Approfondimenti

Umiltà intellettuale: un principio guida per il movimento scettico?

Articolo di Scott O. Lilienfeld 

(Traduzione di Arianna Baldassarre)

Vi supplico, per le viscere di Cristo, pensate che sia possibile che vi sbagliate. (Oliver Cromwell, davanti all’Assemblea generale della Chiesa riformata di Scozia, 1650.)

Nel novembre 2019 i partecipanti al congresso CSICon del Committee for Skeptical Inquiry hanno ricevuto nelle loro caselle di posta elettronica la seguente richiesta da un anonimo membro del CSI:

Ho riflettuto molto su cosa significhi essere uno scettico e su cosa significhi lo scetticismo per certe persone. Ho pensato che piacerebbe avere la vostra opinione su … (1) Cosa significa per voi essere scettico? (2) Quali pensate siano gli elementi più importanti dello scetticismo? 

Le risposte a queste domande sono tutt’altro che scontate. Sebbene lo scetticismo sia stato oggetto di numerose trattazioni concettuali, alcuni da una prospettiva principalmente scientifica (Beyerstein 1996; Novella et al.2018) e altre da una prospettiva principalmente filosofica (DeRose e Warfield 1999; Bupp e Kurtz 2012; Pritchard 2019), il movimento scettico ha lottato a lungo per identificare un “credo” che facesse da guida. Ad esempio, la rivista Skeptical Inquirer ha osservato che “lo scetticismo … non è un cinico rifiuto delle nuove idee, come recita lo stereotipo popolare, ma piuttosto un atteggiamento di mente aperta e di senso critico” (skepticalinquirer.org/what-is-skepticism/). Da questo punto di vista, lo scetticismo ci impone di adottare una posizione epistemica – un approccio alla conoscenza – caratterizzato da due punti di vista apparentemente contraddittori, ossia un’apertura mentale alle nuove affermazioni unita all’insistenza nel sottoporle a un esame rigoroso e imparziale (vedi anche Sagan 1996).Tuttavia, questa caratterizzazione solleva una domanda intrigante a cui fanno eco le due domande poste all’inizio di questo articolo: c’è una “essenza” o un “atteggiamento mentale” psicologico più profondo alla base dello scetticismo? Se c’è, che cos’è?

Una tensione intrinseca al movimento scettico

Chiunque abbia seguito il movimento scettico negli ultimi decenni è pienamente consapevole delle controversie profonde all’interno delle sue fila su come affrontare al meglio i fautori di affermazioni infondate, come quelle riguardanti la medicina paranormale o complementare e alternativa. Gli scettici dovrebbero adottare un approccio “non-fare-prigionieri” che induca ad eseguire in modo spietato un simile dovere, o un approccio più garbato e gentile, che li sfidi con fermezza ma con tatto? O è necessario un mix di entrambi gli approcci, a seconda della situazione in questione? Alle conferenze degli scettici, nelle pubblicazioni degli scettici e sui blog degli scettici, di solito si vedono entrambe le strategie, che variano dal ridicolizzare l’altro al rispettarlo, ma con uno scarso consenso su quale posizione sia più utile per cambiare i cuori e le menti.

Figure di spicco tra le fila del movimento scettico hanno da tempo sollevato allarmi riguardo al tono a volte arrogante o elitario utilizzato (Plait 2010). Una delle voci principali dello scetticismo, l’astronomo e scrittore scientifico Carl Sagan, aveva espresso queste preoccupazioni già decenni fa: “La principale carenza che vedo nel movimento scettico è la sua polarizzazione: noi contro loro – la sensazione di avere il monopolio della verità; che quelle altre persone che credono in tutte queste stupide dottrine siano dei deficienti; che se sei ragionevole, ci ascolterai; e se no, vai all’inferno. Tutto ciò non è costruttivo. Non trasmette il nostro messaggio” (Sagan 1996).

Condividiamo le preoccupazioni di Sagan. Allo stesso tempo, la questione di quanta apertura o rispetto mostrare ai fautori di affermazioni scientificamente non supportate è lungi dall’essere risolta. Pochi contesterebbero l’affermazione di Sagan secondo cui è improbabile che i diffamatori sistematici del paranormale risultino produttivi. Tuttavia, possono esserci casi (specialmente quando i sostenitori di affermazioni dubbie sfruttano in modo sfacciato individui vulnerabili) in cui un approccio intransigente allo smascheramento delle affermazioni è giustificato o addirittura necessario. Sospettiamo che senza un approccio coerente e unitario nell’affrontare le affermazioni scientificamente ingiustificate e i loro sostenitori, è probabile che il movimento scettico si troverà costretto a continuare a dibatterne anche nel prossimo futuro.

