Corpi incorrotti – Da Carlo Acutis a Teresa Margherita Redi
Articolo di Pasquale Palmieri (Università degli Studi di Napoli Federico II), che sulla vicenda di Teresa Margherita Redi ha pubblicato La santa, i miracoli, la Rivoluzione (Il Mulino, Bologna, 2012)
Negli ultimi giorni tanti hanno sentito parlare dell’apertura della tomba di Carlo Acutis, un ragazzo milanese deceduto nel 2006 ad appena 15 anni a causa di una leucemia. Sono state diffuse delle foto che hanno creato un enorme clamore. In poche ore hanno avuto decine di migliaia di condivisioni sulle piattaforme social. Le principali testate nazionali hanno parlato, quasi con voce unica, di “corpo incorrotto” e di “miracolo”.
La diocesi di Assisi ha in seguito chiarito che l’esumazione è in realtà avvenuta il 23 gennaio 2019, in vista della beatificazione. In quell’occasione il defunto Carlo è stato “trovato nel normale stato di trasformazione proprio della condizione cadaverica”. Da quel momento sono stati fatti degli interventi. Si legge infatti nella rettifica ufficiale:
Non essendo tuttavia molti gli anni della sepoltura, il corpo, pur trasformato, ma con le varie parti ancora nella loro connessione anatomica, è stato trattato con quelle tecniche di conservazione e di integrazione solitamente praticate per esporre con dignità alla venerazione dei fedeli i corpi dei beati e dei santi. Un’operazione che è stata svolta con arte e amore. Particolarmente riuscita la ricostruzione del volto con maschera in silicone.
Di fronte a nodi così difficili da sciogliere, risulta forse utile riaprire una paginetta di storia.
Non cediamo all’istinto che ci suggerirebbe di tornare al 2008, alla riesumazione del cadavere di Padre Pio, e al faticoso maquillage a cui fu sottoposto il celebre cappuccino prima dell’esposizione ai fedeli.
Facciamo un salto indietro molto più lungo, di circa 250 anni.
È la sera del 7 marzo del 1770. Nel convento carmelitano di Santa Teresa di Firenze, distesa sul letto della sua piccola cella, c’è una giovanissima religiosa in fin di vita. Si tratta di Teresa Margherita del Cuore di Gesù, al secolo Anna Maria Redi, discendente di una nota famiglia del patriziato aretino. Le consorelle la assistono con solerzia, fra lacrime e apprensione. La vita di Teresa è appesa a un filo, ma loro non smettono di sperare in una prodigiosa guarigione. I medici hanno tentato di tutto per alleviare le sue sofferenze, con pesanti sedativi a base di oppio e morfina. Ma il dolore resta fortissimo e violente convulsioni la scuotono da capo a piedi. A causa della febbre alta, il suo corpo emana copiosamente sudore freddo.
Le notizie più dettagliate sulla giovane ci giungono da un’anonima biografia, pubblicata nel 1806. Non sappiamo con certezza da quale malattia sia stata colpita, ma i termini usati ci permettono di formulare qualche ipotesi. Una «infiammazione volvulosa», nel giro di poche ore, degenera in cancrena. Una «fiera convulsione interna» la riduce in uno stato di incoscienza, «senza moto e loquela». I medicinali non sortiscono alcun effetto positivo sull’inferma che, tuttavia, mostra un viso sereno e sollevato ai sacerdoti che la visitano, in particolare al suo direttore spirituale Ildefonso di San Luigi. Quest’ultimo la conforta con costanza e la guida verso una serena rassegnazione al volere divino.
Il sole è tramontato da qualche ora e il cuore di Teresa smette di battere. La scena che si presenta agli occhi dei presenti è terrificante. Il corpo si irrigidisce all’istante e «un color pallido e livido» appare sul volto e sul collo. Il basso ventre si gonfia a dismisura manifestando le nefaste conseguenze della «cancrena negl’intestini», intasati dai liquidi immessi per curare la malattia. Tutto fa pensare a una veloce e rovinosa decomposizione, a un «imminente sfracelo di tutta la machina». Pur facendosi sempre più urgente l’esigenza di chiudere la cassa, la salma resta esposta in chiesa, ma il ventre è talmente gonfio da impedire quasi la vista del volto a coloro che si avvicinano. La violenza della malattia fulminante ha deturpato l’aspetto della religiosa, ma le consorelle non si rassegnano e cercano di riparare ponendole dei guanciali sotto le spalle, in modo da rialzarle la testa.
