Dal mondo

Netflix, un tesoro inglese e la rabdomanzia

Attenzione: questo articolo parla della vicenda storica a cui è ispirato il film The dig – La nave sepolta. Potrebbe quindi contenere spoiler per chi fosse intenzionato a vederlo

Da venerdì 29 gennaio, su Netflix è disponibile il film The dig – La nave sepolta, che ricostruisce una curiosa vicenda inglese a metà strada fra archeologia, ricerca dilettantistica e buoni sentimenti: la scoperta di una nave funeraria del sesto secolo nel paesino di Sutton Hoo, vicino a Woodbridge (contea del Suffolk). Diretto da Simon Stone, con Carey Mulligan e Ralph Fiennes, il film non è completamente aderente alla vicenda storica: la trama è infatti per lo più basata su un romanzo del 2007 scritto da John Preston, ed è stata criticata da alcuni archeologi per la rappresentazione distorta di alcuni personaggi (primo fra tutti quello della storica Peggy Piggott, alias Margaret Guido, dipinta come inesperta e più interessata alle vicende romantiche che ai reperti di Sutton Hoo); altri protagonisti, come Rory Lomax, sono invece totalmente inventati. Non trattandosi di un documentario ma di fiction, comunque, la licenza artistica “ci sta”, e il film è piacevole e interessante da vedere. 

La pellicola ha finito per rilanciare l’interesse del pubblico nei confronti della storia dietro alla clamorosa scoperta, e anche dei suoi presunti legami col paranormale (che nel film, comunque, non vengono menzionati, al di là di una premonizione della protagonista sul tumulo della scoperta). Proviamo quindi ad approfondire questo aspetto.

La tragedia di una donna e il paranormale

La scoperta del tesoro di Sutton Hoo è uno dei maggiori ritrovamenti di epoca anglosassone avvenuto in tutta l’Inghilterra, fonte di informazioni preziosissima per gli archeologi e gli studiosi di quel periodo. Ma sarebbe appunto solo il racconto di un’eccezionale ritrovamento, se nella vicenda non fossero coinvolti fantasmi e presunti poteri paranormali. Ancor prima del film The dig, infatti, questa storia veniva infatti spesso citata come prova lampante dell’efficacia della rabdomanzia, soprattutto se applicata alla ricerca di manufatti antichi. Ma come andarono davvero le cose? 

Tutto iniziò nel 1926, quando la signora Edith May Pretty, ricca proprietaria terriera, acquistò la tenuta di Sutton Hoo. Poco dopo averla comprata, vi si trasferì insieme al marito. Nel 1934 Edith rimase vedova: una tragedia che la spinse a interessarsi di paranormale e spiritismo, con conseguenze inattese. 

Nella tenuta di Sutton Hoo erano infatti presenti, all’epoca, una ventina di tumuli di diversa grandezza, ritenuti dai più semplici montagnole di terra. In paese, tuttavia, girava voce che ci fosse dell’oro all’interno, tanto che cercatori clandestini di tesori archeologici avevano già fatto degli scavi abusivi, a diversi anni di distanza. Il nipote della donna, appassionato di rabdomanzia, consigliò quindi a Edith di scavare sotto quello che sarebbe poi diventato il “tumulo 1”, uno dei più grandi della tenuta. 

Forte del responso delle bacchette, la donna decise di assumere un archeologo dilettante ma di buona fama: dall’Ipswich Museum le avevano infatti consigliato Basil Brown, ex-proprietario terriero ed astrofilo che tuttavia si occupava a tempo pieno di scavi per quel museo. 

Edith suggerì all’uomo di scavare il tumulo 1, ma diversi indizi portavano a credere che il luogo fosse già stato manomesso. Si decise dunque di concentrarsi sui tumuli 2, 3 e 4. Gli ultimi due, più piccoli, restituirono tracce di incinerazioni: i corredi funerari, però, risultarono già depredati. Il tumulo 2, più ampio, fu interpretato come una camera sepolcrale coperta da una nave (vennero infatti trovati diversi rivetti in ferro), ma anch’essa si rivelò esser stata già visitata dai tombaroli. È molto probabile, tra l’altro, che sia stata questa la fonte da cui provenivano diversi reperti di quel periodo finiti sul mercato del collezionismo verso fine Ottocento – e, verosimilmente, anche delle tante voci sui tesori di Sutton Hoo.  

Nel 1939 Edith tornò sull’idea originale di scavare il tumulo 1, e Basil Brown acconsentì. Come nel tumulo 2, anche qui furono trovati i rivetti di una nave funeraria, che risultò enorme: circa 27 metri di lunghezza 4,4 di larghezza. Ma soprattutto, in questo caso i tombaroli non erano riusciti a raggiungere la camera sepolcrale, che si rivelò intatta. 

A questo punto fu chiesta l’assistenza del British Museum, dello Science Museum di Londra e del Ministero dei lavori pubblici, che condussero il primo scavo fino a quando, nel settembre del 1939 non scoppiò la Seconda Guerra Mondiale.

Nella camera sepolcrale non furono rinvenuti corpi, probabilmente a causa dell’acidità del terreno, che aveva distrutto anche la parte lignea della nave. In compenso furono scoperti reperti di grande valore storico e artistico, tra cui un elmo, uno scudo e una spada finemente lavorati, coppe d’argento, cucchiai, fibbie d’oro e monete… Doveva trattarsi della sepoltura di un uomo di alto rango, forse di un re. 

Ricostruzione dell’elmo rinvenuto durante gli scavi

Una donna generosa e lungimirante

Nell’autunno del 1939 ci fu una causa legale per stabilire a chi appartenesse il tesoro, e la corte ne assegnò l’esclusiva proprietà a Edith Pretty. Nonostante il parere contrario dei suoi familiari, Edith seguì il consiglio del suo consulente spirituale, e decise di donare l’intero tesoro al British Museum: un gesto che avrebbe certo fatto felici gli spiriti di Sutton Hoo (fantasmi che – avrebbe raccontato in seguito – aveva già visto in sogno ancor prima degli scavi, al di sopra dei tumuli della tenuta).

A ben guardare, quindi, di paranormale rimane pochino: il rabdomante indicò in effetti la presenza di un tesoro, ma l’idea che là sotto ci fosse qualcosa era già diffusissima, così come lo era l’ipotesi che quei tumuli fossero i resti di un antico cimitero. Almeno, così la pensavano i tombaroli che avevano già saccheggiato parte del tesoro. Anche il fatto che le “bacchette” portassero verso il tumulo 1 non stupisce poi troppo, visto che in fondo era quello il  più grande e più in vista dell’intero sito. 

Per contro, è interessante notare una cosa: la credenza nello spiritismo di Edith con ogni probabilità influenzò la sua decisione di donare allo Stato i reperti trovati,  un gesto generoso che ne ha permesso lo studio scientifico e la fruizione completa da parte del pubblico. Più che di fantasmi e di bacchette, questa storia ci parla del ruolo che le convinzioni pseudoscientifiche possono giocare nelle azioni umane. Se non altro, al contrario di quanto avviene troppo spesso, nella vicenda di Sutton Hoo giocarono un ruolo positivo.

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

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