La famosa invasione dei piccioni in Monferrato
Giandujotto scettico n° 82 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (11/02/2021)
Piemontesi, avete in questo momento dei piccioni sulla ringhiera di casa, sul tetto o in cortile? Sono troppi? Sporcano? Vi danno fastidio? Beh, vi capiamo… Ma sapete di chi è la colpa? Di quelli di città. Anzi, dei lombardi. Meglio ancora: delle amministrazioni milanesi!
È questa la sintesi di una delle più persistenti e curiose leggende contemporanee sugli animali, diffusa un po’ in tutta Italia, ma che in Piemonte ha avuto per un lungo periodo il suo epicentro. È la famosa invasione dei piccioni in Monferrato, che ricostruiremo per voi sin dai suoi esordi.
Le origini della storia
Alessandria, Asti e Cuneo: è questo il triangolo (grigio? cenerino?) in cui la saga dei piccioni venuti da altrove ha inizio.
La storia più antica che abbiamo ci arriva da un paesino dell’astigiano e, per ironia della sorte, comparve il 1° aprile 1982 nelle pagine di cronaca provinciale de La Stampa. Ma non era uno scherzo: per la gente del posto, anzi, era un affare dannatamente serio.
A Piovà Massaia, in effetti, gli agricoltori erano assediati dai piccioni, che devastavano i campi appena seminati. Sulle torri campanarie si moltiplicavano a ritmo frenetico. Troppi per essere un fenomeno naturale, si diceva… Così, ecco la spiegazione alternativa: venivano liberati di proposito. C’era anche un testimone oculare: un agricoltore aveva visto arrivare un’auto, scendere due persone, aprire il bagagliaio, estrarre cinque gabbie e liberare così centinaia di colombi. Però non era stato possibile “rilevare la targa dell’automobile”: un particolare che diventerà quasi un “marchio di fabbrica” di questa leggenda.
All’ufficio vigilanza caccia di Asti non smentivano, anzi, sembravano prestar credito alla voce, che circolava pure in altri paesi. Addirittura, la rafforzavano: il responsabile diceva che in alcune occasioni sembrava che per il rilascio fosse impiegato… un elicottero! Un altro agricoltore sosteneva che responsabile doveva essere “qualche società protettrice di animali” che voleva sottrarli alle eliminazioni di massa in atto nelle città.
Abbiamo dunque tre elementi di grande interesse: il tema di fondo è rappresentato dalle liberazioni clandestine operate con veicoli appartenenti a ignoti (i camion non identificabili per costante incapacità di leggerne le targhe… Quasi degli UFO!). Ci sono poi altri due motivi che, presenti negli anni ‘80, in seguito si perderanno: il primo è l’uso dell’elicottero, che troveremo ancora sporadicamente e che indica una commistione con la leggenda dei lanci di vipere dal cielo, in cui invece è la norma; il secondo, la responsabilità per i lanci di piccioni è attribuita a non meglio specificati “difensori degli animali”: anche questo, un elemento centrale delle storie sulle “vipere volanti”.
Può darsi che Piovà Massaia non sia Londra o Parigi, ma per noi è un luogo preziosissimo: il punto di partenza di una storia che, originata forse come variante di un’altra leggenda, assumerà poi caratteri tutti suoi.
1987-1991: la leggenda si diffonde
Anche negli anni successivi, ad esempio nel 1987, l’Astigiano continuò ad essere al centro di voci sui piccioni importati da altre città. Quali? In alcuni casi, si parlava esplicitamente di camion targati Venezia, Genova e Milano, come a Castello d’Annone e a Cunico d’Asti.