Mentre si procede al trasporto nei sotterranei per la tumulazione, accade qualcosa di inaspettato. Il viso, le mani e i piedi «di color livido e paonazzo» cominciano ad avere «un certo più blando pallore», mentre il volto acquista un aspetto «misto di quasi porporino». Le operazioni si fermano immediatamente e si attende la mattina del 9 marzo, quando il processo di trasformazione del raccapricciante cadavere sembra continuare in maniera prodigiosa. Gli arti hanno acquisito «un color bianco carnicino, eguale appunto al naturale» e le guance sono ormai come «porpora viva»: Teresa sembra «più bella e più vermiglia di quando era viva, ed in perfetta salute». Rivivono i tratti che l’avevano resa cara alle compagne religiose e ai suoi familiari: i capelli biondi, gli occhi vivaci, il «volto oltremodo avvenente», il vivace temperamento disciplinato dai rigori della vita monastica, il «tratto affabile», l’«ingegno perspicace» che la rendeva «accorta, dolce, amorevole, condiscendente».
Lo stesso giorno, il chirurgo Antonio Romiti osserva il corpo senza vita della giovane aretina e rimane senza fiato di fronte alla serenità del volto, agli occhi umidi e vermigli. Teresa sembra una persona «viva e soavemente addormentata». Non si avverte il fetore tipico dei cadaveri in decomposizione, ma al contrario «una gran fragranza» senza uguali in natura.
Le religiose del convento fiorentino sono in trepidazione e gridano al miracolo. L’arcivescovo fiorentino Gaetano Incontri, presto informato dei fatti, cerca di placare i facili entusiasmi, ma allo stesso tempo ordina di sospendere la sepoltura per effettuare regolari ispezioni. A coordinare le operazioni è proprio Antonio Romiti, che esprime nei referti tutto il suo stupore: il ventre della donna inspiegabilmente continua a sgonfiarsi, ma senza perdere nemmeno una goccia dei medicinali liquidi precedentemente ingeriti. Dopo una settimana la situazione resta invariata e i segni della decomposizione, agli occhi del nostro testimone, sembrano essersi trasformati in segni di ricomposizione che non trovano alcuna spiegazione razionale.
Gli eventi prendono una piega decisiva il 22 marzo, quando le autorità diocesane si recano sul posto, accompagnate da esperti chiamati a pronunciarsi sul delicato caso. Qualche particolare desta inquietudine nei presenti: gli occhi sono leggermente infossati, le narici sono ornate da un leggero velo di muffa, le labbra hanno acquisito un colore cupo e sembrano inaridite. Nella sostanza, tuttavia, il corpo è perfettamente integro, non emana odori sgradevoli e non presenta alcun segno di decomposizione. Autorevoli accademici, dopo aver messo alla prova i loro sguardi esperti, parlano di «incorruzione portentosa e prodigiosa».
Rimangono ancora dei dubbi sul luogo in cui è stato conservato il cadavere: un sotterraneo esposto all’umidità e alle intemperie. La stanza che accoglie il corpo di Teresa – scrivono i periti – ha solo due piccole fessure che lasciano entrare la luce del sole, «mai tanta che basti, anco sul mezzogiorno, per distinguere chiaramente gli oggetti, onde è necessario scendervi sempre provvisti di lume artificiale». Ciò nonostante, è innegabile che le mani e i piedi della defunta siano «bianchi e sufficientemente trattabili», mentre le braccia non si sono irrigidite e si mantengono flessibili. Si notano persino alcuni segni di emissione di sangue, contornati da piccoli cerchi «d’un bel colore carnicino chiaro».
Nei quindici giorni in cui il cadavere rimane esposto, diversi ecclesiastici, nobili e persone di umile condizione chiedono e ottengono di entrare nelle stanze del convento carmelitano, impossessandosi di piccole reliquie alle quali vengono attribuiti poteri miracolosi. In alcuni casi sono proprio le religiose a confezionarle, ricavandole dagli abiti della defunta. Anche dopo la celebrazione delle esequie, la fama di Teresa Margherita Redi continua a crescere in modo straripante. I devoti cominciano a venerarla come una santa, ma la Chiesa rimane prudente e continua a commissionare indagini scientifiche sul corpo della giovane aretina. Ci sono delle domande importanti che attendono ancora una risposta.
