Approfondimenti

Ma i cartomanti sono (ancora) dei ciarlatani?

Articolo di Elena Virano, avvocato del Foro di Torino

Periodicamente – magari quando non si trovano notizie di maggior interesse e qualcosa di stuzzicante bisogna pur scriverlo – torna alla ribalta dei mezzi di informazione il tema dell’occulto, in una qualunque delle sue manifestazioni. Quest’estate è stata la volta di una sentenza del Consiglio di Stato (1)  che pare abbia liberato i cartomanti dalla nomea di “ciarlatani” che era stata loro affibbiata negli anni ’30 del secolo scorso dal Regio Decreto in tema di pubblica sicurezza.

Ma non si tratta di questa gran novità in quanto ormai da anni la giurisprudenza (sia quella amministrativa dei TAR e del Consiglio di Stato, sia quella ordinaria della Cassazione) ha ritenuto l’attività di cartomanzia come una ordinaria fonte di reddito (e quindi di gettito fiscale, salvo evasioni).

La vicenda parte nei primi giorni di agosto 2017, quando il Questore di Perugia ordina la cessazione dell’attività di una società in quanto la ritiene “illecita” poiché consiste in un servizio telefonico di cartomanzia, e pertanto in aperta violazione dell’art. 121 T.U.L.P.S. (2). che vieta espressamente il “mestiere di ciarlatano”. La società titolare del servizio impugna il provvedimento e ottiene una sentenza favorevole dal T.A.R. Umbria (3) che ritiene sia ormai necessaria una lettura del divieto alla luce del mutato contesto storico-sociale e compatibile con l’art. 41 Cost. (4) che garantisce la libertà di iniziativa economica.

Ma non solo: l’attività di cartomanzia, anche se di per sé non regolata, è presa espressamente in considerazione da diverse norme che sono entrate in vigore dopo il TULPS, nel presupposto dunque della sua liceità. In particolare il Codice del Consumo (5) che detta una specifica disciplina in materia di servizi di astrologia, cartomanzia e assimilabili, vietando unicamente quelle comunicazioni che siano tali da indurre in errore o sfruttare la credulità del consumatore (6).

Il T.A.R. conclude quindi per l’annullamento del provvedimento di chiusura dell’attività, ma il Ministero dell’Interno impugna la sentenza e il Consiglio di Stato – uniformemente alla sua precedente giurisprudenza in materia – si pronuncia avallando completamente le posizioni del giudice di primo grado.

Che cos’è, oggi, la “ciarlataneria”?

Secondo i giudici amministrativi la questione si concreta nel verificare se l’attività di cartomanzia sia inquadrabile tout court come espressione di “ciarlataneria”, oppure se, a tal fine, devono ricorrere attributi ulteriori, identificabili nella “speculazione sull’altrui credulità” ovvero nello “sfruttamento o alimentazione dell’altrui pregiudizio”: attributi che, quindi, concorrerebbero a marcare la distinzione tra la prima (lecita) e la seconda (illecita). Per quanto riguarda quindi la nozione del “mestiere di ciarlatano”, tale può considerarsi, nel contesto storico attuale, chi non si limita ad offrire al pubblico un servizio o prodotto – per quanto di scientificamente indimostrata ed indimostrabile utilità ed efficacia – ma ne esalta le proprietà e le virtù con il ricorso a tecniche persuasive atte ad indebolire e vincere le capacità critiche e discretive dei possibili acquirenti. Si legge in sentenza che

“Deve invero osservarsi che nell’ambito di un ordinamento giuridico imperniato, come quello vigente, sul principio di libera determinazione degli individui, in cui lo Stato ha pressoché dismesso ogni funzione latamente paternalistico-protettiva e di orientamento etico nei confronti dei consociati, anche le dinamiche di mercato sono tendenzialmente affidate, dal lato della domanda e dell’offerta, alla libera interazione dei suoi protagonisti, i quali, con le loro scelte, determinano l’oggetto dello scambio, ne apprezzano, secondo insindacabili valutazioni di carattere soggettivo, l’utilità e ne determinano, infine, il valore (economico): sempre che, naturalmente, non vengano compromessi beni e valori di carattere superiore (come l’ordine pubblico, il buon costume, la salute dei cittadini ecc.), di cui lo Stato conserva l’irrinunciabile funzione di tutela.

