Garibaldi e i fantasmi del castello
articolo di Giuseppe Spanu
Garibaldi è famosissimo come Eroe dei due Mondi, come generale, come capitano di vascello, come difensore della Repubblica Romana, come comandante dei Mille ecc., ma è quasi sconosciuta la sua attività di scrittore. Ritiratosi a Caprera dopo la sfortunata battaglia di Mentana, si dedicherà, oltre che all’agricoltura, alla scrittura di romanzi e poesie, senza grandi pretese letterarie ma con lo scopo di ricordare ai giovani la storia dell’unificazione italiana e i suoi eroi. In uno dei suoi romanzi più celebri, I Mille (1874), fortemente intriso di anticlericalismo, racconta una divertente avventura accaduta al suo aiutante, il colonnello Giovanni Chiassi (1827-1866), futuro eroe e caduto della battaglia di Bezzecca, combattuta durante la Terza Guerra di Indipendenza.
Costui, nel 1860, durante la campagna per la conquista del Regno delle Due Sicilie, giunto quasi ai confini dello Stato Pontificio, nel comune di Tora (Caserta) con l’ordine di occuparlo, cercò un edificio dove alloggiare.
I preti, disperati di veder occupato il loro paese dagli eretici [i garibaldini], inventarono la storia, che nel palazzo, di notte, vi si sentiva, cioè si udivano dei rumori soprannaturali, e si raccontava di più, che un sacrestano ch’ebbe l’ardire di volervi passare una notte, disparve, e non se ne seppero più notizie, probabilmente portato via dagli spiriti degli antichi signori del castello, che non tolleravano stranieri (1).
Per niente impressionato da queste dicerie, il colonnello Chiassi decise di passare la notte nel castello e fece alloggiare i suoi ufficiali nell’osteria del paese. Determinato a risolvere il mistero, si sistemò in una camera del maniero dove cenò e poi si sdraiò sul letto semisvestito, con un revolver e una sciabola a portata di mano.
Era circa la mezzanotte – ora che credo generalmente preferita dagli spiriti per eseguire le loro notturne peregrinazioni:-il colonnello russava, e credo in modo da essere inteso anche dagli spiriti che hanno l’udito fine. […] Il colonnello Chiassi, l’udito del quale era tanto fino quanto quello degli spiriti, udì in quell’ora un gran diavoleto di ululati, di rumori di catene – come quando i marinai a bordo delle navi si dispongono a dare fondo alle àncore – e tanti altri schiamazzi da assordare anche un campanaro (2).
Chiassi si alzò dal letto e rimase in allerta.
E realmente, dopo poco, comparì un fantasma spaventevole, d’un’altezza spropositata, gettando fuoco dagli occhi, dalla bocca e dalle narici, ed accompagnato da una folla d’altri spiriti, non così alti, ma anch’essi gettando fuoco da tutti gli orifizii (3).
Il colonnello non si spaventò affatto e, sguainata la spada, avanzò verso i fantasmi. Ma gli eterei spiriti, forse atterriti dalla sciabola, fecero dietrofront e si diedero a rapida fuga, tranne il più grande che Chiassi riuscì ad afferrare per il collo e che chiese poco spiritualmente di essere risparmiato dalla furia del militare, che si era accorto del travestimento del finto spettro e avvampava di rabbia.
Dopo gli avvenimenti mentovati, e riconosciuto essere il capo degli spiriti quel birichino di sacrestano, sparito secondo la storia dei preti, e che non fu appiccato perchè i liberi sono una classe di gente che non somiglia agli autocrati e alle loro spie, i satelliti sitibondi di sangue; dopo aver constatato anche essere gli spiriti minori altrettanti birbanti di cafoni che accompagnavano il sacrestano per la mercede di poche lire, dopo tutto ciò, dico, il colonnello Chiassi abitò il castello col suo stato maggiore, sino all’arrivo dei fratelli feriti, a cui tutti gli appartamenti furono ceduti (4).
Così il castello di Tora fu liberato dagli spettri fasulli che lo infestavano. E se pensate che una tale simulazione potrebbe sembrare anacronistica oggi, ricordatevi che nel 2005 , in provincia di Bolzano, una donna, nel Castello di Codrano, finse di essere un fantasma per spaventare la direttrice di un corso di formazione.
NOTE:
(1) Giuseppe Garibaldi. I Mille, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2007, p. 357
(2) ibid., p. 358
(3) ibid., pp. 358-9
(4) ibid., p. 361.