Esplorando il cervello quantico
Articolo di Marco Martorana
Navigando su Internet o girando per le librerie può capitare di imbattersi in libri dai titoli altisonanti che parlano di un presunto potere quantico della mente o del cervello: ma, esattamente, di che cosa si tratta? In sostanza, si tratta della convinzione per la quale il cervello e di conseguenza la mente umana possiederebbe particolari poteri sopiti, che la maggior parte delle persone non sarebbe consapevole di avere, e che deriverebbero dai principi della fisica quantistica. Tali poteri consentirebbero di influenzare il corso degli eventi, permettendo di raggiungere importanti obiettivi o grandi cambiamenti nella propria vita (ad esempio, il successo economico, lavorativo, una migliore qualità delle relazioni sentimentali, migliore salute ecc…), il tutto tramite il proprio pensiero.
Ma quindi cosa c’entra la meccanica quantistica?
Iniziamo con una definizione: la meccanica quantistica è l’insieme di teorie fisiche che studiano oggetti molto piccoli, come gli atomi e le particelle che li costituiscono, per tanto descrive il comportamento della materia su scala atomica. È bene specificare che il comportamento atomico è molto distante dalla nostra esperienza e questo lo rende di difficile comprensione tanto per i fisici esperti quanto per i neofiti. Queste teorie non ci danno una descrizione esatta di quello che succederà, ma solo un insieme di probabilità. Quale di queste si realizzi lo scopriamo solo osservando l’oggetto descritto dalla teoria. L’aspetto fortemente controintuitivo della meccanica quantistica è proprio il fatto che, prima dell’osservazione, un oggetto quantistico è effettivamente “sfumato”, contemporaneamente in tutte le possibilità che la teoria prevede. L’osservazione in qualche modo influenza l’oggetto osservato, costringendolo a sceglierne una.
L’idea che il nostro cervello abbia un potere quantico nasce proprio da una particolare interpretazione di questo aspetto della meccanica quantistica. In questa interpretazione l’osservatore sarebbe definito come un’entità dotata di coscienza, ed è proprio la coscienza di quest’ultimo a determinare l’esito dell’esperimento. La coscienza avrebbe un ruolo privilegiato, e sarebbe in grado di influenzare la realtà, facendo sì che si verifichi un fenomeno piuttosto che un altro. Questa interpretazione è nota con il nome di “Interpretazione Von-Neumann-Wigner”, e va precisato che oggi non è considerata valida dagli addetti ai lavori, in quanto fa assunzioni sulla coscienza che non sono sostenibili da dati scientifici. Nello specifico presume che questa sia qualcosa di differente da qualunque processo fisico e di separato dal mondo materiale ma comunque in grado di interagire attivamente con esso. Questa visione va in netto contrasto con le odierne scoperte neuroscientifiche che identificano la coscienza come un fenomeno emergente dai processi cerebrali [1].
Una cattiva interpretazione di un Nobel per la fisica
Il linguaggio ha il suo peso, e spesso nel linguaggio scientifico le parole non hanno lo stesso significato che in quello corrente. Il ruolo di “osservatore” in particolare non necessariamente si riferisce ad una persona, e neppure a qualcosa dotato di coscienza. Il premio Nobel per la fisica Richard P. Feynman nel volume Sei Pezzi Facili [2] , e in particolare nel capitolo “Comportamento Quantistico” descrive il ruolo dell’osservatore, e chiarisce che questo va inteso come il sistema utilizzato per la misurazione. Un oggetto macroscopico “media” tra di loro tutte le caratteristiche sfumate dei suoi componenti microscopici. Finché un oggetto quantistico resta isolato, si comporta in modo indeterminato, sfumato, ma quando interagisce con un qualsiasi oggetto macroscopico viene forzato a comportarsi come quest’ultimo.
Non è comunque possibile in nessun modo influenzare ciò che succede. Seguendo quanto dice Feynman, l’esisto di qualunque esperimento è sempre casuale, e non c’è alcun tipo di influenza da parte della coscienza. Il massimo che si può fare è solo una stima della probabilità di un risultato, ma conoscere la probabilità di un risultato non conferisce alcun tipo di controllo sull’evento. Ciò va in netto contrasto con la visione antropocentrica proposta dai sostenitori del cervello quantico, poiché risulta che l’osservatore è sprovvisto di qualsiasi potere decisionale sull’esito dell’esperimento.
