Le api si stanno estinguendo? Qualche chiarimento
Articolo di Alfonso Lucifredi
Vi sarà capitato, scorrendo le pagine dei quotidiani online o navigando sui social network, di incappare frequentemente in pezzi (qui, qui e qui alcuni esempi), spesso conditi da toni apocalittici, che parlano del rischio imminente della scomparsa delle api dal pianeta, con conseguente pericolo per l’umanità tutta, che non sarebbe in grado di sopravvivere senza il prezioso lavoro di impollinazione fornito da questi insetti. In realtà questa è una vera e propria bufala, ma è giusto fare qualche approfondimento perché si tratta di un discorso complesso, con molte sfumature e di certo non liquidabile in due righe, anche perché le persone interessate all’argomento non sono poche.
Innanzitutto occorre chiarezza nei termini: spesso i giornali generalisti utilizzano il termine “ape” per tradurre l’inglese bee, riprendendo il più delle volte pubblicazioni scientifiche che se ne servono. Ma già qui va fatta una premessa importante: in italiano il termine “ape” è generalmente riferito a un’unica specie, ossia l’ape domestica (Apis mellifera), l’animale che viene allevato e gestito dagli apicoltori e che ci è ben familiare. Altra cosa per gli anglosassoni: bee si riferisce non soltanto all’ape da miele, ma anche a vari suoi parenti, come i bombi (bumblebees), le osmie (mason bees), le api legnaiole (carpenter bees) i megachilidi (leafcutter bees) e altri loro parenti, tutti appartenenti all’ordine degli Imenotteri e alla superfamiglia Apoidea, che comprende circa 20.000 specie. Inoltre, molti studi citati da questi articoli generalisti, in realtà, si riferiscono più in generale agli insetti pronubi (impollinatori) ma, per semplificare, parlano dell’unica specie che è nota al grande pubblico.
Queste premesse sono importanti per una lunga serie di ragioni. La prima è che l’ape domestica si trova in una condizione particolare rispetto agli altri impollinatori, dato che è in grandissima parte gestita e tutelata dal lavoro degli apicoltori. In secondo luogo, può vantare una diffusione cosmopolita (anche se è stata importata dall’uomo in America, Australia e parti dell’Asia), mentre buona parte degli altri insetti impollinatori no. Inoltre, e questo è un aspetto tutt’altro che trascurabile, è una specie legata a un’attività produttiva e piuttosto redditizia come la produzione di miele. Per questo motivo è piuttosto normale che, in caso di problemi di vario genere o semplici oscillazioni nelle popolazioni, vengano suonate le sirene d’allarme, sicuramente a un volume ben maggiore di quello che si udirebbe per qualche sconosciuta specie di bombo, magari legata a un territorio limitato e senza alcun interesse economico connesso.
Ma veniamo ai numeri e cerchiamo di capire perché si tratta di una bufala. Difficile stabilire con esattezza il numero esatto di alveari presenti nel mondo, ma stando alla fonte più attendibile per quanto riguarda gli animali legati alle attività produttive umane, ossia la FAO, il loro numero è costantemente aumentato su scala globale dal 1994 a oggi (qui si possono leggere i dettagli). Ovviamente si tratta di un dato tagliato con l’accetta, che non si occupa di realtà locali o di singole sottospecie, ma fornisce un primo, fondamentale dato che dovrebbe da subito dissipare qualsiasi teoria a supporto di un rischio di estinzione della specie in oggetto, perlomeno su scala globale.
Parte di questo clamore sui rischi delle popolazioni di ape domestica nasce, però, negli Stati Uniti. Il perché è chiaro: il Nord America ha vissuto in tempi recenti un sensibile calo delle produzioni, spesso legato al famigerato Colony Collapse Disorder in cui le api operaie sembravano scomparire, lasciando sole la regina e gli individui più giovani a morire dentro all’alveare. Molte colonie non sopravvivevano all’inverno ma, come ben spiegato in questo articolo, la situazione, dopo alcune annate piuttosto negative, sembra essere sensibilmente migliorata anche in Nord America.
Tuttavia, molti affermano – con le dovute ragioni – che senza il lavoro degli apicoltori, a proteggere e tutelare gli alveari da infezioni e patologie di vario genere, il rischio per le api sarebbe ben più alto. È vero, ma bisogna considerare che l’apicoltura è tutt’ora un’attività molto proficua, e pertanto si tratta di ipotesi lontanissime da possibili scenari reali.