Quello stesso anno, a fine estate, la leggenda fece la sua comparsa nella zona in cui era destinata ad esplodere: l’Alessandrino. E, arrivando qui, si fece più tetra. Un incredibile articolo comparso su La Stampa del 26 settembre 1987 denunciava la situazione: per mesi erano affluiti nella zona fra Novi Ligure e Tortona camion provenienti dal Veneto, e sollevando i loro teloni avevano liberato miriadi di piccioni. Interessanti le motivazioni addotte dall’articolo, quelle che i politici locali sapevano, ma su cui tacevano: le azioni erano condotte da smaltitori di rifiuti legati a clan criminali calabresi, in grado di ottenere appalti ovunque; ora si erano lanciati nel nuovo business, la liberazione delle città del nord-est dai pennuti, malati perché alimentati male dai turisti!
Ma non era finita qui: siccome gli abbattimenti periodici non erano più possibili a causa delle pressioni degli ambientalisti sugli amministratori, ecco che, secondo loro, i comuni veneti, di nascosto, si scambiavano “i piccioni in eccesso”, facendoli poi liberare a ondate in altre località, spostandoli di regione e facendoli finire soprattutto in Piemonte…
L’accusa più o meno esplicita a veneti e lombardi aveva un che di paradossale. Il 30 luglio 1988, il Corriere della Sera spiegherà infatti che la voce era diffusissima anche nel Pavese (e lo sarà a lungo, come testimonia ancora La Provincia Pavese del 16 giugno 2002). Però i camion, questa stavolta, secondo alcuni… arrivavano dal Piemonte!
Al di là di questi dettagli gustosi sul campanilismo anti-piccionico, a partire dagli inizi del 1988 il coinvolgimento degli amministratori pubblici andò crescendo. Il 25 gennaio, su Stampa Sera, l’assessore comunale all’ecologia di Alessandria Ezio Guerci giunse a parlare della necessità che i rilasci fossero combattuti grazie a “un collegamento fra amministrazioni”, perché riteneva probabile “che la cattura e l’esportazione dei piccioni” avvenisse “sotto l’egida di una pubblica amministrazione”.
L’escalation era evidente. A inizio estate la voce dilagò anche nel Cuneese. Il 29 giugno 1988 Stampa Sera si dilungava sui danni prodotti dai volatili (che poi erano la vera questione) e sulle “vere” cause del problema: le ditte specializzate del nord. Il direttore della Coldiretti di Cuneo dava assoluto credito alle voci sulle importazioni: diversi associati avevano visto di persona i camion scaricare gli uccelli, sia nella zona del capoluogo, sia in quella di Bra. Ma c’era una notizia ancora più clamorosa: due deputati democristiani eletti in provincia, Giovanna Tealdi ed Ettore Paganelli, avevano presentato un’interrogazione al ministro dell’Agricoltura e a quello della Sanità, preoccupati per le storie circolanti ormai da tempo. I nervi erano a fior di pelle.
La Stampa del 9 novembre 1988 spiegava che un parroco di campagna, il curato di Castagnole Lanze (Asti) aveva minacciato di prendere a cannonate i piccioni troppo protetti dagli ecologisti. Deturpavano in maniera terribile la chiesa e il paese, erano scaricati dai camion ed erano – questa la chiave, ancora una volta – “un sistema per esportare nei paesi i problemi delle metropoli”. La guerra auspicata dal prete, però, sembrava volgere al peggio: il 15 dicembre dello stesso anno, da Ovada, ancora La Stampa lamentava interventi insufficienti sia dall’ufficio d’igiene sia da parte del sindaco. Nonostante una petizione rivolta dai commercianti del centro, i pennuti continuavano a fare danni… Piccioni 1, umani 0.
Poi, agli inizi del 1989, il sindaco di un paesino a sud di Casale Monferrato, Occimiano, emise un’ordinanza che ci tocca in modo diretto. Visti i danni e la sporcizia di ogni genere, soprattutto sugli edifici storici, aveva imposto ai proprietari delle abitazioni di chiudere con reti gli accessi ai sottotetti, in modo da frenare l’insediamento dei volatili. Ma non basta: siccome in paese circolavano insistenti le voci sui piccioni liberati da furgoni con targhe di altre province, Pier Felice Scagliotti aveva vietato severamente questa pratica (La Stampa, cronaca di Alessandria, 26 gennaio 1989). In questo modo, Scagliotti diventava il primo amministratore locale a cercare di combattere la leggenda, considerata realtà, a suon di veri e propri atti pubblici.