Chi ha familiarità con i contenuti delle “vite” dei santi sa bene che i cadaveri profumati e prodigiosamente conservati (o presunti tali) non sono affatto rari, ma rappresentano al contrario una caratteristica ricorrente. Il corpo incorrotto del candidato alla gloria degli altari è uno dei requisiti più importanti per la buona riuscita di una causa di beatificazione. Ma nel corso del Settecento la cultura illuminista comincia a mettere in dubbio alcuni principi che, nei secoli precedenti, erano stati accettati in maniera meno conflittuale. Diventano sempre più vivaci le dispute sui culti, sull’attendibilità dei miracoli, sulla possibilità di un intervento sovrannaturale nella vita terrena, sulle superstizioni, sulla stregoneria, sulla magia, sul vampirismo, sull’autenticità delle reliquie, sulla venerazione delle immagini sacre.
Nel 1739 il prelato pugliese Giuseppe Davanzati diffonde la prima versione manoscritta della sua Dissertazione sopra i vampiri. L’idea di trattare un tema tanto bizzarro gli è venuta da contatti avuti con ecclesiastici dell’Europa centrale e orientale, dai quali ha ascoltato molte storie che lo hanno turbato. Nei villaggi della Slesia, ad esempio, i contadini sono terrorizzati dall’idea che alcuni defunti tornino in vita per compiere scorribande notturne, molestare i vivi, bere il loro sangue, danneggiare il bestiame con morsi e violenze. I corpi dei presunti vampiri vengono riesumati e, come quelli dei santi, non sono soggetti a decomposizione. I vescovi e i giudici imperiali sono lacerati dai dubbi: i “servi di Dio” e le “creature di Satana” presentano gli stessi segni sovrannaturali. Ogni provvedimento sembra imprudente di fronte alla furia di un popolo dominato dalla superstizione, che consuma macabri rituali purificatori, impalando e decapitando le salme dei malcapitati, colpiti dall’onta del sospetto.
Vista la delicatezza della materia, il pontefice Benedetto XIV (al secolo Prospero Lambertini, in carica dal 1740 al 1758) sente il bisogno di chiarire, nel suo famoso trattato intitolato De Servorum Dei Beatificatione et Beatorum Canonizatione, che alcuni cadaveri si conservano incorrotti solo per l’intervento di cause naturali o perché sono stati sottoposti a un’imbalsamazione artificiale. Non è un caso che, negli stessi anni, ritorni alla ribalta la vicenda di Caterina de’ Vigri (1413-1463), clarissa bolognese canonizzata nel 1712. Secondo i biografi del XV e XVI secolo, i resti mortali della donna avevano mostrato ai fedeli spettacoli strabilianti, muovendosi autonomamente, inginocchiandosi di fronte all’altare e emettendo suoni inquietanti. I moderni critici sono più propensi a pensare che certi racconti siano frutto della fantasia o del fervore devoto: Caterina, secondo loro, era stata mummificata da abili specialisti, allo scopo di impressionare i fedeli più ingenui e creduloni.
Questi stessi dubbi pesano sul processo di beatificazione di Teresa Margherita Redi che viene aperto ufficialmente a Firenze nel 1783, ma è destinato ad avere una vita complessa, fatta di lunghi e snervanti interrogatori. Diverse persone pretendono di essere state miracolate, ma in molti casi i racconti non sono accompagnati da valide certificazioni mediche. Sono solo gli inizi di una vicenda destinata ad assorbire le tensioni di un’epoca e ad essere segnata da sviluppi clamorosi, coinvolgendo di volta in volta influenti ecclesiastici e autorevoli uomini politici, intraprendenti nobili e devoti popolani, raffinati teologi e rinomati predicatori, rispettabili uomini di scienza e maldestri ciarlatani. Tuttavia l’immagine della giovane carmelitana vissuta al riparo dalle tentazioni del mondo, fra sofferenze e privazioni, resiste ai radicali cambiamenti intervenuti con la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Restaurazione, l’unità italiana, veicolando messaggi che mantengono intatto il loro potere comunicativo fino alla prima metà del Novecento.
Dopo un’interminabile trafila che attraversa 150 anni di storia, Teresa viene innalzata alla gloria degli altari nel 1934, sotto il pontificato di Pio XI e la dittatura di Benito Mussolini. La lunga durata non deve affatto stupire. Attraverso i decenni, l’azione dei giudici ecclesiastici era andata avanti a rilento, fra incertezze e ripensamenti. Le testimonianze di fede si erano spesso scontrate con i risultati delle indagini scientifiche e con frequenti atteggiamenti di matrice razionalista, diffusi negli ambienti della cultura laica, ma anche fra le gerarchie della Santa Sede. Se ci riflettiamo bene, le stesse vivaci dispute accompagnano ancora oggi l’esame di numerosi candidati alla gloria degli altari.
Immagine in evidenza: Carlo Acutis esposto nel Santuario della Spogliazione di Assisi (Mauro Berti/Diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino)