Giandujotto scettico

Torino: le mummie contro i bambini!

Giandujotto scettico n° 68 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo  (16/07/2020)

C’è stato un tempo in cui, a Torino, le mummie del Museo Egizio odiavano i bambini, facendoli svenire e procurandogli altri disturbi.

Successe fra il 2001 e il 2002, diverse volte. Oggi cercheremo di capire che cosa accadde – e anche adesso non è facile trarre conclusioni nette su quegli episodi.

Tutto ha inizio nel pomeriggio di mercoledì 21 marzo 2001. Due studentesse quattordicenni di un istituto magistrale di Como sono in gita scolastica a Torino. Mentre le ragazze, entrambe della stessa classe, si trovano nelle nuove sale espositive, inaugurate da pochi mesi, una delle due avverte un odore acre, “simile allo zolfo”. Accusa mal di testa, tremori, senso di soffocamento, caldo eccessivo. Impallidisce. Subito dopo si sente male l’altra, che è vicina a lei. Le portano fuori, ma visto che il malore non sembra passare, un’ambulanza le conduce all’Ospedale Mauriziano.

Il medico di turno ritiene che i sintomi siano “reali” e che non si tratti di “fantasie o suggestioni”. Le tengono in osservazione per una notte, ma le analisi non rilevano alcun tipo di intossicazione o di sostanza inalata. Niente di niente. Intanto, al Museo, anche altre alunne hanno avvertito “mal di testa e un vago senso di malessere”, ma per loro il medico di turno al Mauriziano ritiene si tratti – al contrario delle due trattenute, “di una sorta di psicosi collettiva”. Un’insegnante rimane con le due ricoverate. Non ha niente, ma anche lei dice che l’odore acre lo hanno sentito tutti, e che era fastidioso.

Ecco però che, subito, la vicenda viene inquadrata in un ambito specifico: la possibilità che nella struttura non sia stata rispettata qualche norma di sicurezza, che vi fosse stata qualche violazione delle procedure per la pulizia, sanitizzazione, o che lavori recenti avessero comportato l’uso e il trattamento inadeguato di sostanze non innocue. Il primario dell’Unità di Medicina del lavoro dell’Ospedale Mauriziano consiglia sopralluoghi e, se necessario, un campionamento dell’aria.

La direttrice dell’Egizio si attiva subito. Già quella sera sono effettuati controlli sugli impianti dell’aria condizionata e su altre attrezzature. Tutto sembra essere a posto. Quel pomeriggio hanno visitato il Museo ben 1589 studenti, ma quelli di altri istituti non hanno avuto nessun problema, ma ogni tanto, per forza di cose, qualcuno fra i più giovani ha piccoli problemi durante i tour. A lei, peraltro, non sono giunte nemmeno altre segnalazioni circa l’”odore acre”.

L’egittologo Silvio Curto, a lungo direttore del Museo, quando La Stampa, nel dare con enfasi la notizia nella sua edizione del 23 marzo 2001 tira in ballo “maledizioni di Tutankhamen” e ipotizza sostanze varie per conservare le mummie, preferisce sorridere e parlare di “vittime della suggestione”.

Il procuratore aggiunto della Repubblica di Torino, giudice Raffaele Guariniello, invece si mette risolutamente in caccia della causa. In una delle teche c’è un’ampollina di antimuffa, l’olio di creosoto, uno dei più classici conservanti per legni pregiati, insetticida, ecc.. Quella la causa dell’odore acre? – suppone il magistrato… Ma i custodi in servizio non hanno sentito odori, l’ampolla si trovava in una sala diversa da quella dei malori, una piccola quantità di sostanza veniva rilasciata davvero, aprendo un tappo, ma soltanto quando il museo non era aperto ai visitatori (La Stampa, 24 marzo 2001)…

Intanto, a Como due altri giovani che sono stati all’Egizio quel giorno si fanno visitare e sottoporre ad un esame non meglio precisato. La Procura di Torino lo acquisisce e ne manda gli esiti (non noti) al Centro antiveleni dell’Ospedale Niguarda di Milano. La caccia si veleno si fa serrata! (La Stampa, 25 marzo 2001).

Niente da fare. Neppure il timolo usato da lunghissimo tempo per la conservazione dei reperti giustifica i malori. Per di più, le teche sono ben sigillate.