L’eco giunse anche in provincia di Asti, dove l’8 febbraio, su Stampa Sera, fu annunciato un altro intervento energico: il presidente dell’Unione Agricoltori aveva intenzione di “bloccare” fisicamente i tir che da città del nord arrivavano per scaricare gli uccelli in eccesso. Insomma, si arrivò quasi all’istituzione di ronde.
A giugno la situazione diventò talmente tesa che dieci comuni chiesero al servizio Caccia e pesca della provincia di Alessandria l’invio di guardie armate per l’abbattimento sistematico dei volatili. La situazione aveva ormai assunto caratteri surreali. Nell’edizione del 9 giugno, La Stampa riportò le dichiarazioni del sindaco di Alice Bel Colle, Giuseppe Roffredo: per lui era inaccettabile che da città lontane si venisse con interi camion a provocare danni al territorio monferrino.
Ma non c’erano solo i camion a fare da vettori dei terribili torraioli. Per la seconda volta dopo la vicenda di Piovà Massaia (1982), alla versione dei camion si unì quella degli elicotteri. A fine estate, quaranta sindaci protestarono presso il Servizio provinciale caccia e pesca per l’invasione inarrestabile… Un’invasione operata “quasi di certo” grazie ai camion (La Stampa, ediz. Alessandria, 31 agosto 1989). Nel febbraio del 1990 fu la volta di Tortona, che vietò anch’essa con un’ordinanza “lo scarico nottetempo dei piccioni con camion”.
Poi, agli inizi del 1991, toccò al sindaco di Fubine seguire i colleghi di Occimiano e Tortona: quella zona doveva essere diventata, in quel periodo, il vero centro della circolazione della storia (La Stampa, 8 gennaio 1991). L’intervista al primo cittadino Francesco Orecchia è particolarmente indicativa. Come combattere i pennuti, si chiedeva? Perché erano arrivati lì in così gran numero? Certo, c’era la neve e probabilmente cercavano cibo nel centro abitato, ma forse erano importati con camion da Milano o altre grandi città. Pur mancando prove, molti funzionari della provincia di Alessandria ci credevano.
Secondo alcuni, poteva esserci dietro anche la volontà truffaldina di alcuni imprenditori locali: la voce popolare indicava, in particolare, due ditte della zona, specializzate nella disinfestazione dei volatili. Un business inesauribile, il loro: avrebbero liberato essi stessi gli animali, per poi presentarsi a comuni e privati con la soluzione. Inutile dire che, di queste malignità, nessuna prova veniva presentata.
A fine anno intervenne un altro parroco, ma meno bellicoso di quello di Castagnole Lanze: il prete di Fubine fece installare sul campanile della chiesa emettitori a basse frequenze che avrebbero dovuto scoraggiare i piccioni. Anche per lui, comunque, i volatili erano arrivati con camion da altre città in cui evidentemente erano troppi – ad esempio, da Firenze e Venezia (La Stampa, cronaca di Alessandria, 6 dicembre 1991).
Le grandi psicosi dei piccioni del 1992
La grande guerra però scoppiò l’anno seguente, il 1992, e questa volta coinvolse gli amministratori di centri più grandi della provincia di Alessandria. A dar fuoco alle polveri, come scrisse La Stampa l’8 gennaio, fu il sindaco di Novi Ligure, Mario Angeli, sostenuto dal parroco di Vignale Monferrato. Angeli dichiarò pubblicamente di esser certo che i camion arrivavano da grossi centri della Lombardia, e che riempivano di piccioni la provincia ormai da anni: c’erano “decine” di agricoltori fidati pronti a sostenere davanti alle autorità di averli visti con i loro occhi. Uno di loro gli aveva descritto in dettaglio un tir targato Milano, che aveva liberato gli animali sul raccordo fra Boscomarengo e l’autostrada Genova-Milano.
