Donne al potere nell’Età del bronzo?
In marzo, alcuni titoli giornalistici hanno attirato la mia attenzione. Leggere cose come Archeologia: scoperta antica civiltà governata dalle donne in Spagna (Metro news) incuriosisce sempre un’archeologa protostorica come me. Sorge subito la domanda: come fanno a saperlo? Quali prove ci sono? Cosa dice davvero lo studio scientifico?
Spesso accade che i giornali tendano a generalizzare, a ingigantire e a semplificare scoperte che invece sono molto interessanti, e magari lo sono davvero, proprio per la loro complessità. In questo caso, leggendo articoli come quello sopra menzionato, è evidente come l’accento sia stato posto interamente sulla scoperta di un diadema o una corona d’argento collocata sul capo di uno scheletro femminile. Da questo se ne dedurrebbe che le donne governavano “un’antica civiltà”.
Questa semplificazione estrema è alla base di tanti fraintendimenti e di idee fantastiche che si creano attorno all’archeologia, perché, prendendo un singolo ritrovamento e strappandolo dal suo contesto perdono la visione d’insieme e il valore reale della scoperta.
Per non trascurare la complessità che si cela dietro questa notizia solo all’apparenza semplice, bisogna andarsi a leggere la pubblicazione scientifica retrostante, che in questo caso è fruibile gratuitamente. L’articolo si intitola Emblems and spaces of power during the Argaric Bronze Age at La Almoloya, Murcia ed è stato pubblicato sulla rivista inglese Antiquity.
Partiamo quindi dal contesto.
La sepoltura con il diadema è stata trovata nel sito di La Almoloya, appartenente alla cultura di El Argar, sviluppatasi nella Spagna sud-orientale durante l’Età del bronzo (2200-1550 a.C). Questa civiltà si caratterizza per un sistema complesso di insediamenti al cui interno si trovano edifici monumentali associati al potere politico, per una suddivisione precisa del lavoro con artigiani specializzati e per sepolture ricche all’interno delle mura cittadine.
Un’altra caratteristica della cultura di El Argar è rappresentata proprio dai diademi in materiale prezioso. Gli archeologi li hanno divisi in due categorie: quelli costituiti da una banda semplice, e quelli formati da una banda alla quale si attacca un’appendice semicircolare, appunto come quello ritrovato a La Almoloya. A questa seconda tipologia appartengono sei esemplari ad oggi noti: cinque, realizzati in argento nativo, uno in oro.
Quattro fra i diademi sono fra i primi ritrovamenti effettuati proprio nel sito di El Argar, avvenuti tra il 1883 e il 1884 ad opera dei fratelli Luis e Enrique Siret y Cels. Per questi oggetti, purtroppo ormai è difficile ricostruire il contesto del rinvenimento, date le metodologie di scavo utilizzate all’epoca. Dove è possibile determinare il sesso dell’individuo, si trattava di donne.
Un diadema proviene invece dal sito di Cerro de la Piazza de Arma, ritrovato nel 1923. Si tratta dell’unico esemplare in oro, ma l’attribuzione non è certa.
Il sesto esemplare proviene dalla tomba 38 di La Almoloya. Si tratta di un contesto molto interessante, sia per la sua complessità sia per la quantità di informazioni che gli archeologi sono riusciti a ricostruire (ed è anche l’unico ritrovamento completo di un contesto simile).
Ma, insomma, che cosa è stato trovato?
Interrata nel pavimento di una stanza di un’abitazione interna alle mura del sito, è stata rinvenuta una grossa giara. Al suo interno c’erano gli scheletri di due individui, un maschio e una femmina, sepolti con un ricco corredo. Grazie alla disposizione delle ossa, si sono potute definire le varie fasi della sepoltura: l’individuo maschile è stato sepolto per primo, seguito dopo poco tempo da quello femminile, poiché lo scheletro maschile era in connessione anatomica, e dunque i tessuti molli non erano ancora decomposti quando la tomba è stata riaperta per inserire la salma della donna.
Lo studio delle ossa ha permesso anche di capire l’età dei due individui: tra i 25 e i 30 la donna, tra i 35 e i 40 anni l’uomo. Grazie allo studio del DNA, sappiamo inotre che i due individui non erano imparentati, ma che avevano prole in comune. In un edificio vicino è stato rinvenuto lo scheletro di una neonata che era la loro figlia biologica.
La donna presentava diverse anomalie congenite, come l’assenza della dodicesima costola, solo sei vertebre cervicali e una vertebra lombosacrale transizionale. Inoltre, al momento del decesso soffriva di un’infezione polmonare. L’uomo invece presentava una lesione traumatica sulla fronte, completamente guarita al momento della morte e marker scheletrici tipici dell’attività di cavaliere.
