Acque italiane: fact-checking su fiumi e torrenti nel nostro Paese
Articolo di Simona Re
Forniscono l’acqua, modellano i nostri territori e offrono servizi ecosistemici e habitat dall’inestimabile valore ecologico. I corsi d’acqua sono una risorsa fondamentale per la vita dell’uomo. Tuttavia, fatto salvo per i danni da alluvioni e siccità, molti di noi sembrano essersi come dimenticati della loro esistenza. Il generale disinteresse per i nostri fiumi e torrenti alimenta così la circolazione di false credenze e una vasta disinformazione sull’argomento. Parliamo allora di fatti e di falsi miti sui corsi d’acqua italiani.
Le condizioni ecologiche dei nostri fiumi vanno peggiorando (FALSO)
Con il recepimento della Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE, le condizioni ecologiche dei fiumi italiani iniziano finalmente a migliorare. Dalla qualità dell’acqua alla protezione di specie ittiche e anfibi. Ma il lavoro da fare è ancora molto. L’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi nell’agricoltura intensiva, la grande pressione sui pochi boschi di pianura rimasti, l’inquinamento urbano e gli scarichi industriali mettono ancora a dura prova la salute dei corsi d’acqua. Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), su un totale di 7.493 corpi idrici fluviali, il 75% raggiunge l’obiettivo di qualità per lo stato chimico, e solo il 43% per lo stato ecologico. Nei torrenti di montagna, come denunciato dal Water Grabbing Observatory e da diciotto associazioni ambientaliste, gli effetti degli incentivi del Decreto Rinnovabili FER1 ai mini e micro-impianti idroelettrici mettono ora a rischio la capacità riproduttiva di diverse specie ittiche autoctone. Per quanto riguarda la nostra salute, i primi monitoraggi dell’ISPRA delle sostanze perfluoroalchiliche o PFAS, sostanze tossiche di origine industriale, hanno rilevato il superamento degli standard di qualità ambientale per PFOS e PFOA nel 14% delle acque superficiali. A questo proposito, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha recentemente stabilito una nuova soglia di sicurezza sulla presenza di queste sostanze negli alimenti.
I fenomeni di siccità sono in aumento (VERO)
Come evidenzia l’Agenzia Europea dell’Ambiente, frequenza, durata e intensità degli eventi di siccità sono in aumento in gran parte dell’Europa centrale e sud-occidentale. Il trend riguarda sia il deficit di precipitazioni sia la riduzione dei livelli idrometrici minimi dei corsi d’acqua. Come dimostra un recente studio dell’Università Statale di Milano pubblicato sulla rivista Hydrology and Earth System Sciences, dal 1965 si assiste anche a una significativa riduzione delle portate medie annuali dei corsi d’acqua dell’Europa mediterranea. Lo scorso inverno il livello idrometrico del fiume Po ha raggiunto valori da stagione estiva: secondo i dati dell’AIPo (Agenzia Interregionale per il fiume Po), nel mese di febbraio il livello è sceso a -2.48 metri. Stesso discorso riguarda i grandi laghi. Le cause sono da imputarsi all’innalzamento delle temperature, che hanno visto un aumento di +1,65 °C nei mesi di dicembre e gennaio rispetto alla media storica, e alla scarsità delle precipitazioni. I cambiamenti climatici si fanno sentire. Se per il mese di gennaio si stima che le piogge e le nevicate si siano ridotte di circa tre quarti, a giugno si è registrata invece una controtendenza, con un aumento del 54% delle precipitazioni. «È notevole osservare che si tratta del 4° valore più elevato degli ultimi 60 anni, e per trovare un mese di giugno più piovoso di questo occorre risalire al 1997» spiega il meteorologo Simone Abelli, di Meteo Expert, su Icona Clima Le maggiori preoccupazioni riguardano il mondo dell’agricoltura. Come afferma Coldiretti «L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici, con sfasamenti stagionali ed eventi estremi che hanno causato una perdita in Italia di oltre 14 miliardi di euro nel corso del decennio tra produzione agricola nazionale, strutture e infrastrutture rurali».