In questo articolo, proponiamo che l’umiltà intellettuale possa essere un approccio globale all’evidenza che il movimento scettico potrebbe abbracciare come suo “credo” guida.

Come hanno notato lo psicologo William O’Donohue e i suoi colleghi, l’umiltà intellettuale è una virtù epistemica chiave: una disposizione del carattere che ci aiuta a ridurre al minimo l’errore nella nostra rete di credenze (Quine e Ullian 1978) e, idealmente, ad arrivare a un’approssimazione migliore alla verità  (O’Donohue et al.  2017).

Umiltà intellettuale: questioni concettuali e definitorie

Per secoli, se non per millenni, gli studiosi hanno messo in guardia contro i rischi della hubris intellettuale (Cowan et al. 2019). Il filosofo francese del XVI secolo Michel de Montaigne (1595) scrisse che “la piaga dell’uomo è il vantarsi della sua conoscenza”. Forse a causa delle sue origini filosofiche (Lynch 2019) e della sfocatura della definizione che a volte accompagna le discussioni filosofiche su di esso, il concetto di umiltà intellettuale non si è prestato da subito all’indagine scientifica. Tuttavia, negli ultimi anni l’umiltà intellettuale è stata messa sempre di più al centro dagli psicologi orientati empiricamente, in gran parte grazie alla costruzione di diverse misure promettenti di questo costrutto (McElroy-Heltzel et al.2019). Sebbene gli psicologi debbano ancora convergere su una definizione consensuale di umiltà intellettuale, la maggior parte concorda sul fatto che essa comprende la consapevolezza dei propri limiti e pregiudizi intellettuali (Church e Samuelson 2016; Leary et al.2017; Lilienfeld e Bowes 2020); un apprezzamento delle possibili prospettive alternative; un riconoscimento che le basi probatorie delle proprie convinzioni sono spesso incomplete (Alfano et al. 2017; Whitcomb et al. 2017).

L’umiltà intellettuale è un costrutto fondamentalmente “metacognitivo” (cioè, il pensare riguardo al pensiero) (Zohar e Barzilai 2013), il che significa che gli individui intellettualmente umili di solito riflettono sui loro processi di pensiero, applicando i principi dello scetticismo al proprio ragionamento. In quell’articolo, una tabella presenta elementi significativi di diversi items del questionario sull’umiltà intellettuale.

L’umiltà intellettuale sembra esser legata a ciò che gli psicologi hanno soprannominato “piccolo punto cieco del pregiudizio (bias)”. La ricerca suggerisce che quando viene chiesto di vari pregiudizi cognitivi onnipresenti, come il pregiudizio di conferma (Nickerson 1998), o il pregiudizio del senno di poi (Fischhoff 1975), la maggior parte di noi riferisce che altre persone sono inclini a questi pregiudizi mentre noi ne siamo in gran parte o del tutto immuni (Pronin et al. 2002); questa discrepanza è chiamata punto cieco del pregiudizio. Quindi, la maggior parte di noi non è solo psicologicamente cieca in una certa misura, ma cieca sulla nostra cecità. In linea di principio, le persone intellettualmente umili sono più consapevoli dei propri pregiudizi rispetto ad altre persone, sebbene non sia noto se siano meno inclini ai pregiudizi in generale.

Alcuni autori considerano anche l’umiltà intellettuale come un rispetto per le opinioni degli altri (Hook et al.2017; Krumrei-Mancuso e Rouse 2016), sebbene altri studiosi vedano questa capacità come un effetto £a valle” dell’umiltà intellettuale piuttosto che come una caratteristica necessaria d i essa. Nonostante questi disaccordi definitori, i dati suggeriscono che gli individui con alti livelli di umiltà intellettuale auto-dichiarata sono più propensi di quelli con livelli bassi a considerare il disaccordo acuto come un riflesso di differenze di opinione rispettabili e degni di discussione (Porter e Schumann 2018).