Per quanto riguarda il corredo, erano stati sepolti assieme alla coppia molti oggetti di prestigio realizzati in materiali preziosi. Il diadema d’argento è stato trovato posizionato sul teschio femminile. La sua somiglianza puntuale con quelli di El Argar fa pensare al lavoro di un artigiano specializzato. Altri oggetti preziosi erano gli orecchini in oro con anelli d’argento, appartenenti sempre all’individuo femminile, ma assai rari tra i ritrovamenti riferibili alla cultura di El Argar. In più, la coppia aveva fermatrecce d’argento come parte dell’acconciatura sia maschile sia femminile e alcuni braccialetti: la donna ne possedeva due, d’argento, mentre l’uomo uno solo, di rame. La donna indossava anche due anelli. Altri oggetti di ornamento erano rappresentati da due collane di perline multicolori, una per l’uomo e una per la donna. Infine, erano presenti un pugnale di bronzo e un punteruolo, legato alla pratica della tessitura, con il manico in legno ricoperto d’argento.
Grazie alla fluorescenza ai raggi X sono state identificate tracce di cinabro sul capo dell’uomo e sui denti della donna. Secondo gli archeologi potrebbero ricondursi ai vestiti indossati dalla coppia, a teli o a mantelli utilizzati per la sepoltura, oppure esser stato applicato direttamente sulla pella come pittura corporea o trucco.
Se, come abbiamo visto, l’analisi meticolosa della sepoltura ci ha fornito così tante informazioni, lo studio della struttura dentro la quale sono stati trovati non è da meno.
La tomba si trovava in una grande sala parzialmente interrata in quello che è stato chiamato housing complex 1. All’interno di questo edificio, ancora in fase di studio, sono state trovate tracce di lavorazioni diverse, effettuate in loco, come quelle dei metalli, la produzione di oggetti in pietra, attività tessile ed altre legate alla lavorazione della cera d’api e del miele. Per gli archeologi che si stanno occupando del sito, queste attività non sono compatibili con una semplice abitazione privata, seppur molto ricca. Sarebbero piuttosto da associare ad una struttura complessa, come un palazzo. Questa ipotesi è avvalorata dalla stanza denominata H9, quella in cui si trova anche la nostra sepoltura. Qui era stata fissata al muro una fila di panche, alte 33 cm da terra su tre lati e 62 sul quarto lato. Questa fila è interrotta da una struttura a gradini e da un podio. Si pensa che le panche potessero contenere circa cinquanta persone che si radunavano lìper discutere o per apprendere le decisioni di chi governava la città. L’edificio fu distrutto da un incendio in un periodo immediatamente successivo alla sepoltura della donna con il diadema.
Soltanto grazie a questa messe di dati raccolti e analizzati gli archeologi possono provare a trarre alcune conclusioni.
Si tratta di una sepoltura di prestigio legata presumibilmente all’esercizio del potere politico. Nella cultura di Argar le donne di potere possiedono sepolture molto ricche di ornamenti e non è inusuale che abbiano anche un diadema come quello della tomba 38. Gli uomini, invece, manifestavano il proprio status tramite la presenza di armi come spade e pugnali.
La sepoltura si trova in quella che parrebbe una stanza adatta ad ospitare un buon numero di persone: uno spazio plausibilmente legato ad un’élite politica.
Rimane però aperta proprio la domanda che secondo la stampa generalista sembrerebbe invece tanto facilmente risolvibile: possiamo affermare che la maggiore ricchezza della donna e la presenza di un oggetto fortemento connotato come il diadema la ponga in una posizione di comando all’interno di quella società? E, se sì, si trattava di un caso isolato o piuttosto della norma?
Per il momento non è possibile dare una risposta certa perché, in archeologia, un singolo ritrovamento, seppur significativo e ben studiato come questo, non basta. Bisognerà aspettare ulteriori scoperte che confermino o smentiscano le ipotesi degli archeologi firmatari dello studio.
Una cosa è certa: tutti noi possiamo usare scoperte come questa per riflettere sulla metodologia archeologica, e in particolare su come riconosciamo (o crediamo di riconoscere) i simboli di potere in epoche per le quali non è presente una documentazione scritta.
Immagine in evidenza: cranio con diadema di argento, orecchino e collana – sepoltura 62 di El Argar (da Siret Henri, Siret Louis, Les premiers âges du métal dans le sud-est de l’Espagne, Anversa, Belgio, 1887, p.125 – immagine di pubblico dominio)