In tale contesto, anche un servizio che, in apparenza, sia oggettivamente privo o comunque di indimostrabile utilità, quale può essere considerata l’attività divinatoria propria del cartomante, in quanto riconducibile alle cosiddette scienze occulte o esoteriche (per definizione non sottoponibili a prove di verificabilità), può rappresentare un bene “commerciabile”, perché idoneo a rispondere ad una esigenza, per quanto illusoria ed opinabile, meritevole di soddisfacimento e, in quanto tale, suscettibile di generare, in termini mercantili, una corrispondente “domanda”.

Tale può essere, appunto, quella di chi cerchi l’alleviamento dei suoi dubbi esistenziali o la rassicurazione delle sue certezze nei “segni” ricavabili, attraverso la mediazione del cartomante, dalla lettura ed interpretazione delle “carte”. Del resto, proprio la complessità del mondo attuale, generatrice di incertezza e smarrimento, fa sì che la cartomanzia, con la sua aspirazione a trovare un ordine invisibile in una realtà frammentata e incoerente, assuma una funzione (non solo non dannosa, ma) anche – socialmente o individualmente – utile, fornendo (o tentando di fornire), a chi non sappia o voglia trovarlo su più affidabili terreni, riparo dalle paure e dalle contraddizioni della modernità.

Inoltre, è evidente che se in un contesto sociale di bassa alfabetizzazione, quindi di maggiore esposizione del pubblico alle lusinghe di spregiudicati imbonitori, quale era quello degli inizi del secondo ventesimo, la soglia della difesa sociale era opportunamente fissata ad un livello inferiore, questa non potrebbe che attestarsi ad un punto più avanzato una volta che la stessa società, grazie al processo di diffusione culturale realizzatosi nei decenni successivi (fino a raggiungere l’acme nel tempo attuale), ha generato gli “anticorpi” necessari a proteggere i suoi componenti dalla tentazione di cedere alle fragili quanto illusorie speranze di precognizione del futuro: ciò che induce a ritenere che chi si rivolge al cartomante non è necessariamente mosso da ingenua credulità (ma, ad esempio, da semplice curiosità o desiderio di svago) né fatalmente abdica al proprio spirito critico, abbandonandosi remissivamente alle sue suggestioni.”

…E quando la “ciarlataneria” c’è davvero!

Nel caso in esame l’attività aveva una sua tangibilità economica (nei locali della società erano state effettivamente trovate postazioni telefoniche perfettamente funzionanti, alcune delle quali occupate da dipendenti che svolgevano l’attività pubblicizzata) considerata dai giudici un congruo corrispettivo del prezzo corrisposto con i clienti.

Conclude quindi la sentenza che

“Da tale punto di vista, lo sconfinamento nell’area della “ciarlataneria” si verifica appunto quando il “messaggio” commerciale che accompagna l’offerta del servizio tende a rappresentare la prestazione divinatoria non nella sua impalpabile valenza predittiva, ma come strumento realmente efficace ed infallibile per la preveggenza del futuro, con la connessa richiesta di una contropartita commisurata al maggior valore che la prestazione, per come artatamente rappresentata, assumerebbe, ovvero quando, per le modalità e/o le circostanze in cui si svolge la relazione tra cartomante e cliente, essa denota l’approfittamento da parte del primo della eventuale situazione di particolare debolezza psicologica del secondo.”

Il Consiglio di Stato quindi conclude che finché la prestazione cartomantica viene offerta nella sua reale essenza ed il corrispettivo pattuito conserva un ragionevole equilibrio con la stessa, non è dato discutere di “speculatività” dell’attività del soggetto erogatore. Tale considerazione invece viene a mutare qualora alla stessa vengano attribuite proprietà prodigiose o taumaturgiche e, proprio facendo leva su queste, sia richiesto un corrispettivo sproporzionato rispetto alla sua valenza meramente “consolatoria” o di passatempo (7).

Troppo ottimisti, i giudici amministrativi?

Se la motivazione della sentenza appare perfettamente strutturata su un piano logico e giuridico, qualche dubbio può residuare in merito alle premesse da cui partono i Giudici Amministrativi. Davvero rispetto a quasi cento anni fa siamo molto più bravi a distinguere lo svago dall’inganno? Nessuno di noi va a teatro convinto che Giulietta e Romeo abbiano davvero intrecciato la loro storia nel famoso cortile di Verona oppure che l’attore salti veramente da un grattacielo a bordo di una motocicletta senza neppure scompigliarsi la pettinatura, ma lo stesso vale per chi si reca dagli intermediari dell’occultismo?