L‘umiltà intellettuale è moderatamente correlata, ma indipendente dall’umiltà generale (Davis et al.2016). Le prove preliminari suggeriscono anche che l’umiltà intellettuale sia modestamente associata all’intelligenza generale (Zmigrod et al. 2019). Inoltre, l’umiltà intellettuale comporta solide associazioni con alcuni tratti della personalità, specialmente con quelli legati alla piacevolezza, alla coscienziosità e all’apertura a nuove esperienze e idee (Davis et al. 2016; McElroy et al. 2014).

Al contrario di quanto hanno suggerito alcuni autori (ad esempio, Pritchard 2019), l’umiltà intellettuale non implica una scarsa fiducia in se stessi. I dati suggeriscono anzi che l’umiltà intellettuale non è correlata, e forse anche leggermente correlata positivamente, all’autostima, così come alla fiducia nelle proprie convinzioni (Meagher et al. 2015; Porter e Schumann 2018). Quindi, si può essere insieme intellettualmente umili e in gran parte certi delle proprie convinzioni, soprattutto se le si è sottoposte a un esame approfondito. Un probabile esempio di questo principio fu Carl Sagan. Dopo aver incontrato Sagan per un’ora e mezza, il primo autore di questo articolo lo trovò intellettualmente assai stimolante, a volte persino feroce; Sagan fece domande penetranti e non mostrò alcun segno di diffidenza. Allo stesso tempo, Sagan era aperto a posizioni che contraddicevano la sua ed era più che disposto a cambiare idea di fronte a prove contrarie. Come Sagan, gli individui prototipicamente umili dal punto di vista intellettuale non sono degli araldi di un’ideologia. Piuttosto, valutano le loro convinzioni in proporzione alla forza delle prove.

Perché l’umiltà intellettuale conta? 

Perché i lettori di Skeptical Inquirer e di pubblicazioni simili dovrebbero avere ben presenti le conseguenze dell’umiltà intellettuale? Ci sono almeno tre ragioni.

In primo luogo, almeno in linea di principio, l’umiltà intellettuale può occupare la via di mezzo tra l’eccessiva credulità da una parte e il cinismo dall’altra (vedi anche Zagzebski 1996). Molti autori hanno identificato la media aurea o “punto debole” tra questi due estremi come sinonimo di scetticismo (Beyerstein 1996; Molé 2002; Pigliucci 2003). Nelle parole di Michael Shermer (2002), lo scetticismo riflette “l’equilibrio essenziale tra ortodossia ed eresia, tra un impegno totale per lo status quo e la ricerca cieca di nuove idee”.

In secondo luogo, la componente chiave dello scetticismo – l’estensione del dubbio alle affermazioni – non arriva certo maniera naturale alla mente umana. L’umiltà intellettuale è ampiamente coerente con questo ethos, ma la estende al dubitare delle proprie convinzioni, non solo di quelle degli altri.

A questo proposito, Paul Kurtz, uno dei giganti dello scetticismo, ha fatto eco alle opinioni del filosofo e matematico Charles Sanders Peirce: “C’è sempre la possibilità che possiamo essere in errore. Potrebbe essere necessario correggere le nostre osservazioni. Potremmo aver interpretato male i dati. Potremmo sbagliarci” (Kurtz e Shook 2010, 26).

In terzo luogo, i dati del nostro laboratorio suggeriscono che l’umiltà intellettuale è collegata a diverse disposizioni psicologiche che si ritiene possano essere rilevanti per lo scetticismo, come bassi livelli di pregiudizio di conferma e di dogmatismo, nonché all'”oggettivismo”, ossia la tendenza a basare le proprie convinzioni su dati rigorosi e su ragioni attentamente considerate, piuttosto che su intuizioni o su esperienze soggettive (Bowes 2019). Inoltre, l’umiltà intellettuale sembra essere in qualche modo una qualità protettiva contro la suscettibilità verso quel costrutto intrigante chiamato “scempiaggini pseudoprofonde” (Pennycook et al. 2015), quello che riflette la tendenza a percepire affermazioni superficialmente profonde ma vacue, come ad esempio siamo nel mezzo di  una fioritura ad alta frequenza di interconnessione che ci darà accesso alla stessa zuppa quantistica” (Bowes 2019).

