E leggiti 'sto paper

I monoliti di Baalbek

Disseminati in tutto il mondo si trovano opere di ingegneria maestose e monumentali che ci paiono impossibili da realizzare, soprattutto per i popoli antichi, che non avevano certo la nostra tecnologia avanzata. Come è possibile, allora? Chi li ha costruiti? Non sarà stata un’antica civiltà avanzata, oggi scomparsa? 

Prendiamo come esempio i monoliti: grandi blocchi di pietra lavorata, realizzati per essere eretti. Nei libri, nei documentari, negli articoli pseudoarcheologici spesso troviamo una carrellata di questi monumenti, che vengono mostrati in successione puntando l’attenzione sulle loro somiglianze. A questo punto, come spiegare la presenza in varie parti della Terra anche molto distanti di questi monumenti? Qualcuno tira in ballo un’antica razza di giganti, o gli Annunaki o gli alieni o anche entità non meglio definite.

Come può rispondere l’archeologia? Come abbiamo detto spesso, in questa disciplina scientifica gioca un ruolo fondamentale il contesto: ogni oggetto, monumento, fatto del quale si parla, va ricondotto prima di tutto al proprio ambito cronologico e geografico. Infatti nulla è scollegato dall’ambiente circostante, ma tutto vi è immerso, collegato indissolubilmente. Solo cercando di ricostruire e capire questi legami, è possibile tentare di dare un’interpretazione all’oggetto del nostro discorso.

In quest’ottica è quindi difficile per un’archeologa come me prendere in esame tutti i monoliti nel loro insieme, poiché appartengono ad aree geografiche ed epoche diverse. Questo presuppone sia diverse tecniche di lavorazione, trasporto e messa in posa del monolite, sia diverse ragioni culturali, sociali o religiose alla base di questo sforzo collettivo.

Prendiamo dunque in esame uno solo di questi contesti: i monoliti di Baalbek.

In Libano, nei pressi del sito archeologico di Baalbek o Heliopolis, si trovano tre enormi monoliti. Il più grande, conosciuto come Ḥajjar al-Ḥibla (Stone of the Pregnant Woman), è davvero impressionante: lungo più di 20 metri, pesa circa 900 tonnellate. E anche gli altri due non sono da meno, essendo di poco inferiori per lunghezza e peso.

Ḥajjar al-Ḥibla, da Wikimedia Commons (licenza CC-BY-SA 3.0)

Come hanno fatto gli uomini antichi a intagliare questi monoliti? e come pensavano di sollevarli, trasportarli e posizionarli?

Per gli scienziati, la risposta a questa domanda parte da un presupposto fondamentale: inserire i monoliti nel loro contesto storico e geografico. Secondo i dati ricavati dagli scavi e dallo studio scientifico del sito, i tre megaliti risalgono alla fase romana. Nulla di cui stupirsi, allora. I romani erano perfettamente in grado di costruire, spostare e posizionare queste gigantesche pietre.

Ma siamo proprio sicuri che siano romani?, ribattono gli pseudoarcheologi. Invece sono stati costruiti migliaia di anni prima da una civiltà tecnologicamente evoluta oggi scomparsa!

Ma le prove a sostegno di questa tesi non sono chiare e si fermano al livello della valutazione personale dei singoli.

A questo punto allora, non è più sufficiente che lo scienziato continui a ribadire la sua convinzione che il sito sia invece romano, ma bisogna che spieghi anche come mai lo crede così fermamente.

Tramite le ricerche archeologiche, sappiamo che il sito di Baalbek fu abitato fino dall’età del bronzo, epoca nella quale era probabilmente legato al culto del dio Baal, come testimonia il nome. In epoca ellenistica prese il nome di Heliopolis. Al tempo dell’imperatore Tiberio, infine, divenne romana. A questo periodo risale il suo monumento più famoso: il maestoso tempio dedicato alla triade Giove, Venere e Mercurio.

Questo però riguarda la città di Heliopolis, sulla quale neanche gli pseudoarcheologi trovano molto da obiettare. Cosa possiamo dire nello specifico sui megaliti?

Ebbene, questi si trovano nella cava adiacente al sito. Cava che è stata oggetto di studi mirati in anni recenti, dimostrando che le pietre con le quali sono costruite le strutture monumentali di Heliopolis sono state estratte da qui. L’area della cava, pur comprendendo la zona dei tre famosi megaliti (area III), è in realtà molto più vasta.