Tuttavia questa particolare interpretazione della fisica quantistica viene utilizzata per promuovere un altro principio: la legge di attrazione. Tale legge viene introdotta attraverso una sorta di ragionamento sillogistico: se l’osservatore è dotato di coscienza e se tramite il proprio pensiero è in grado di influenzare e determinare gli esiti di un esperimento, allora si può assumere che attraverso il pensiero si possa riuscire a modificare e creare una realtà diversa in linea con esso. La legge di attrazione è un concetto che deriva dalla corrente filosofico-religiosa del diciannovesimo secolo il New Thought (Nuovo pensiero), la quale sostiene che pensieri positivi o negativi portano esperienze positive o negative nella vita di una persona. Ciò sarebbe dovuto dal fatto che i pensieri sarebbero composti da energia, e tale energia sarebbe in grado di attrarre altra energia presente nel mondo esterno portando conseguenze favorevoli o sfavorevoli; insomma tutto ciò che ci succede dipenderebbe dal nostro pensiero. In sostanza la meccanica quantistica viene utilizzata per giustificare scientificamente la legge di attrazione, e la legge di attrazione sarebbe il fantomatico potere quantico del cervello, che una volta imparato a padroneggiare dovrebbe permetterci di ottenere il pieno controllo sulla nostra vita.
Secondo questa teoria, inoltre, il nostro cervello sarebbe in grado di produrre delle “onde del pensiero” che si propagano nell’ambiente circostante. Dal nostro stato mentale dipenderebbero i tipi di onda che verrebbero prodotti o che si potrebbero ricevere: pensieri positivi generano onde positive che attraggono e ci rendono recettivi verso altre onde positive emanate da altre menti positive e viceversa.
Effettivamente nel mondo delle neuroscienze si parla di onde prodotte dal cervello, però sono note come “onde cerebrali” e non come “onde del pensiero”. Le onde cerebrali riflettono l’attività elettrica di scarica di gruppi di neuroni, sono raggruppate in base alla loro frequenza, sono principalmente utilizzate per valutare lo stato generale del cervello (ad esempio, i livelli di eccitazione o gli stadi del sonno), e in ambito clinico anche per monitorare l’attività neurale legata all’epilessia [3]. Questo è l’unico tipo di onda che è stato rilevato nel cervello e non c’è nessuna prova che dimostri che delle onde siano mai uscite da lì trasformandoci in dei ripetitori ambulanti.
Una cattiva interpretazione del pensiero positivo
E per quanto riguarda l’adozione di pensieri positivi? Come si è detto, l’idea alla base della legge di attrazione è che pensieri positivi attraggono eventi positivi. Il fatto che adottare dei pensieri o, più in generale, una visione del mondo positiva e ottimistica giovi al benessere delle persone non è un segreto, e anzi è un dato ben documentato nel mondo della psicologia. Per esempio psicologi come Martin Seligman e Albert Bandura,- i quali si sono occupati rispettivamente di ottimismo e autoefficacia [4]– attraverso i loro studi, hanno dimostrato che l’adottare degli stili di pensiero positivo e avere una buona considerazione di sé e delle proprie capacità possono essere un tocca sana per l’umore e, per certi versi, anche per la salute. Tuttavia i due psicologi non vogliono assolutamente far credere che possedere un’elevata autoefficacia o essere ottimisti, siano le chiavi per raggiungere il successo in qualsiasi ambito e annullino le percentuali di fallimento che sono insite in ogni attività umana.
Sfortunatamente il solo pensiero positivo non è una garanzia di successo, in particolare se questo viene impiegato sotto forma di fantasticheria rivolta alla sola visualizzazione del risultato sperato. L’inefficacia di questa modalità di pensiero è stata verificata in uno studio del 1999 di Pham e Taylor [5] nel quale chiesero a degli studenti di college che dovevano sostenere un esame alcuni giorni dopo, o di immaginare la gioia e i festeggiamenti per aver ottenuto un bel voto all’esame, o di immaginarsi a studiare per prendere un buon voto. In sostanza un gruppo doveva concentrarsi sull’obiettivo e l’altro sul processo per raggiungerlo. Ciò che si verificò fu che il gruppo che doveva concentrarsi sul raggiungimento dell’obiettivo ottenne voti più bassi sia del gruppo di controllo, che non doveva fare nessuna simulazione mentale per prepararsi all’esame, sia del gruppo che doveva concentrarsi sul processo, il quale fu il gruppo che prese i voti più alti rispetto agli altri due.
Inoltre anche la simulazione mentale di un fallimento può aiutarci a ottenere delle prestazioni migliori, a tal proposito si parla di pessimismo difensivo [6]: una particolare strategia cognitiva che consiste nel concentrarsi su tutte le cose che potrebbero andare storte in una situazione. Prestare attenzione a quegli elementi spinge le persone a prepararsi ancora meglio, aumentando le probabilità di avere dei buoni se non addirittura ottimi risultati.
Per cui se si vogliono utilizzare delle strategie di simulazione mentale per raggiungere i propri obiettivi è meglio non ricorrere alle illusioni o alla fantasia, ma sarebbe sicuramente più efficacie concentrarsi in modo chiaro e preciso su ciò di cui si ha bisogno per raggiungere il risultato desiderato e lavorare su quello.
La legge di attrazione promuove anche l’idea che si abbia il pieno controllo di ciò che ci succede e per tanto si può determinare in totale libertà la traiettoria della propria vita.