E allora? Eccoci! Trielina conservata in abbondanza nei sotterranei del Museo. Ne trovano tracce sia i tecnici incaricati da Guariniello sia quelli dell’Arpa. Pulizie troppo energiche? (La Stampa del 1° aprile 2001). Ma possibile che la trielina dai sotterranei colpisse in modo così selettivo? La confusione aumenta. Il 18 aprile ancora La Stampa spiega che dal giorno prima e sino a fine mese Legambiente testerà una centralina per monitorare la qualità dell’aria fuori e dentro l’Egizio – cosa che fa sperare che i dati registrati possano contribuire a risolvere il dilemma dei malori…

Anche con tutti questi dubbi sulla realtà oggettiva delle sue cause, la nostra storia, ahimè, era appena all’inizio. L’esordio era stato troppo clamoroso perché non vi fosse il rischio di ripetizioni.

E quindi… I Faraoni colpiscono ancora al museo, è il il titolone del 1° maggio 2001. Due giorni prima una bambina di nove anni si è sentita male. Capogiro, testa pesante, caldo, senso di soffocamento. Viene portata di nuovo al Mauriziano, sottoposta ad esami e dimessa dopo poche ore. La mamma riferisce però che c’era una calca incredibile, un caldo insopportabile e che sono stati in coda per un’ora. C’era un odore strano, spiega la donna. Portata la bambina in bagno, all’uscita l’ha vista impallidire. Anche lei ha avuto le vertigini con la bambina.

La Stampa la chiama “la sindrome”. Il quadro di riferimento è ormai fornito, e da ora in poi, per un annetto, qualsiasi lieve malore di un visitatore (in specie se di giovanissima età) tra la fiumana che si riversa in quelle sale sarà addebitato alla “maledizione”, o, in un’alternativa che si pretende razionale, a qualche sostanza tossica di cui ogni tanto viene descritto “l’odore”.

Il giudice Guariniello è attentissimo a trovare una qualche violazione delle norme, ma quando, il 7 maggio, La Stampa spiega che il magistrato ha ordinato accertamenti ulteriori sui campioni di sangue e che vi è stata riscontrata una notevole quantità di monossido di carbonio, così si esprime. Ha agito:

Per tentare di capire se si tratti di inquinamento da sigarette fumate fino a pochi metri prima o da scarichi d’auto dall’adiacente via… Può aver concorso una pluralità di fattori, da eventuali allergie comuni alle ragazzine a un inadeguato ricambio d’aria.

Già, perché, a parte la trielina conservata nei sotterranei, si continua a non trovare nulla di evidente.

L’eco della storia si attenua per circa nove mesi. Fino a questo punto ci sono stati il malore di gruppo del 21 marzo 2001, che colpisce in modo diretto tre persone, con controlli però richiesti a Como da molte altre studentesse, e il caso isolato del 29 aprile, quello della bambina di nove anni. Il 16 gennaio 2002, però, un nuovo episodio simile al primo, quello che attirò l’attenzione sulla “maledizione”, si manifesta come un fulmine a ciel sereno.

In una sala posta in un seminterrato, dapprima sviene una bambina, seguita subito da un’altra, e all’istante una terza si mette a tremare in modo violento lamentando capogiri. Altri bambini scoppiano a piangere. Hanno otto anni e appartengono tutti alla stessa classe di una scuola elementare. Le bambine poi vomitano (si direbbe si fossero riprese dallo svenimento). Portate al Mauriziano, niente di anomalo viene riscontrato – nemmeno monossido di carbonio nel sangue. In ospedale una dice che al Museo c’era puzza di muffa e di incenso. Arrivano i poliziotti e il giudice Guariniello: forse non ci sono veleni, ma è il ricambio d’aria, allora, ad essere insufficiente.

Un pediatra del Mauriziano, intervistato, dichiara che dalle analisi non risulta niente, ma pure che non sanno bene che cosa cercare. Una madre è arrabbiata, cerca qualche responsabilità, mentre il maestro delle bimbe prova a gettare acqua sul fuoco. La sovrintendente alle antichità egizie cerca di spiegare che l’anno prima il Museo ha avuto 400.000 visitatori, che la metà erano bambini e ragazzi e che qualche malore isolato e senza che questa debba far pensare a chissà che cosa capita, e invita le autorità a fare ogni tipo di analisi e di misurazione sui locali dell’Egizio (La Repubblica, 16 gennaio 2002, La Stampa, 17 gennaio 2002).

Ma è inutile portare la forza dei numeri e la mancanza di qualsiasi chiaro riscontro strumentale come mancanza di evidenza : in questo genere di eventi, infatti sono gli episodi che coinvolgono all’istante più individui a spingere emotivamente verso l’idea di un agente intossicante, invece che a far pensare a cause di tipo psicogeno, nel nostro caso unita alla pubblicità ripetuta offerta dai media.

La voce della ragione, per fortuna, risuona grazie ad una lettera che il 20 gennaio 2002 compare sulle pagine del maggior quotidiano torinese:

In qualità di studentessa di egittologia e di operatrice didattica presso il Museo Egizio di Torino, intendo esprimere il mio disappunto circa le voci circolanti in merito alla presunta “Maledizione dei Faraoni” di cui il Museo sarebbe vittima.