La controffensiva lombarda non si fece attendere: apprese le accuse, l’assessore all’ecologia del comune di Milano intervenne duramente contro gli amministratori alessandrini, smentendo tutto, pur confermando che un esperimento di trasferimento in Piemonte c’era stato davvero, nel 1981. Ma era stato fatto alla luce del sole ed era stato subito bloccato dalle proteste. Domenica 2 febbraio, con una diretta da Vignale Monferrato, la levata di scudi contro i camion porta-piccioni giunse in tv, su Raidue, all’interno del programma Mattina Due, condotto da Alberto Castagna.
A quanto ne sappiamo, non fu portata nessuna prova dell’esistenza dei camion, ma per la prima volta, in quel momento, la questione divenne nazionale. Intanto l’amministrazione comunale di Novi Ligure, stando alle fonti (Il Piccolo, 4 luglio 1992) continuava ad essere fra le più convinte ed attive: l’assessore all’ecologia, come aveva fatto il sindaco sei mesi prima, si diceva certo della presenza dei “camion provenienti da zone non identificate”.
Nell’autunno 1992, in Monferrato, si raggiunse il culmine: l’Ufficio Caccia della provincia di Alessandria ricevette segnalazioni circa un piccolo aereo che sganciava piccioni fra i paesi di Ottiglio e di Olivola. Il guaio era che… nessuno aveva preso il numero di matricola del velivolo. Nelle parole del funzionario, che raccontò la vicenda a La Stampa (25 ottobre), si scorgeva un po’ di perplessità: la turbolenza prodotta dall’elica e dalle ali avrebbe avuto conseguenze disastrose per i volatili – senza pensare, aggiungiamo noi, al pericolo altissimo che qualcuno degli uccelli finisse fra le pale o nel motore.
Altra cosa interessante: gli ambientalisti, che in questa categoria di leggende metropolitane (vedi “vipere volanti”) sono indicati spessissimo come responsabili, nel 1993 divennero parte della giuria d’accusa. Ai primi dell’anno, infatti, la sezione di Casale Monferrato del WWF denunciò che nella zona era stato visto un camion coperto rilasciare i piccioni. La segnalazione era partita da un loro iscritto di Vignale, ma non è chiaro se fosse stato lui stesso testimone della liberazione o se ne aveva solo sentito parlare. La conclusione rassegnata, però, era sempre la stessa: non era stato possibile prenderne la targa.
1994: la psicosi continua
Dopo quella del ‘92, la seconda guerra piccionica piemontese ebbe luogo nel 1994.
Le prime avvisaglie giunsero dalla zona di Nizza Monferrato in febbraio, con i consueti camion con targa lombarda, ma riesplose un mese dopo a Castello d’Annone, lungo il corso astigiani del Tanaro: la Usl locale, per risolvere il problema alla radice, stava pensando di sterilizzare gli uccelli. L’11 marzo, un consigliere comunale di Alba sollecitò alle autorità maggiori controlli: lui stesso aveva visto un camion in azione alla periferia della cittadina! In primavera, il clamore diventò altissimo: parecchi sindaci, come ad esempio quelli di Castelletto d’Orba e di Capriata d’Orba, il 5 maggio emisero un’ordinanza-fotocopia in cui si vietava la liberazione con camion dei piccioni.
Le voci diventarono una tempesta, e il 22 giugno gli agricoltori della provincia chiesero l’intervento del prefetto, mentre il capo delle guardie ecologiche provinciali affermava che, a quanto sembrava, alcuni autisti di camion togliessero le targhe ai veicoli, per non farsi identificare e agire in clandestinità.
