Curarsi dentro una botte di freddo
Articolo di Antonio Crisafulli, medico, Professore associato di Fisiologia umana
La ricerca di facili scorciatoie per raggiungere il benessere fisico o la guarigione da malattie è sempre stata una costante nella storia umana. Tantissimi sono i rimedi più o meno fantasiosi che guaritori antichi e moderni hanno “spacciato” come miracolosi per un ampio ventaglio di patologie.
Chi non ricorda le sanguisughe, i salassi e i clisteri che i medici del ‘600 e ‘700 prescrivevano per riequilibrare i “quattro umori” di cui è composto l’organismo umano?
Questo tipo di terapia era somministrata sulla base di una tradizione aneddotica e di una visione del corpo umano spesso approssimativa e basata su convinzioni magico-religiose che oggigiorno ci appaiono quantomeno ingenue e fantasiose. Con l’introduzione del metodo scientifico questo tipo di approccio in teoria non dovrebbe essere più accettato. Nella medicina moderna i farmaci e le terapie dovrebbero essere prescritti sulla base di sperimentazioni cliniche controllate che hanno come obiettivo principale quello di confrontare due o più gruppi di soggetti, utilizzando due o più cure – di cui almeno una accertata come efficace -, oppure confrontando i dati di un gruppo trattato con una cura ed uno con un placebo.
Tuttavia ancora oggi alcune terapie vengano somministrate senza un’evidenza clinica definitiva o, addirittura, quando l’evidenza sperimentale le assimila ad un qualsiasi placebo. Si potrebbero fare decine di esempi di questo tipo di medicina “alternativa” (per esempio l’omeopatia, l’aromaterapia, la cristalloterapia …) il cui elenco esula dalle finalità di questo articolo.
Ciò che spesso accomuna queste terapie non convenzionali è, tra le altre cose, la loro innocuità in quanto difficilmente causano danni diretti. Più che altro la loro pericolosità sta nella capacità di distrarre il malato da terapie più efficaci e sperimentalmente dimostratesi utili.
Altra caratteristica di queste medicine alternative è che spesso sembrano funzionare in tutte quelle malattie in cui è importante la componente emotiva. In questo aspetto, non si discostano da un comune placebo. Infatti riscuotono un discreto successo in patologie dove conta l’elaborazione del sintomo da parte del nostro sistema nervoso centrale e della nostra coscienza.
Per fare qualche esempio molto rozzo, nessuno persona con un briciolo di sensatezza si farebbe curare una frattura tibiale con l’aromoterapia o l’omeopatia. Né crediamo sarebbe una buona idea curare un’appendicite acuta con l’applicazione di cristalli dai poteri miracolosi sull’addome.
Tutti noi – o quasi tutti – siamo consapevoli che di fronte ad una malattia acuta e pericolosa bisogna consultare un esperto. Siamo invece più disposti a lasciarci curare alternativamente se la patologia non sembra metterci in pericolo di vita immediato. Circola una battuta che rende bene l’idea di ciò che si vuole significare: “Avete mai sentito urlare: c’è un omeopata a bordo?”
Un’altra considerazione di una certa importanza è che spesso queste medicine non convenzionali appaiono funzionare laddove manca un esito terapeutico misurabile in modo preciso. Ne è un buon esempio la gravidanza. Chi scrive questo articolo non conosce nessun sistema “alternativo” ai classici approcci medici per evitare una gravidanza indesiderata. Il motivo è che la nascita di un bimbo è un fenomeno facilmente accertabile, misurabile ed indipendente dalla componente emotiva della mamma. Stessa cosa per il diabete: la misura della glicemia fornisce una verifica facile e praticamente istantanea della capacità di un farmaco di abbassare il livello di glucosio nel sangue dei pazienti. Ma si potrebbero fare decine di esempi del genere.
Questa premessa per introdurre il reale argomento di questo articolo: ultimamente sta venendo alla ribalta un tipo di terapia chiamata in inglese Whole Body Cryotherapy (che da ora in poi abbrevieremo con l’acronimo WBC); in italiano la traduzione sarebbe qualcosa del tipo: “applicazione del freddo in tutto il corpo”, ma spesso viene più semplicemente indicata come “criosauna”. In pratica è l’opposto della classica sauna: invece di stare in un ambiente caldo, il soggetto viene esposto alle basse temperature.
Esistono vari sistemi per praticare una WBC: si va dalla semplice e rudimentale immersione in barili di acqua ghiacciata, a sistemi (spesso cabine stagne) che erogano per pochi minuti nubi di azoto vaporizzato a temperature che possono arrivare a oltre –100 °C.
A cosa dovrebbero servire queste applicazioni?
Stando a coloro i quali la propongono, la WBC riuscirebbe a limitare la percezione del dolore, ridurre il gonfiore dovuto a stati infiammatori, combattere la cellulite, perdere peso, accelerare il metabolismo, stimolare il sistema nervoso simpatico, indurre vasodilatazione nelle coronarie e in altre parti del corpo, rimuovere l’acido lattico e altri metaboliti. La WBC avrebbe inoltre effetti antiossidanti, faciliterebbe il sonno e combatterebbe la depressione.
Per cui sarebbe utile per una serie molto varia di patologie che vanno dall’artrosi al diabete, passando per psoriasi, prurito, dermatiti, dislipidemie, lesioni ossee e muscolari, depressione, malattie metaboliche ed altri stati patologici vari. Contrasterebbe inoltre l’invecchiamento.
Ma l’applicazione del freddo per la cura di tutte queste patologie poggia su basi scientifiche?
Al lettore sembrerà strano, ma a questa domanda non è semplice dare una risposta univoca.