Aumenta il rischio delle alluvioni (VERO)
Secondo i dati dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), se da un lato le precipitazioni medie annue non sono molto variabili, a cambiare invece è l’intensità dei singoli eventi di pioggia, con un aumento negli ultimi 100 anni nelle regioni del nord-ovest, nord-est e centro-est della penisola. Nel mentre, secondo un recente studio di Servizio Idro Meteo Clima di ARPAE e SGSS Emilia Romagna pubblicato su Climate of the Past, l’attuale frequenza delle precipitazioni intense nella zona dell’Appennino settentrionale si collocherebbe tra le più alte degli ultimi 10.000 anni. Il che può tradursi nell’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi. «In Italia una delle zone più sensibili ai fenomeni alluvionali è quella del Basso Piemonte, colpita negli ultimi 40 anni da almeno 12 eventi di alluvione, con un certo aumento negli ultimi 10 anni» spiega Davide Notti, geologo dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (CNR-IRPI) di Torino. «Le cause di questi eventi sono da ricondursi a temporali localizzati e intensi, e a piogge persistenti e intense su più giorni». Si ricorda che, per l’Italia, i rischi possono derivare dal vicino Mediterraneo, noto climate hotspot. La relazione tra il cambiamento climatico e l’aumento del rischio geo-idrologico e delle alluvioni in Europa è stata evidenziata da uno studio della Vienna University of Technology, pubblicato nel 2019 sulla rivista Nature, in particolare per l’Europa nord-occidentale. I danni a livello europeo sono stimati a oltre 100 miliardi di dollari ogni anno. Secondo i dati del Climate Risk Index di Germanwatch, per l’Italia si parla di 19.947 vittime dal 1999 al 2018 per eventi meteorologici estremi (sesto posto a livello mondiale). Si calcola che questi eventi, che includono alluvioni, tempeste e ondate di calore, hanno procurato in quel periodo un danno economico di 32,92 miliardi di dollari, pari al 2% del PIL.
Per prevenire le alluvioni in pianura bisogna togliere la ghiaia (FALSO)
Questa falsa credenza racchiude in sé un duplice errore. Il letto nei nostri fiumi non si sta alzando, bensì si sta abbassando, e la ghiaia risulta invece necessaria per preservare la stabilità dell’alveo e delle sponde fluviali. Infatti, con rare eccezioni, l’estrazione di inerti non solo non aiuta a prevenire le alluvioni, ma può anzi aggravare l’impatto di questi disastrosi eventi, promuovendo l’erosione, la destabilizzazione delle sponde e la pericolosità delle inondazioni. Gli esperti raccomandano una miglior definizione e applicazione di politiche strategiche, e una più oculata pianificazione delle città e delle infrastrutture. Come afferma Fabio Luino, geomorfologo del CNR-IRPI, in un’intervista su Scienza in Rete «Serve una maggior responsabilità nella pianificazione degli interventi lungo i corsi d’acqua e negli alvei stessi, e nella pianificazione urbanistica, evitando di continuare a costruire nelle aree già pesantemente colpite anni fa». Si ricorda che l’estrazione di inerti entro 150 metri dagli alvei richiede specifica autorizzazione regionale. Infine, il falso mito secondo il quale i fiumi andrebbero puliti ‘come una volta’ è facilmente sfatato dai recenti effetti del consumo di suolo e del cambiamento climatico. Le indicazioni degli esperti sono chiare. «Per ridurre al massimo il rischio geo-idrologico servono le giuste competenze: geologi, ingegneri, agronomi sanno dare il giusto contributo e le corrette indicazioni» spiega Luino.