Nonostante, infatti, mi trovi a trascorrere buona parte del mio tempo nelle sale del Museo, non sono mai stata colta da alcun malore, né mi risulta essere mai capitato nulla di analogo ai miei colleghi.

Personalmente ritengo che gran parte dei malori… dipendano dalla suggestione di cui i bambini…. sono vittime… oppure da malesseri personali… Purtroppo certe notizie portano al formarsi di “leggende metropolitane” che a lungo andare esasperano coloro che nel Museo lavorano…

Se fosse stata presente qualche agente esterno, oggettivo, in grado di provocare i malori in bambini che sostano per tempi limitati al Museo e in ogni singolo ambiente, perché chi li ci passa molte ore al giorno, diversi giorni a settimana, non ha avuto alcun problema?

La mattina del 23 gennaio 2002, il quarto episodio. Come sempre nei casi multipli, si tratta di due compagni di classe (due undicenni), anche se in questa occasione, per la prima volta, è un maschio. Il copione è lo stesso: caldo eccessivo, nausea, stordimento, lipotimia, subito imitata dalla compagna di classe presente, corsa all’Ospedale Mauriziano. La ragazzina spiega un po’ di cose. Suppone lei stessa di essersi sentita male alla vista del compagno, e che una settimana prima “per rassicurarle” in vista della visita, l’insegnante di religione le aveva parlato dei precedenti svenimenti dei bambini. Il direttore sanitario del Mauriziano, Mario Boraso dichiara che anche per questi due casi gli esami non rivelano niente, ma che, considerata l’indagine in corso, preferisce approfondire al massimo le valutazioni.

I consulenti del giudice Guariniello accorrono, non trovano nulla. Una sala, però – ma non quella di quest’ultimo episodio – risulta priva di adeguata aerazione (La Stampa e La Repubblica, 24 gennaio 2002). Seguiranno, il 25, commenti serissimi dello stesso giornale: il fantasma di Tutankhamen non scoraggia i visitatori, nemmeno i gruppi di studenti, che continuano ad affollare sale e anfratti… Tutti scherzano e ironizzano, dunque, ma non il giudice Guariniello. Un’altra analisi da lui richiesta proclama che in presenza di un numero elevato di persone, nelle sale potrebbe crearsi un eccesso di anidride carbonica, tale da indurre soggetti delicati a sentirsi male.

Intanto, migliaia e migliaia di ragazzini ridono e si divertono nel Museo, senza particolari preoccupazioni per le mummie. Il 4 febbraio un lettore de La Stampa chiede allo scrittore Oreste Del Buono, che ha una rubrica sul quotidiano, come mai – se si tratta di qualcosa di diverso da un fenomeno psicologico – nessuno del personale dipendente del Museo, uomini e donne, giovani e persone mature, ha riferito il minimo problema. L’anno precedente in quelle stanze sono passate quattrocentomila persone!

Il 21 dello stesso mese, una classe di una scuola elementare torinese scrive ancora al giornale di aver visitato il Museo, nemmeno trenta giorni prima, in mezzo alla calca, e di non aver avuto il minimo problema, se non la stanchezza per il lungo giro. Il 3 maggio, al contrario, un’ex-insegnante in pensione scrive dalla Brianza di aver visitato il Museo, e che le mancava l’aria, tanto di dover fare spalancare le finestre ai custodi.

In realtà, a questo punto la breve maledizione di Tutankhamen era già finita. Di malori “misteriosi”, per quanto ne sappiamo, non ne saranno più segnalati. In seguito alla miriade di controlli fatti nel corso di più di un anno, tuttavia, dopo aver rilevato nel corso di ulteriori accertamenti la possibile violazione delle norme antincendio al Museo, il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco il 4 maggio 2002 ordina alla direzione di limitare temporaneamente l’accesso alle sale a cento visitatori per volta (La Stampa, 5 maggio 2002).

Com’era prevedibile, il provvedimento fu associato ai “misteriosi malori” dei mesi precedenti. Però, le supposte carenze, a ben guardare, anche se scoperte anche in seguito alle indagini sui nostri fatti, non concernevano difetti che avrebbero potuto causare i malesseri dei bambini. Toccavano invece i rischi legati alla normativa prevista dal decreto 559 del 1992, ed era già stato richiesto al Museo (e alla vicina Accademia delle Scienze) di adeguarsi alla normativa. Seguiranno polemiche politiche sulle modalità di direzione del Museo e sulla mancanza di due porte tagliafuoco (La Stampa, 13 maggio 2002), vicende nelle quali la nostra questione affogherà rapidamente.