Sei giorni dopo, il coordinatore del Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee, Paolo Toselli (che peraltro è alessandrino), provò a spiegare che le storie sulle immissioni di piccioni, come quelle dei lupi e delle vipere, non avevano fondamento. Lo fece dal salotto del “Maurizio Costanzo Show”, su Canale 5, allora uno dei programmi tv più popolari d’Italia; ma, come prevedibile, la circolazione dei racconti proseguì senza ostacoli. A settembre, infatti, nuova invasione dei volatili a Ovada, e nuova denuncia senza ombra di dubbi da parte del sindaco: li portano con camion da fuori.
Declino della leggenda?
Dopo il biennio cinerino 1992 e 1994, si direbbe che la storia dei rilasci di piccioni sia diventata endemica, consueta, non più in grado di suscitare la stessa attenzione da parte dei giornali. Ancora nell’estate del 1995 a San Salvatore Monferrato (Alessandria) si indicava per i rilasci un luogo preciso: quello in cui l’autostrada A26 interseca il territorio comunale (nel contempo, sia chiaro: i danni provocati dalla massiccia presenza di piccioni, specie all’agricoltura, in alcune zone della provincia erano davvero rilevanti, anche senza i fantomatici tir).
Una fra le ultime presenze importanti della nostra leggenda risale al 1997, ma l’occasione fu comunque degna di nota.
In aprile, a Castelceriolo, un gruppo di agricoltori denunciò alla Coldiretti di essersi trovato faccia a faccia con un camionista che stava scaricando un migliaio di piccioni dal suo veicolo: ne sarebbe nato un diverbio, e alla fine la Coldiretti avrebbe presentato un esposto contro l’ignoto camionista, chiedendo l’intervento del Prefetto (del numero di targa, di nuovo, nessuna traccia: il telone avrebbe recato la curiosa scritta “Associazione di piccioni viaggiatori”…). La storia che, per quanto ne sappiamo, anche stavolta non ebbe il minimo seguito, comparve il 7 maggio su una pagina pubblicitaria della stessa Coldiretti, nell’edizione alessandrina de La Stampa.
Il 7 agosto, ancora una volta da Alessandria, alla redazione cittadina del quotidiano giungeva una lettera di protesta da un gruppo di abitanti del quartiere Orti: troppi piccioni, troppi danni… qualcuno doveva pur fermare i camion che li scaricavano sull’autostrada! A settembre, alla notizia che in città sarebbero stati installati dissuasori anti-piccioni, il sindaco di Alba ripeteva che “sembrava” fosse colpa dei camion non identificati. Pochi giorni dopo, ecco da San Germano di Casale Monferrato un altro prete battagliero: le testimonianze sui camion (grossi e targati anche Torino!), che di notte scaricavano in pochi minuti centinaia di piccioni per poi sparire in fretta, gli arrivavano numerose.
Dove andassero poi a nascondersi, tutti questi camion, non era dato saperlo.
Da quel momento, almeno stando a ciò di cui disponiamo, i racconti sui camion lancia-piccioni sono andati via via rarefacendosi. Ciò non vuol dire che siano scomparsi: sono, probabilmente, solo meno presenti nei media tradizionali.
Ancora nell’ottobre 2005, sedici anni dopo le proteste del sindaco del tempo contro i camion fantasma, il nuovo capo dell’amministrazione di Occimiano ripeteva le stesse voci di allora. Una delle ultime cose interessanti è del settembre 2006, quando un testimone oculare disse di aver visto un’altra liberazione di piccioni da parte di un camion. Si tratta dell’unico racconto di cui disponiamo per il Piemonte settentrionale, più esattamente da Santhià (La Sesia, 19 settembre 2006).