Alberi e boschi ripari ci proteggono dalle alluvioni (VERO)
La falsa credenza che la vegetazione possa costituire un fattore di rischio per le esondazioni, frutto talvolta della confusione tra corsi d’acqua di montagna e fiumi di pianura, può indurre all’eliminazione sconveniente degli alberi e arbusti delle zone riparie. «Come indicato nella Direttiva Europea sulle acque 2000/60 e nel Decreto Legislativo 152/99, la tutela e il ripristino dei boschi lungo le sponde dei fiumi di pianura sono strategie fondamentali per la gestione del fiume e il controllo delle piene» spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore in scienze forestali dell’Università Statale di Milano. «L’influenza positiva della copertura vegetale sull’idrologia dei fiumi di pianura» prosegue Vacchiano «si esercita attraverso il contributo alla stabilità e la difesa delle sponde, limitando così la pericolosità delle inondazioni». Per “pulizia degli alvei” non si intende quindi la rimozione di alberi e inerti, bensì la rimozione, da operarsi per lo più nei torrenti, del materiale flottante che può ostruire e ostacolare il normale o aumentato deflusso dell’acqua. Infine, oltre a costituire un elemento fondamentale degli ecosistemi ecotonali e delle zone umide, la vegetazione arborea, arbustiva ed erbacea spondale può agire da efficace fascia tampone, modificando le proprietà chimico-fisiche del suolo, e limitando la contaminazione delle acque superficiali e sotterranee da parte delle sostanze inquinanti di origine antropica, come i fitofarmaci.
Parlare dei corsi d’acqua solo in occasione dei danni da alluvioni e siccità genera disinteresse e disinformazione, con l’effetto di renderci ancora più vulnerabili e impreparati ad affrontare le future sfide ed emergenze dei nostri fiumi e torrenti. L’inquinamento, il consumo di suolo, il crescente fabbisogno idrico e l’aumento delle temperature, infatti, sembrano non bastare a tener desta l’attenzione. Secondo le stime, entro la fine del secolo potremmo assistere nel nostro Paese a una riduzione fino al -25% nelle precipitazioni e -50% nella portata dei corsi d’acqua. Per gli italiani, non si tratta solo di render giustizia a uno dei più preziosi patrimoni idrologici a livello mondiale, ma di ridurre quantomeno i rischi e le pressioni a cui questo è sottoposto, per la nostra stessa sopravvivenza e benessere. Quel che è certo è che il legame tra l’uomo e i corsi d’acqua, troppo spesso trascurato, merita e necessita al più presto di essere riscoperto.
Simona Re, biologa e scrittrice, si occupa di divulgazione della scienza.
Articolo aggiornato il 3/10/2020. Un ringraziamento a Serena Giacomin e Federico Grazzini per il gentile sostegno di consulenza.
Bibliografia
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Cara Simona, io studierei con preoccupazione anche lo stato delle dighe. Da quel che leggo su documenti ufficiali, c’è da aspettarsi anche qui un Ponte Morandi.
https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/upload_file_doc_acquisiti/pdfs/000/003/000/Memoria_ministero_delle_infrastrutture_e_dighe.pdf
Ciao Aldo, grazie per il tuo commento, che offre uno spunto assolutamente di spicco nel panorama idrogeologico ed energetico italiano.
Innanzitutto, il collasso delle dighe (dam) e delle dighe da processi minerari (tailing dam, situazione più di altri paesi) è un fenomeno globale che ci accompagna da molti anni. Per averne una percezione, ecco qualche riferimento:
https://en.wikipedia.org/wiki/Dam_failure
https://www.wise-uranium.org/mdaf.html
Il problema è che questi giganti di cristallo sono costruiti spesso (soprattutto in Italia) in epoca precedente alle moderne Norme delle Costruzioni, dove ad esempio si è obbligati ad una serie di verifiche geotecniche, analisi di compatibilità, campagne indagine, monitoraggio e verifiche sismiche (solo per citarne alcune). Ad oggi, gli ultimi due punti sono cruciali perché non siamo in grado di stabilire esattamente le condizioni di una struttura, se non sommariamente e con mezzi molto dispendiosi, a differenza delle moderne strutture che incorporano strumentazione e piattaforme di monitoraggio all’avanguardia. La vulnerabilità sismica, invece, è nelle dighe un problema da analizzare soprattutto per evitare danni che possano “facilitare” nel tempo situazioni di collasso e non sempre queste strutture sono state verificate per sismi molto potenti (o con i metodi che oggi impieghiamo nella pratica professionale).