Il megalite di Ḥajjar al-Ḥibla ha ancora un lato attaccato alla roccia della cava, dato che non è stato completamente scavato. Si trova quindi nella sua posizione originaria. La cosa interessante è che, studiando le tracce lasciate dagli operai, è possibile stabilire con quali strumenti i blocchi sono stati modellati. In questo caso, per estrarre il monolite dalla roccia della cava sono stati utilizzati picconi di metallo, compatibili con quelli in uso in epoca romana. Inoltre è stato possibile rilevare che diversi cavatori lavorarono contemporaneamente all’estrazione del monolite, prima dell’interruzione dei lavori. L’opera infatti è stata lasciata incompiuta, così come il tempio di Giove, Venere e Mercurio al quale le pietre erano destinate.

Sempre in seguito allo studio specifico e accurato del monolite, è stato possibile appurare che questo presenta alcuni fori quadrati sulla faccia superiore, probabilmente approntati come ancoraggio per il macchinario che avrebbe dovuto sollevarlo, una volta finito (come quelli proposti dall’archeologo francese Jean-Pierre Adam nel suo saggio intitolato A propos du trilithon de Baalbek. Le transport et la mise en oeuvre des mégalithes).

Nell’area IV invece si trova il secondo grande megalite trovato nella cava di Baalbek: era stato ricoperto interamente con i detriti derivanti dall’estrazione di altri materiali dalla cava. Questa è stata una fortuna per gli archeologi, perché ha permesso di portare alla luce una precisa stratigrafia che testimonia i periodi di utilizzo della cava. Lo studio della ceramica e dei dati dello scavo stratigrafico mostrano un’intensa occupazione di quest’area nel periodo islamico. Il monolite però, molto simile per forma e per tecnica estrattiva al precedente, appartiene all’epoca romana. Inoltre anche in questo caso assistiamo ad un’interruzione improvvisa dei lavori di estrazione dei blocchi e il monolite risulta dunque incompiuto.

Nel 2014 sono stati effettuati alcuni scavi ai lati del monolite di Ḥajjar al-Ḥibla per raccogliere nuovi dati sulle tecniche e le modalità di estrazione. Si è così scoperta un’area, nella parte nord est dell’Area III, dalla quale furono estratti diversi blocchi con altezza variabile tra 3,60 e 1,45 m, delimitati da trincee. Anche a ovest la situazione è simile. 

A nord invece, è stato trovato un nuovo megalite, lungo più di 19 metri. La parte superiore di questo monolite è rovinata dalle intemperie e dall’uomo, ma si riconoscono fori quadrati e circolari utilizzati come punto di ancoraggio per i macchinari. Anche questo enorme blocco risulta incompiuto, ma le motivazioni sono diverse. Grazie all’analisi dettagliata del monolite infatti, si è potuta riscontrare una frattura che corre longitudinalmente ad una zona carsica, caratteristica che ha decretato l’immediata interruzione dei lavori di estrazione del blocco, sostituito forse dal primo monolite di Ḥajjar al-Ḥibla, che si trova vicino a questo e presenta un’inclinazione tale da evitare la zona carsica.

I megaliti quindi, sono perfettamente inseriti nel contesto della cava. Sono state usate le stesse tecniche per estrarre sia i blocchi più imponenti, sia quelli più piccoli. Inoltre la stratigrafia dimostra la contemporaneità delle attività di estrazione. La cava è stata aperta per sopperire alla richiesta di materiali da costruzione attivata dai lavori per il maestoso tempio di Giove, Venere e Mercurio, che dista solamente 800 metri dalla cava. I grandi monoliti, nello specifico, erano destinati al basamento e alla pedana antistante al tempio. 

Lavori di questo tipo, però, richiedono la presenza di una forte autorità centrale, per mettere in atto il progetto e reperire le risorse e i materiali da costruzione. I tre monoliti vennero dunque abbandonati nella cava in seguito a modifiche, decise dall’autorità centrale, al progetto dell’edificio. Forse si decise di ridurre la grandezza del basamento del tempio, in seguito ad una crisi economica o ad altre motivazioni che non ci sono pervenute. Fatto sta che la cava fu ancora utilizzata dopo l’abbandono dei tre megaliti e dunque la costruzione del tempio continuò.

8 pensieri riguardo “I monoliti di Baalbek

  • Però vuoi mettere un bel documentario di Archeologia Ciofetica è molto più affascinante.

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    • Hai ragione, infatti spesso la forza di queste teorie è proprio la narrazione, che sicuramente è molto più affascinante di un paper scientifico. Anche la scienza è molto affascinante (molto di più, oserei dire), ma spesso chi la comunica è carente in story telling!

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  • Si può fare un articolo sulle tecniche d estrazione?

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  • non spiega nulla…una retorica astratta che parte da preconcetti e ipotesi campate in aria.