Agli inizi di giugno 2002 la sovrintendente e la direttrice risultavano indagate preliminarmente per violazione dell’art. 437 del Codice penale (“Omissione volontaria di cautele contro gli incidenti”), ma per il rischio di incendio, non per circostanze atte in qualche modo ad essere all’origine degli episodi che vi abbiamo descritto. In particolare, a struttura museale sarebbe risultata priva del certificato antincendio. Altre irregolarità toccavano lo stesso ambito, o la sicurezza in generale. Insomma, le verifiche avevano sì preso l’avvio dai “malori misteriosi” ma – a prescindere dalla fondatezza dei rilievi – sui “malori” non avevano trovato granché (La Stampa, 4 giugno 2002).

Ai primi di maggio del 2004 la sovrintendente fu rinviata a giudizio per questi motivi: era accusata di non aver provveduto ai lavori di adeguamento antincendio (La Stampa, 4 maggio 2004). Pochi mesi dopo, probabilmente anche in seguito al dispiacere per quel provvedimento, la sovrintendente, dopo una lunga carriera come archeologa, si dimise dal suo posto.

Che cosa accadde sul serio in quelle stanze, fra il 2001 e il 2002? Difficile dirlo con sicurezza, perché l’evidenza dice che si mescolarono varie cose. I malori furono fin dall’inizio approcciati come questioni di medicina del lavoro e di norme sulla sicurezza, e in questo modo ci pare che l’attenzione alle dinamiche dei singoli episodi non fosse sempre al top.

Facendo i conti, l’intera serie comportò tre episodi collettivi con protagonisti bambini: quello iniziale – su scala maggiore – il 21 marzo 2001, il secondo il 16 gennaio del 2002 e l’ultimo il 23 gennaio dello stesso anno.

Per quel che possiamo vedere, questi tre casi possiedono alcune caratteristiche proprie delle MPI, le Mass Psychogenic Illness, ossia

la rapida diffusione di segni e sintomi di una malattia che colpisce i membri di un gruppo coeso, che ha origine da un disturbo del sistema nervoso che può riguardare l’eccitazione, la perdita o l’alterazione di una funzione, e nella quale i malesseri fisici esibiti inconsciamente non trovano riscontro in un’eziologia organica.

Paura, influenza reciproca, stress e tensioni di vario genere, sovraffollamento, odori e stimoli non suscettibili di provocare disturbi organici e così via, che danno il via a svenimenti, mancanza di respiro, pianto, lacrimazioni, mal di testa, capogiri, debolezza, sfoghi cutanei, quasi istantanei in gruppi di studenti, colleghi, operai, lavoratori – di norma a contatto fra loro, con legami comuni, in ambienti chiusi, confinati o comunque in aree ben descrivibili e limitati.

Abbiamo parlato altrove di un caso francese di questo genere verificatosi di recente fra gli alunni di una scuola che avevano partecipato a una corsa podistica.

La “maledizione delle mummie” torinesi del 2001-2002 si direbbe un episodio-limite. Dopo l’evento iniziale, infatti, quello più clamoroso e che risponde meglio ai criteri che definiscono le MPI, innescato dai lievissimi malori di un primo soggetto dovuti probabilmente ad affollamento, stanchezza, caldo, poi “imitati” da altri, la vastissima pubblicità data all’evento e i timori per qualcosa di “storto” nella struttura museale diede modo di inquadrare gli altri due eventi. Essi, però furono irrilevanti anche dal punto di vista del’ampiezza numerica e considerarli come esempi di MPI sarebbe eccessivo. In mezzo a questi tre, soltanto un caso isolato riguardante una bambina che si era sentita poco bene…

Insomma, un misto di tre macroelementi, a nostro avviso: un episodio scatenante, più significativo (una “vera” MPI), poi due fatti minori, la cui natura, più che a delle MPI è da assimilarsi all’etichettamento che fu fatto dall’opinione pubblica al fatto maggiore, il primo della serie. Sullo sfondo, preoccupazioni e ragionamenti dettati dal rispetto delle norme giuridiche e dalla scoperta di qualche possibile (non chiarissimo) difetto nell’adempimento di obblighi sulla sicurezza, che comunque ben poco avevano a che vedere con gli episodi dei “malori misteriosi”.

A dominare su tutto, i processi di trasmissione delle voci, delle dicerie, delle sensazioni, delle emozioni e delle credenze da una persona all’altra. Tutto quello che permette di costruire vere e proprie leggende contemporanee e di strutturare racconti e narrazioni anche da sintomi vaghi e dall’origine indefinibile – magari perché, chissà – all’origine di tutto ci sta la maledizione di qualche mummia al profumo di bagna cauda.

Foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay