare un kimono non rende me un samurai.
Matteo Matassoni è un ingegnere elettrotecnico libero professionista che si occupa di impianti elettrici industriali, media tensione e Innovation Management.
Ottimo commento; rilevante la considerazione sulla difficoltà in cui incorre chi debba controbattere scientificamente all’uso i congruo di terminologia scientifica e semplice quanto chiaro l’esempio del kimono.
Purtroppo il mondo è pieno di questi finti scienziati. Che tristezza……e pensare che c’è ancora chi sostiene che la terra è piatta…….lo sanno tutti che è ovoidale. L’ho letto su Internet…… e ho fatto esperimenti con un uovo sodo che lo dimostrano!