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    • Mi dispiace che la pensi così. Può dirmi esattamente cosa non viene spiegato? e quali sono secondo lei le ipotesi campate in aria? In realtà mi pare di aver detto delle cose abbastanza specifiche e referenziate, ma magari ho tralasciato qualcosa. In ogni caso il sito è stato oggetto di indagini archeologiche negli ultimi anni, quindi molte cose vengono spiegate nei paper che sono linkati nell’articolo.

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      • Almeno uno di quei monoliti misura m. 6×5,5×19,6 per un totale di 647 m³. Le 900 ton. da lei indicate produrrebbero un p.s. di 1,39…!
        Domanda: di che materiale è fatto quel manufatto…??? …aria fritta…???
        Nella letteratura, che l’accademia ama definire mito, leggiamo di una brutta storia di armi del terrore (leggi bombe atomiche) che appestarono l’aria, costringendo gli “dei” (leggi Visitors) a sgombrare rapidamente il campo. Questo sì… che spiega l’interruzione dei lavori.
        Inoltre, voi accademici, dimenticate sempre di segnalare l’esistenza di un gigantesco muraglione dove queste pietruzze sono collocate ordinatamente le une sulle altre…proprio come noi impiliamo i mattoni.
        Altra domanda: queli mirabolanti spiegazioni ci fornirà per spiegare i muri di Cuzco…???…per le linee di Natzca…???…per la pietra di Palenque…???…per le piramidi mesoamericane…???
        Perché l’accademia nega ferocemente il foro d’accesso sulla testa della Sfinge…??? Eppure il disegno dell’artista al seguito di Napoleone durante la campagna d’Egitto, è confermata da una fotografia fin de siecle scattata da una mongolfiera. La soletta di calcestruzzo a chiusura del foro è visibile in tutte le foto posteriori.
        Vorrei sapere cosa vi spinge a mentire. Paura di dover riscrivere la storia…???…non temete che i posteri vi taccino di ciarlataneria…?…proprio come noi tacciamo tali i persecutori del Galilei…???…”terra piatta”…mah…da non credere…considerato che Eratostene di Cirene calcolò, nel 4° sec. a.C., la circonferenza del pianeta,…che Aristarco di Samo, nel 3°sec. a.C. ipotizzò l’eliocentrismo e che la tavoletta VA 243 del periodo accadico, conservata al museo archeologico di Berlino, dissipa ogni dubbio circa la sfericità dei pianeti e dell’eliocentrismo.

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  • Leggete il libro “prima di noi” di Caranzano. Vi renderete conto da soli, prove alla mano, che viviamo con il prosciutto davanti gli occhi

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  • La spiegazione ufficiale della scienza è quindi che i monoliti sono stati estratti e posizionati dai romani e con le tecniche descritte da un archeologo /architetto francese. I romani mi pare che non fossero proprio avvezzi a costruire usando blocchi di tali dimensioni, usavano mattoni e calcestruzzo romano, erano pragmatici e razionali perché avrebbero dovuto intraprendere uno sforzo costruttivo simile? Ma ammettiamo pure che si siano messi in questa impresa, la frase erano perfettamente in grado di spostare blocchi simili è quantomeno azzardata: stiamo parlando di un blocco di 900 tonnellate (o forse più, ce ne sono anche altri nel sito mi pare e ben più pesanti) che metterebbe in crisi una delle più potenti gru attuali. Le argomentazioni dell’archeologo francese sono dal punto di vista tecnico totalmente sballate, nessuna ruota o attrezzo in legno posto sotto un tale peso potrebbe resistere verrebbe stritolato, l’intero monolite affonderebbe nel terreno, le funi utilizzate per sollevarlo di cosa erano fatte? D’acciaio? Nessun materiale dell’epoca poteva avere la resistenza allo sforzo necessaria a sollevare un tale peso. L’obiezione che si può fare è che i romani trasportarono obelischi dall’Egitto a Roma, ebbene il più pesante di questi l’obelisco lateranense pesa 329 tonnellate ed è lungo 32mt, una colonna praticamente, mentre i 3 blocchi che formano il basamento a Baalbek sono 19 metri e pesano 800/900 tonnellate, c’è una differenza di 5 volte di peso per metro lineare 50 tonnellate a 10, d’altronde basta pensare alle dimensioni di questi blocchi 4,5m X 3,5 x19 sono alti come un piano e mezzo di una casa e lunghi come un camion, no veramente non ci siamo, non basta dire hanno messo due ruote sotto e hanno tirato con delle funi, bisogna calcolare la resilienza dei materiali usati e lo sforzo a cui sono stati sottoposti, oltre alla conformazione e consistenza del terreno sottostante e questi calcoli non li può fare un archeologo o architetto che sia, non ne ha le competenze.

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