È sicuramente vero che le persone hanno delle capacità di autodeterminazione le quali consentono di dare una direzione alla propria vita e di apportare degli importanti cambianti su di essa, però questo non deve farci dimenticare che viviamo all’interno di sistemi sociali altamente complessi caratterizzati da una quantità incalcolabile di variabili che hanno un impatto e un’influenza sul nostro modo di pensare, di comportarci e sulla nostra vita e verso cui, talvolta, abbiamo poco se non addirittura nessun controllo.
Non siamo in grado di controllare ogni aspetto della nostra vita e soprattutto della realtà. Vendere e promuovere l’idea opposta può anche avere dei risvolti pericolosi, perché si potrebbe finire con creare sensi di colpa immotivati rivolti a situazioni o eventi verso cui non si ha alcun tipo di responsabilità. Questo tipo di mentalità è molto vicino a quelle che sono note come ideologie legittimanti, particolari visioni del mondo che portano a giustificare delle condizioni di disuguaglianza; un esempio può essere la credenza nel mondo giusto secondo la quale tutte le persone hanno ciò che si meritano.
Abbracciare questo tipo di ideologie può rendere poco sensibili e ciechi difronte a ingiustizie e condizioni di disuguaglianza sociale, perché promuovono una visione della realtà estremamente individualistica rendendo difficile notare dei malfunzionamenti sistemici e, ad esempio, possono spingere a far pensare che la posizione che una persona occupa sia sempre e solo dovuta al merito o al demerito personale e non anche a vantaggi o svantaggi ereditati, insomma il ruolo del contesto nel determinare i successi o gli insuccessi personali viene minimizzato se non completamente ignorato. Perciò una persona di successo è tale perché “ha una mentalità vincente”, chi non lo è è perché ha “una mentalità da perdente”. Leggere la realtà attraverso questa lente non consente assolutamente di averne una visione lucida e realistica e l’aspetto ironico è che “teorie” come quelle del cervello quantico si propongono come un modo di abbattere le illusioni che governano la nostra vita e invece finiscono solo con il crearne altre.
Le ideologie legittimanti offrono una versione altamente semplificata e coerente della realtà, e restituiscono del senso di controllo sulla propria vita. Il fatto che riescano a soddisfare questi bisogni: coerenza, cognizione e controllo è ciò che le rende altamente condivisibili.
In conclusione se si vogliono attuare dei cambiamenti nella propria vita o raggiungere grossi obiettivi, non basta visualizzarli nella propria mente. Purtroppo non c’è nessun potere quantico che genererà una cascata di eventi in linea con ciò che pensiamo.
Note:
[1] Enrico Gazzola. Il Mondo Quantistico. Errate interpretazioni, teorie improbabili e bufale quantiche (2017). Roma, C1V Edizioni.
[2] Richard P. Feynman, Sei Pezzi Facili (2000). Milano, Adelphi.
[3] Dale Purves, Roberto Cabeza, Scott A. Huettel, Kevin S. LaBar, Micheal L. Platt, Marty G. Woldorff, Neuroscienze Cognitive (2009). Bologna, Zanichelli.
[4] Autoefficacia: Il concetto di autoefficacia si riferisce alla convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in modo da raggiungere i risultati prefissati. Le convinzioni di efficacia influenzano il modo in cui le persone, pensano, si sentono, trovano delle fonti di motivazione personali e agiscono. (p. 15 Albert Bandura. Il senso di autoefficacia (1996). Trento, Erickson)
[5] Pham, L. B., Taylor, S. E. From Thought to Action: Effects of Process-Versus Outcome-Based Mental Simulations on Performance (1999). Personality and Social Psychology Bulletin, 25(2), 250–260.
[6] Julie K. Norem. Defensive Pessimism, Optimism and Pessimism. In: Edward Chengs (eds.) Optimism & Pessimism: Implication for theory, research and practice (2001). US, Washington DC, American Psychological Association.
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Nel cappello iniziale di presentazione della notizia in home page ci sono dei refusi. 🙂
Ottimo articolo. Ben argomentato e che esplora in modo piuttosto esteso le interpretazioni fuorvianti di alcune singolarità della meccanica quantistica fatte da incompetenti e mistificatori.
Non dimentichiamo i “radiofonici sensitivi” della CIA comvinti di poter scoprire l’incredibile con questo
Molto interessante davvero. Troppo spesso il cervello viene frainteso, e considerato come una macchina fantascientifica che, se allenata correttamente, ci permetterebbe di raggiungere obiettivi sovraumani. Mi sconvolge ancora che il mito del 10% del cervello sia considerato credibile da molte, troppe persone, nonostante la puntuale critica di Beyerstein del 1999.
Ho trovato questo utile articolo nel ricercare critiche alle rassicuranti e superficiali teorie sul cervello quantico, teorie che ho letto in mail non desiderate… ed è esattamente ciò che volevo veder scritto.
Oltre alla confutazione della visione semplicistica e fuorviante di concetti molto complessi, apprezzo che sia messo in evidenza il rischio di attivare paradossalmente sensi di colpa in chi creda in questa visione.
Vorrei rispondere alla mail ricevuta da un affabulatore proprio con questo articolo!