In effetti l’applicazione locale di ghiaccio (nota come crioterapia locale) è da tempo usata ed accettata in medicina per ridurre e alleviare i sintomi di stati infiammatori locali, infortuni articolari, strappi muscolari etc.
Diverso è invece il caso della WBC, che, per quanto ci è dato sapere, fu introdotta nella pratica clinica ad inizio anni ’80 da Yamauchi e collaboratori per la cura di patologie reumatiche (1). Da allora si sono sviluppate e standardizzate diverse tecniche la cui trattazione esula dallo scopo divulgativo di questo articolo e che il lettore può trovare esposte in ottimi lavori di revisione sistematica pubblicati su riviste scientifiche specifiche (2,3).
Da un’analisi della letteratura scientifica emerge come molte di queste tecniche vengano utilizzate in ambito sportivo. Ciò non dovrebbe sorprendere considerato che gli atleti sono sottoposti a carichi lavorativi spesso usuranti e che gli infortuni sono costantemente in agguato. Le revisioni sistematiche della letteratura sembrano indicare una qualche utilità della WBC nel ridurre gli stati infiammatori che spesso colpiscono gli atleti, sebbene non tutti gli autori siano concordi nel riportare effetti positivi (3-9). In particolare, due metanalisi del 2013 e del 2015 (6,7) non riportano sufficienti evidenze scientifiche per affermare che la WBC abbia un qualche effetto positivo sul recupero fisico e sui dolori muscolari dopo sedute di training intenso.
Insomma, la scienza non è in grado in questo momento di stabilire in maniera certa se la WBC sia utile negli atleti. Questo non deve stupire il lettore poiché gran parte degli effetti riportati dalla WBC riguardano la percezione del sintomo “dolore”, che risente molto del nostro stato emotivo e della nostra elaborazione del sintomo. Fa parte quindi di quei sintomi influenzati pesantemente dall’effetto placebo.
Ma gli atleti e lo sport non sono l’unico campo di applicazione della WBC. Negli ultimi tempi la tecnica sta avendo una discreta espansione e viene proposta in molti ambiti clinici come le malattie neurologiche, psichiatriche, la sindrome metabolica e le malattie reumatiche (10-13). Per nessuno di questi ambiti esistono prove convincenti di una sua reale efficacia, anche se alcuni studi riportano effetti benefici. In particolare, mancano studi rigorosi con un sufficiente numero di pazienti per poter stabilire definitivamente se la WBC abbia una qualche utilità clinica.
Di positivo c’è che non sono riportati eventi avversi di rilevante importanza, per cui la WBC sembra sostanzialmente innocua.
Concludendo, la WBC rappresenta un tipico caso di metodica terapeutica su cui la scienza non ha ancora trovato prove definitive di una sua utilità o di una sua inutilità. Ulteriori ricerche serviranno per stabilire se possa avere un qualche ruolo nella cura delle patologie che abbiamo elencato in questo articolo.
Questo fatto non deve essere considerato strano dal lettore. Esistono tante cure e terapie su cui è difficile pronunciarsi definitivamente perché, come spiegato nell’introduzione, gli effetti della nostra psiche, del nostro umore e dell’elaborazione delle sensazioni da parte del nostro sistema nervoso rendono spesso difficile stabilire con sicurezza quanto una cura sia realmente efficace e quanto invece il suo effetto sia attribuibile all’effetto placebo.
Note
- Yamauchi T et al. Extreme cold treatment (-150 °C) on the whole body in rheumatoid arthritis. Rev Rheum, 1981; 48: P1054.
- Bouzigon R et al. Whole- and partial-body cryostimulation/cryotherapy: Current technologies and practical applications. J Therm Biol. 2016; 61: 67-81.
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Lombardi G et al. Whole-Body Cryotherapy in Athletes: From Therapy to Stimulation. An Updated Review of the Literature. Front Physiol 2017; 8:258.
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Wilson LJ et al. Whole body cryotherapy, cold water immersion, or a placebo following resistance exercise: a case of mind over matter? Eur J Appl Physiol 2019;119(1): 135-147.
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Rose C et al. Whole-body Cryotherapy as a Recovery Technique after Exercise: A Review of the Literature. Int J Sports Med. 2017; 38(14): 1049-1060.
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Costello JT et al. Whole-body cryotherapy (extreme cold air exposure) for preventing and treating muscle soreness after exercise in adults. Bleakley Cochrane Database Syst Rev 2015; (9): CD010789.
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Poppendieck W. et al. Cooling and performance recovery of trained athletes: a meta-analytical review. Int J Sports Physiol Perform. 2013; 8(3): 227-42.
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Broatch JR et al. Whole-body cryotherapy does not augment adaptations to high-intensity interval training. Sci Rep. 2019; 9(1): 12013.
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Krueger M et al. Whole-body cryotherapy (-110 °C) following high-intensity intermittent exercise does not alter hormonal, inflammatory or muscle damage biomarkers in trained males. Clinical Trial Cytokine 2019; 113: 277-284.
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Rymaszewska J et al. Efficacy of the Whole-Body Cryotherapy as Add-on Therapy to Pharmacological Treatment of Depression-A Randomized Controlled Trial. Front Psychiatry 2020; 11:522..
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Pawik M et al. The effectiveness of whole-body cryotherapy and physical exercises on the psychological well-being of patients with multiple sclerosis: A comparative analysis. Adv Clin Exp Med. 2019; 28(11): 1477-1483.
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Wiecek M et al. Whole-Body Cryotherapy Is an Effective Method of Reducing Abdominal Obesity in Menopausal Women with Metabolic Syndrome. J Clin Med 2020; 9(9): E2797.
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Sadura-Sieklucka T et al. Effects of whole body cryotherapy in patients with rheumatoid arthritis considering immune parameters. Reumatologia. 2019; 57(6): 320-325.
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