L’umiltà intellettuale è anche associata a livelli più bassi di approvazione delle teorie del complotto e a livelli bassi di credenza nel legame causale (screditato) tra vaccini e autismo (Bowes, Costello, et al.2020). Potenzialmente coerente con questi risultati, l’accettazione delle teorie del complotto è invece positivamente associata al narcisismo (Cichocka et al.2016), che a sua volta è un indicatore di bassa umiltà intellettuale (Alfano et al.2017). Inoltre, l’umiltà intellettuale prevede livelli più elevati di fiducia nella realtà del riscaldamento globale, e al contempo una maggiore apertura verso gli argomenti scientifici che sfidano le proprie opinioni sul riscaldamento globale (Bowes, Blanchard, et al. 2020).

Tuttavia, molte di queste prove sono provvisorie e probabilmente errate.

La maggior parte dei dati che abbiamo esaminato deriva da misure auto-riferite di umiltà intellettuale. Potrebbe essere paradossale chiedere alle persone i propri livelli di umiltà (Lilienfeld e Bowes 2020). Nella misura in cui l’essenza dell’umiltà è la consapevolezza delle proprie debolezze, molti partecipanti intellettualmente umili possono sottovalutare di parecchio i loro livelli di questo tratto. Al contrario, possiamo tutti pensare a individui altamente immodesti – forse vengono in mente alcuni importanti politici – che sopravvalutano di molto i loro livelli di umiltà intellettuale. Questo “paradosso dell’umiltà” può rappresentare una sfida formidabile per misurare l’umiltà intellettuale e le caratteristiche connesse (Christen et al. 2014). Nella ricerca futura, sarà dunque essenziale aggirare questa limitazione integrando le auto-indicazioni di umiltà intellettuale con relazioni da parte di informatori e con osservazioni comportamentali, inclusi indicatori oggettivi di quanto spesso gli individui hanno cambiato idea di fronte a prove contrarie persuasive (Rodriguez et al. 2019).

Umiltà intellettuale e pensiero scientifico

Per molti aspetti, possiamo pensare alla scienza come a una ricetta organizzata per l’umiltà intellettuale (Lilienfeld et al. 2017; McFall 1996). Nel mio ambito prediletto, la psicologia, i controlli procedurali richiesti ai ricercatori – come i gruppi di controllo, il rendere cieche le osservazioni e l’eliminazione di potenziali variabili confondenti – costituiscono sforzi per combattere il pregiudizio di conferma e altri errori cognitivi che possono essere alimentati dalla hubris intellettuale. Sono baluardi metodologici contro l’ingannare noi stessi e gli altri; sono anche tra le caratteristiche che meglio distinguono la scienza dalla pseudoscienza (Bunge 1984). Come hanno osservato Carl Sagan e Ann Druyan, “La scienza … sussurra sempre alle nostre orecchie: Ricorda, sei del tutto nuovo in questa cosa. Potresti sbagliarti. Ti sei sbagliato prima” (Sagan 1996, 34-35).

Allo stesso modo, nelle parole degli psicologi sociali Carol Tavris ed Elliott Aronson (2007), la scienza è un metodo di “controllo dell’arroganza” (p. 109), perché riconosce in maniera implicita che gli scienziati spesso commettono errori, nelle loro teorie, metodi, analisi e interpretazioni. Molte delle tutele istituzionalizzate della scienza, inclusa la revisione tra pari formalizzata (peer review) e ciò che Helen Longino (1990) ha definito interrogatorio trasformativo (esame continuo delle affermazioni di colleghi scienziati fatte nei congressi, durante conversazioni informali, sui blog e così via) sono mezzi di difesa essenziali contro l’errore umano. Quindi, anche se i singoli scienziati non sono per forza intellettualmente umili, la comunità scientifica respinge in modo incessante le loro esagerazioni, operando come mezzo di rilevamento e di correzione degli errori collettivi (Oreskes 2019).

A rischio di una generalizzazione eccessiva, sembra ragionevole concludere che gli scienziati sono più spesso ricompensati per aver strombazzato ai quattro venti i loro risultati positivi che per ammettere errori o per riconoscere carenze nei loro risultati (Diamandis e Bouras 2018). Malgrado ciò, come ci ha ricordato il neuroscienziato Stuart Firestein (2015) con una sua analisi tagliente, il fallimento è un motore essenziale del progresso scientifico, poiché la disconferma delle nostre amate ipotesi tende ad essere il mezzo più efficiente per eliminare gli errori dei nostri sistemi di credenze (O’Donohue 2013; Popper 1959).