L’ultima fiammata è del 2015. Il 12 ottobre, durante una seduta del Consiglio comunale di Savigliano (Cuneo), un consigliere presentò un’interrogazione sulle voci in circolazione, che menzionavano di nuovo le liberazioni con camion provenienti da Venezia o Firenze, dove gli animali non potevano essere uccisi. L’assessore Massimiliano Gosio rispose in maniera esemplare:
Esistono leggende metropolitane di vario genere, ad esempio che in montagna vi siano elicotteri che liberano vipere sganciandole dall’alto oppure un’altra che afferma che vi sono vipere che girano nella città e ciò ha causato una ricaduta negativa sull’ecosistema locale perché vi sono persone che, scambiandoli per vipere, uccidono i biacchi e le bisce che sono innocue e sono segno di un ambiente pulito e sono oltretutto protetti da normative nazionali e internazionali. Oppure ancora pipistrelli che si incastrano nei capelli o civette che portano sfortuna.
Occorre fare chiarezza: le notizie riportate su Facebook ed in Internet sono le più varie ed esistono siti che consentono di ridurre ai minimi termini le dicerie. Non esiste alcun genere di prova relativa all’osservazione fatta dal Consigliere Occelli, anche perché sarebbe difficile stabilire se un piccione proviene da Venezia, anziché da Firenze, oppure da Milano non essendo provvisto di targa ed anche se lo fosse, cioè se i piccioni fossero censiti nelle città di provenienza, dubito che verrebbero deportati lasciando loro la targhetta di riconoscimento. Smentisco quindi completamente ciò che ritengo una diceria priva di ogni fondamento.
Effettivamente però vi sono stormi di notevole consistenza numerica sul territorio della città e purtroppo l’effetto di ciò è davanti agli occhi di tutti. (Processo verbale della seduta del Consiglio comunale della Città di Savigliano del 12 ottobre 2015; La Stampa, edizione di Cuneo, 14 ottobre 2015; Corriere di Savigliano, 15 ottobre 2015)
In tutti questi anni, ci sarebbe piaciuto sentire altre volte una voce pubblica così chiara.
Un retroterra per la nostra leggenda?
Come in altre occasioni, per capire bene la dinamica delle voci, bisogna abbandonare il pensiero che esse siano sempre false e completamente false. Possono benissimo svilupparsi e prendere velocità e forza narrativa sulla base di qualcosa di vero. Qualcosa che, nel nostro caso, è rappresentato da alcune pratiche per la gestione del problema della sovrappopolazione da colombi che, decenni fa, erano ancora ritenute accettabili ed efficaci.
È verosimile che la leggenda dei piccioni deportati sia nata nei primi anni ‘80 del Novecento, in particolare nel Piemonte centro-orientale e nella Lombardia occidentale: un tentativo, forse, di trovare un capro espiatorio per la sovrappopolazione dei questi animali, e per gli ingenti danni inferti alle coltivazioni e alle abitazioni.
Questa convinzione sorse in tempi in cui si sapeva di pratiche già superate, ma che erano state davvero utilizzate nei maggiori centri urbani: le eliminazioni fisiche dei piccioni attraverso uccisioni di massa, oppure tramite catture con successiva rivendita autorizzata a fini di tiro al volatile in poligoni e aree destinate allo scopo. Disponiamo di notizie al riguardo in particolare per le città di Milano e di Firenze, ma non dubitiamo che queste attività si svolgessero in parecchi altri centri, soprattutto nel nord Italia.
Il Corriere d’Informazione del 4 febbraio 1956, ad esempio, spiegava che era lo stesso ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) a gestire, sotto l’egida del Comune, trasferimenti di piccioni da Milano alle campagne lombarde, dentro grandi ceste. Anche a Firenze, molti anni dopo (Corriere d’Informazione, 6 aprile 1971), una ditta di Torino fu incaricata di fare lo stesso. Tutto, però, avveniva alla luce del sole, con incarichi pubblici. Questa attività, inutile oltre che costosa, si spense progressivamente. Quando nacque la nostra storia era sicuramente già stata abbandonata, ma potrebbe essere servita come “supporto” per lo sviluppo della leggenda.