Diversi gestori si muovono nella direzione della strumentalizzazione e della messa in sicurezza, ma rimane un patrimonio non completamente organico (anche se messo meglio, ad esempio, delle infrastrutture).
Se non si prendono seriamente certi trend, il rischio rimarrà sempre. Detto questo, si può ragionevolmente escludere un Vajont 2 (d’altronde in quel caso per cause geotecnico-geomeccaniche, meno citate) o un Morandi delle dighe, ma la strada da fare è ancora tanta e dura per l’Italia nell’ambito del dissesto idrogeologico e nella gestione delle risorse idriche e suolo.
Abito in zona pedemontana del basso Piemonte, proprio dove i disastri derivanti dalle piene dei fiumi invadono i quotidiani locali a cadenza quasi regolare. Molti vecchi delle nostre parti sostengono che, oltre ai fenomeni climatici, ad aggravare la violenza delle acque sia una legge che vieta la raccolta di legna dal letto dei fiumi in estate (non il taglio, parlano proprio di raccolta di tronchi depositati durante l’inverno), uso un tempo consolidato dato che la legna era la principale fonte di calore nelle case. In effetti vedo spesso tronchi secchi nel letto del fiume, assieme a immondizia… Tronchi che nelle foto delle alluvioni sembrano creare un tappo sui pilastri dei ponti. Mi chiedo se non ci sia un fondamento di verità in questa diceria, non tanto per il complottismo sotteso (“lo stato brutto e cattivo ci ha tolto il riscaldamento gratis”) quanto per l’effettiva presenza di detriti. Esiste davvero questa norma di cui parlano? Non esiste qualche obbligo di pulizia degli alvei? Grazie!
La disciplina di questa attività è di competenza regionale. Per quanto riguarda la Regione Piemonte, in genere è necessario chiedere una autorizzazione alla regione, sulla cui procedura può chiedere informazioni agli sportelli forestali regionali presenti sul suo territorio.
In caso di eventi alluvionali, la procedura è ulteriormente semplificata, ed è sufficiente una comunicazione con silenzio-assenso. Con Determinazione Dirigenziale n. 1042 del 16 aprile 2020, sono state dettate le modalità e gli ambiti in cui è consentito l’accesso in alveo dei corsi d’acqua appartenenti al demanio idrico fluviale di competenza regionale per il recupero del materiale legnoso divelto o pericolante presente, nei tratti di competenza regionale, fino al 2 dicembre 2020, nei comuni indicati da questo documento: https://www.regione.piemonte.it/web/sites/default/files/media/documenti/2020-04/dd_1042_16042020_evento_novembre_2019_pv_to.pdf
L’Agenzia interregionale per il Fiume Po in data 16 giugno 2020 ha inviato l’autorizzazione idraulica e le relative prescrizioni per il recupero nei tratti dei corsi d’acqua di propria competenza.
https://www.regione.piemonte.it/web/sites/default/files/media/documenti/2020-06/lettera_di_integrazione_alla_determina.pdf
In entrambi i casi è necessario che, prima dell’esecuzione dei lavori, il soggetto
interessato dall’intervento dia comunicazione allegando estratto cartografico in cui sia evidenziato il tratto del corso d’acqua interessato, al settore Tecnico regionale-Area metropolitana di Torino, al Comando Stazione dei Carabinieri Forestale competente e all’A.I.Po, per consentire i controlli di istituto.
Buongiorno, in realtà la raccolta del legname abbandonato sui letti dei fiumi è consentita. Qui trova i riferimenti di legge:
http://www.parks.it/news/dettaglio.php?id=15448