Come scienziati, comunicatori scientifici ed educatori scientifici, dovremmo cercare con entusiasmo, accogliere e pubblicizzare le nostre previsioni fallite. Dovremmo arrivare a considerare le ipotesi errate come nostre amiche.

Tuttavia, come scienziati, abbiamo assolutamente bisogno di più modelli di umiltà intellettuale. Uno dei nostri esempi preferiti deriva dall’autobiografia di Charles Darwin. Riflettendo sul suo approccio alla registrazione dei dati, Darwin scriveva:

Avevo anche seguito per molti anni una regola d’oro, vale a dire che ogni volta che un fatto pubblicato, una nuova osservazione o un pensiero mi veniva incontro opponendosi ai miei risultati generali, di prenderne nota subito e senza fallo, poiché avevo scoperto per esperienza che tali fatti e pensieri erano molto più adatti a sfuggire alla memoria di quelli favorevoli. (Darwin 1898, 123) 

Questa bella citazione cattura gran parte dell’essenza dell’umiltà intellettuale, inclusa la sua concettualizzazione contemporanea quale piccolo punto cieco di pregiudizio (Lilienfeld e Bowes 2020). Darwin ha ammesso la sua propensione al pregiudizio di conferma e ha spiegato come ha potuto intraprendere degli sforzi organizzati per compensarlo. Potrebbe essere stato incline ai pregiudizi come lo erano altri scienziati della vita, ma era meglio preparato a contrastarli.

Un esempio più recente viene dallo psicologo della Princeton University Daniel Kahneman, vincitore del Premio Nobel per le scienze economiche nel 2002. Nel suo libro Thinking, Fast and Slow, Kahneman (2011) ha propagandato la solidità di diversi risultati psicologici altamente controintuitivi basati sui paradigmi del cosiddetto priming

In un famoso esperimento, i ricercatori hanno osservato che gli studenti invitati a riflettere sulla vecchiaia riordinando parole relative agli anziani (come “Florida” e “rughe”) avevano in seguito maggiori probabilità di camminare per il corridoio lentamente rispetto agli studenti cui non era stato richiesto (Bargh et al. 1996). Quando si tratta risultati sorprendenti come questo, Kahneman aveva scritto: “L’incredulità non è un’opzione proponibile. I risultati non sono stati costruiti ad arte, e non si tratta di fluttuazioni statistiche. Non ci resta che riconoscere che le conclusioni principali di questi studi sono vere” (Kahneman 2011, 56).

Tuttavia, mentre proseguivano sforzi infruttuosi per replicare i risultati del priming sociale, aumentavano anche i dubbi di Kahneman e quelli di altri psicologi.

Anche se Kahneman e il suo collaboratore Amos Tversky avevano condotto un lavoro classico sulla legge dei piccoli numeri che ha dimostrato che la maggior parte delle persone trae inferenze troppo forti dai dati provenienti da piccoli campioni (Tversky e Kahneman 1971), Kahneman stesso aveva ignorato questo principio cardine quando si era trattato di valutare i meriti degli studi sul priming sociale, molti dei quali erano stati condotti su un numero assai modesto di partecipanti.

Quando un collega ha sottolineato questa incoerenza a Kahneman in un post sul suo blog, come ha risposto Kahnemann? Ecco quanto ha scritto:

Ciò su cui il blog ha perfettamente ragione è che ho riposto troppa fiducia negli studi sottodimensionati. Come sottolineato nel blog e in precedenza da Andrew Gelman, c’è una particolare ironia nel mio errore, perché il primo articolo che Amos Tversky e io abbiamo pubblicato riguardava la fede nella “legge dei piccoli numeri”, che consente ai ricercatori di fidarsi dei risultati di studi sottodimensionati con campioni irragionevolmente piccoli… Il nostro articolo è stato scritto nel 1969 ed è stato pubblicato nel 1971, ma non sono riuscito a interiorizzare il suo messaggio. (Kahneman 2017)

Se solo tutti gli scienziati e i politici fossero così disposti a riconoscere i propri errori!