Il corollario a questa bufala, ossia una conseguente estinzione dell’essere umano se per assurdo le api dovessero estinguersi, è un’altra bufala: come detto, non tutte le nostre coltivazioni dipendono dalle api domestiche per l’impollinazione, anzi. Sono validi impollinatori le vespe, i calabroni, le farfalle, i coleotteri, in certi casi persino le zanzare. Ci sono impollinatori validissimi anche al di fuori della classe degli insetti, ad esempio alcuni uccelli e pipistrelli. Apis mellifera è un prezioso aiutante in molti casi (mele, pere, pesche, lamponi, giusto per fare qualche esempio), ma non è l’unico impollinatore, come abbiamo visto – ad esempio, i pomodori vengono principalmente impollinati dai bombi – e, soprattutto, le colture da cui l’umanità dipende realmente (le graminacee, ad esempio) sono per lo più impollinate dal vento. Le nostre tavole, nel caso di un’inusitata scomparsa delle api domestiche, sarebbero senz’altro più povere e tristi, ma di certo non vuote.
Grandi numeri e protezione da parte dell’uomo starebbero quindi a significare che le api domestiche non hanno problemi di alcun genere? Falso anche questo. Apis mellifera affronta costantemente difficoltà e patologie di vario genere, a cui sono spesso gli apicoltori a dover mettere una pezza. Uno dei problemi principali è, sorprendentemente, dato dall’agricoltura: l’avvento delle monocolture e la cancellazione sistematica di ampie aree di verde spontaneo (ad esempio ai margini dei campi) hanno privato gli insetti pronubi di una enorme fonte di approvvigionamento di nettare e polline da cui dipendevano in passato. In questo caso, tutti noi possiamo fare la nostra piccola parte per aiutarli: lasciare zone di terreno nel nostro giardino, o anche qualche vaso sul terrazzo, del tutto incolte, in modo che vengano popolate da fiori spontanei e selvatici.
C’è poi il tema spinoso dei pesticidi: anche se si tratta di sostanze spesso indispensabili per la protezione delle colture, è ancora aperto il dibattito sul fatto che alcuni tipi di insetticidi, in particolare della classe dei neonicotinoidi, possano danneggiare le popolazioni locali dei api e, più in generale, degli insetti impollinatori (fonte: EFSA). In questo caso, gli attriti tra agricoltori e apicoltori ben difficilmente porteranno a un chiarimento definitivo sulla questione, anche se alcuni paper (in particolare questa recente pubblicazione su Science) mantengono vive queste preoccupazioni.
Non vanno però dimenticati i nemici naturali delle api: il fungo Nosema apis ad esempio, in grado di causare pesanti infezioni alle colonie, o l’acaro parassita Varroa destructor, nemico recente delle api domestiche: presumibilmente è stato protagonista di uno spillover che lo ha portato a parassitare Apis mellifera negli anni ’60 nelle Filippine, e si è poi rapidamente diffuso nelle colonie di tutto il globo. Questo parassita può creare gravissime infestazioni alle colonie, che conducono frequentemente alla loro morte. Spesso e volentieri, è proprio il lavoro degli apicoltori a salvare gli alveari da una fine certa.
Quindi no, le api domestiche non sono a rischio estinzione e no, l’umanità non scomparirebbe senza le api domestiche. Questo però non vuol dire che api e apicoltori non debbano affrontare grandi difficoltà e che molti ragionamenti sulla questione siano spesso inficiati da pregiudizi, talvolta dovuti agli interessi economici legati a questi insetti. In ogni caso, se fatti con correttezza di termini e attenzione a tutte le specie coinvolte, gli appelli per la tutela degli insetti impollinatori sono indubbiamente importanti: moltissimi tra questi animali sono minacciati o già scomparsi (alcune specie di bombi, ad esempio) a causa di vari fattori, in particolare della scomparsa di prati fioriti spontanei su cui rifornirsi, o anche del riscaldamento globale. Quest’ultimo, in particolare, è tutt’altro che una bufala, per cui ben venga una sensibilizzazione del grande pubblico.