Basta guardarsi intorno – nella vita reale e in quella artefatta dei social media – per vedere un fiorire di credenze che alle volte bisogna aver coraggio persino per definire “pseudoscientifiche”: è questo il risultato del processo di diffusione culturale che dovrebbe aver generato gli anticorpi necessari a proteggere i suoi componenti dalla tentazione di cedere alle fragili quanto illusorie speranze di precognizione del futuro? Forse aveva una miglior conoscenza dell’umanità il Legislatore del 1931, che pensava di dover tutelare i concittadini, anche se all’epoca si trattava di farlo nei confronti di soggetti che operavano con l’ausilio di un tavolino e un mazzo di carte, mentre oggi ci troviamo di fronte ad attività imprenditoriali ben strutturate oppure a imbonitori che ammantano le proprie mercanzie di una terminologia scientifica tanto roboante quanto improbabile.

Chi cerca di alleviare i propri dubbi esistenziali potrebbe trarre miglior giovamento da un percorso di psicoterapia (che in fin dei conti potrebbe persino costare meno che telefonare in modo compulsivo ad operatrici telefoniche più versate nel prolungare le chiamate che nel leggere il futuro (8)) o perlomeno dalla lettura dei classici, che – se non sempre offrono soluzioni miracolose – perlomeno fanno comprendere che i dubbi che ci attanagliano non sono poi questa gran novità.

Note

  • (1) Consiglio di Stato, Sentenza n. 4189/2020, udienza del 25/06/2020, pubblicata il 01/07/2020, n. 00184/2020 Reg.Ric.
  • (2) Il T.U.L.P.S. è il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, promulgato con Regio Decreto n. 773 del 1931 e tuttora in vigore. L’art. 121 dice che “è vietato il mestiere di ciarlatano” e va letto in combinato disposto con l’art. 231 del relativo Regolamento di esecuzione (R.D. n. 635/1940), a mente del quale “Sotto la denominazione di “mestiere di ciarlatano”, ai fini dell’applicazione dell’art. 121, ultimo comma, della Legge, si comprende ogni attività diretta a speculare sull’altrui credulità, o a sfruttare o alimentare l’altrui pregiudizio, come gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che esercitano giochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi o millantano o affettano in pubblico grande valentia nella propria arte o professione, o magnificano ricette o specifici, cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose”.
  • (3) Tribunale Amministrativo Regione Umbria, Sezione Prima, Sentenza n. 295/2018, udienza 10/05/2019, pubblicata il 05/06/2019, n. 00450/2017 Reg.Ric.
  • (4) La Costituzione della Repubblica Italiana è stata approvata e promulgata nel dicembre del 1947 ed è entrata in vigore il 1 gennaio 1948.
  • (5) Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206. All’art. 28, che quale introduce il capo intitolato “Rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite”, prevede che “le disposizioni del presente capo si applicano alle televendite, come definite nel regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite, adottato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera n. 538/01/CSP del 26 luglio 2001, comprese quelle di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili e di servizi relativi a concorsi o giochi comportanti ovvero strutturati in guisa di pronostici”. Il successivo art. 29 precisa che “le televendite devono evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura”. A ulteriore conferma troviamo anche l’art. 30, comma 2, del Codice, secondo cui “le televendite non devono contenere dichiarazioni o rappresentazioni che possono indurre in errore gli utenti o i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni, in particolare per ciò che riguarda le caratteristiche e gli effetti del servizio.
  • (6) Anche il Regolamento recante la disciplina dei servizi a sovrapprezzo di cui al D.M. n. 145/2006 contempla, tra gli altri, i servizi di astrologia e cartomanzia.
  • (7) Sul confine tra lecito e illecito in materia di “maghi e cartomanti” si è più volte espressa la Corte di Cassazione, tra le altre: Cass. Pen. Sez. II – sent. 20166/2015, Cass. Pen. Sez. II – sent. 21788/2014 e Cass. Pen. Sez. II – sent. 934/2014.
  • (8) Facendo un paio di visure camerali di soggetti operanti nell’ambito della cartomanzia telefonica si scopre infatti che l’attività principale è quella di call center e servizi web.

Immagine in evidenza: “La chiromante”, dipinto ad olio di Simon Vouet (1620 ca.) – Immagine da Wikipedia, di pubblico dominio. 

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