Forse l’innesco più prossimo, tuttavia, si dovette alle ampie polemiche che ebbero alcune notizie provenienti, ancora una volta, da Milano e che risalgono al febbraio 1981, quindi ormai a ridosso della prima apparizione della storia dei camion-lancia piccioni (marzo 1982).
In quel periodo fu effettuato probabilmente l’ultimo, grosso spostamento di piccioni dal centro della maggior città lombarda ad altre aree (Corriere della Sera, 16 novembre 1980). Il guaio è che l’operazione incorse in una serie di incidenti. Il comune aveva incaricato con regolare delibera una ditta piemontese, di Chieri (un’altra che svolgeva incarichi simili aveva sede ad Andezeno), di catturare gratis i piccioni e di trasportarli in alcuni centri di allevamento, dove sarebbero stati utilizzati per la produzione di cibo per animali (o selezionati da grossisti a fini alimentari).
L’ENPA però sospettava che almeno una parte dei piccioni fosse utilizzata per gare di tiro al volo clandestine ad opera di cacciatori irrispettosi della normativa al riguardo. La delibera del comune di Milano, firmata dal sindaco del tempo Carlo Tognoli, prevedeva un appalto per una cattura con reti sino a 150.000 esemplari. Ma – precisava uno dei titolari della ditta di Chieri – erano numeri esagerati: in diversi mesi erano riusciti a prenderne solo 12.000. Quelli malati (buona parte) erano stati inceneriti in un forno presso la ditta, su indicazione di un veterinario. Si trova ampia traccia di queste discussioni sul Corriere della Sera e su La Stampa nelle edizioni fra il 23 e il 28 febbraio 1981.
Sebbene discutibili e oggi del tutto superate sia dal punto di vista tecnico sia del rapporto fra noi e le altre specie, queste attività svolte fra Milano e il Torinese probabilmente diedero origine a discussioni di ogni sorta fra gli interessati: agricoltori, piccoli allevatori, cacciatori, amministratori locali – categorie sociali sovente sovrapponibili l’una con l’altra.
La nostra leggenda, però, poggia anche su un altro conflitto, quello tra città e provincia. Le campagne piemontesi – si narra – sono percorse di notte da camion che, senza alcun fine evidente, liberano da anni e anni, in milioni di esemplari, i piccioni. Mai catturati, mai identificati, i camion vanno girovagando tra Langhe e Monferrato, scaricano i volatili e poi si dileguano. Lo fanno, evidentemente, sulla base di incarichi segreti, da parte di organismi non meglio identificati, con spese enormi provenienti, magari, dai fondi neri dei comuni. La loro missione è quella di aumentare il decoro della città a scapito della salute della campagna, senza curarsi degli eventuali danni che i nuovi inquilini provocheranno nelle zone di esportazione…
Oggi, almeno in apparenza, il racconto sembra aver perso forza. Non a sufficienza, però, da non riuscire a transitare nella produzione letteraria. L’estate nera (Newton Compton, 2013), giallo di un giornalista e scrittore di fantascienza di lunga esperienza come Remo Guerrini, ambienta la leggenda ad Altavilla, paesino del Monferrato, e colloca la vicenda nel 1992, quindi proprio al culmine della psicosi piccionifera. In questo modo, i nostri amati pennuti deportati sembrano essere ormai usciti dalle pagine della cronaca, per entrare nel regno dell’immaginario.
Noi però siamo prudenti, e, anche nella nostra regione, abbiamo visto riemergere miti, credenze, leggende metropolitane di ogni genere, proprio quando tutti ma proprio tutti (noi compresi, sovente) le pensavamo scomparse per sempre. Può darsi dunque, che, in un prossimo futuro, i tir lancia-piccioni tornino a infestare le brumose notti delle piane e delle colline piemontesi. Noi saremo lì, appostati, ad attenderli.
Foto di Frantisek Duris da Pexels