Un ultimo esempio rinfrescante di umiltà intellettuale nel nostro campo è il sito web The Loss-of-Confidence Project, fondato nel 2018, che incoraggia gli psicologi a condividere esempi dei loro risultati pubblicati in cui non credono più (vedi lossofconfidence.com/). Al momento della stesura di questo documento, questo progetto ha attirato dichiarazioni da una dozzina di ricercatori che affermano di aver perso la fiducia in una o più delle loro scoperte. Molti di loro hanno confessato che, in retrospettiva, avevano “massaggiato” i dati in diversi modi prima di ottenere prove per le loro ipotesi (Rohrer et al. 2018). Ci auguriamo che altri ricercatori nel campo della psicologia, così come quelli di altre discipline scientifiche, seguano presto l’esempio di mostrare dubbi sulle proprie scoperte.

Pensieri conclusivi

La ricerca sull’umiltà intellettuale è ancora agli inizi e molte questioni concettuali ed empiriche restano da risolvere. Tuttavia, siamo ragionevolmente sicuri che l’umiltà intellettuale sia come una stella polare per il movimento scettico. A nostro avviso, tutti gli scettici dovrebbero cercare di diventare più consapevoli dei propri limiti cognitivi, inclusi i propri pregiudizi, e riconoscere che le basi probatorie delle proprie convinzioni sono spesso fallibili.

Inoltre, sebbene gli scettici non dovrebbero esimersi dall’adottare posizioni forti riguardo alle asserzioni palesemente infondate, dovrebbero essere riluttanti nel respingere affermazioni forti prima di un’attenta indagine. Come ci ha avvertito Carl Sagan (1996), gli scettici dovrebbero diffidare quando ritengono di possedere il monopolio della verità.

Se la nostra analisi ha dei meriti, tutti gli scettici dovrebbero sforzarsi di inculcare un profondo senso di umiltà intellettuale in se stessi e negli altri, ed evitare il fascino allettante dell’arroganza intellettuale.

Ma ovviamente potremmo sbagliarci.

* Scott O. Lilienfeld, PhD (1960-2020), è stato professore di psicologia presso la Emory University. È stato coeditore del libro Science and Pseudoscience in Clinical Psychology, Second Edition (2014) e autore di diversi altri libri sulla scienza e sulla pseudoscienza in psicologia.

Articolo tratto da Skeptical Inquirer, volume 44, n.5, settembre-ottobre 2020. Traduzione di Arianna Baldassarre. Immagine in evidenza: Le penseur, statua in bronzo di Auguste Rodin (1882).

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3 pensieri riguardo “Umiltà intellettuale: un principio guida per il movimento scettico?

  • Sentimental Journey nel passato dello Scetticismo (della serie: il CICAP come eravamo. ) Si tratta di avvenimenti risalenti ai lontani anni ottanta, quando il CICAP, nel caso già fosse stato fondato ufficialmente, non andava oltre la famosa Casella Postale di Voghera. (Per fortuna Piero Angela, in RAI, contava già assai). PRIMO EPISODIO: Radio RAI, o Primo o Secondo, intervista a due del CICAP, spariti entrambi dalla circolazione. Uno, particolarmente entusiasta, lodava il premio di un milione in lire di allora a chi, davanti al G-SS (Giudici Scettici Supremi), avesse dimostrato di saper volare, o altro parapotere. Una giornalista RAI osservò di aver assistito ad una levitazione da parte di meditabondo. Il GSS rispose: “Lei è stata sicuramente ingannata o ha visto male” SECONDO EPISODIO: trasmissione televisiva, sempre su un canale RAI (allora erano solo tre, ed era ancora in bianco e nero). Parla un giudice, simpatico e sorridente, e sostiene di non aver avuto modo di dubitare di una Chiaroveggente che aveva parlato con la sua mamma defunta. Interviene uno dei GSS presenti, volto rugoso, piega amara a sinistra sulle labbra, voce roca: “Mi meraviglio di Lei! Quindi, se un suo indagato asserisse che il delitto l’ ha commesso un fantasma, Lei ci crederebbe! ” Allora ero Ateo e non Credenzone, ma non mi piacquero i due interventi e, in generale, l’ atteggiamento di molti neanderthaliani del CICAP, troppo entusiasti e convinti di sé. Certo, ne avete fatta di strada!

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  • É stata una lettura illuminante della quale cercherò di fare tesoro, confrontandomi con tutti (colleghi e non) sulle mie idee e cercando di fare una analisi oggettiva e severa sui miei bias, non tanto per sconfiggerli ma almeno per conoscerli.

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  • Bellissima traduzione, ma sarebbe d’obbligo pubblicare anche il link all’articolo originale, come vuole la tradizione delle traduzioni 😉

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