Il mostro volante di Paroldo
Giandujotto scettico n° 85 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (25/03/2021)
La sera di venerdì 2 gennaio 1964, Paroldo, un paesino delle Alte Langhe cuneesi, fu attaccato da un mostro volante. Oggi quei luoghi sono quasi spopolati, ma ricchi di tradizione, tanto da meritarsi persino un servizio sulla CNN: come recita lo stesso cartello stradale che introduce all’abitato, Paroldo è il paese delle masche, le streghe del folklore piemontese capaci di presentarsi in ogni forma ed aspetto.
Ma non era una masca quella di cui parlò Stampa Sera nella sua edizione del 3-4 gennaio 1964.
Si era già fatto buio: era pieno inverno. Due ragazzine si erano recate ad attingere acqua a un pozzo, ai margini dell’abitato. Un fatto banalissimo, se non fosse che le due si erano subito precipitate in casa affermando di aver appena visto “un essere mostruoso” cadere dal cielo. La creatura emetteva anche un curioso rumore intermittente… La voce corse rapidamente: per un paio d’ore, stando al giornale, sarebbe stato il panico. Nessuno osava avvicinarsi al mostro volante. Solo ad un certo punto, innervosita, una guardia comunale decise che ne aveva avuto abbastanza. Si chiamava Vittorio Rizzo e si avventurò da solo verso il luogo dell’avvistamento.
Lì il mostro si rivelò per quello che era: una radiosonda del servizio meteorologico dell’Aeronautica militare, legata a un pallone di plastica trasparente. Il rumore che aveva impressionato le ragazze era il ticchettio degli apparati meccanici contenuti nella scatola connessa al pallone. Quello, a suo tempo, era il metodo standard per la rilevazione in tempo quasi-reale dei dati meteo e per la formulazione delle previsioni.
Rizzo portò il pallone sulla piazzetta di Paroldo, in modo che tutti potessero vederlo di persona. Poi la sonda fu presa in consegna dai Carabinieri, che la tennero presso di loro finché non fu restituita all’Aeronautica. Era partita da un aeroporto romano sei giorni prima.
Almeno stando alla cronaca il pallone svolazzante, impigliato in un cespuglio, aveva assunto “un aspetto sinistro” e aveva tenuto in ansia un certo numero di persone. Problemi di percezione, di aspettative, di timore per un ignoto e potenziale pericolo disceso dal cielo. Ma non solo.
Cuneese, terra di palloni volanti
Quello che per breve tempo portò lo scompiglio a Paroldo era stato un comune pallone meteorologico. Uno come tanti: se ne trovavano abbastanza sovente, nelle campagne, a quei tempi. Però, forse, il Cuneese era stato un po’ preso di mira dagli aerostati, in quegli anni.
Poco più di due mesi prima ad esempio, il 9 novembre 1963, un uomo che stava partecipando a una battuta di caccia ne aveva visto cadere un altro a Bricco, località del comune di Igliano (in linea d’aria, a pochi chilometri da Paroldo). Al contrario di quanto avvenuto per il “mostro”, la sonda era stata riconosciuta subito per quel che era, e, tramite i Carabinieri di Murazzano, restituita all’Aeronautica (L’Unione Monregalese, 16 novembre 1963).
Tre settimane esatte dopo l’episodio che ci ha così interessati, il 23 gennaio 1964, ecco un altro “UFO crash”: un’altra sonda (tipo ES 403, munita di paracadute e di antenna radio) veniva rinvenuta da un contadino a Viaiano, presso le sponde del Tanaro, nel territorio di Farigliano – un po’ a nord dei due casi precedenti. Anche stavolta i Carabinieri, da Dogliani, intervenivano per restituirla al Comando della 2° Regione Aerea di Roma (L’Unione Monregalese, 1° febbraio 1964).
Ma in mezzo a questo profluvio di palloni, un ben più importante e “misterioso” involucro era sceso dal cielo.
Dallo spazio (quasi), alle Alpi
Intorno al 6 novembre del 1963, un gruppo di tre studenti monregalesi stava compiendo un’escursione sugli sci fra il RIfugio Garelli e il Rifugio Havis De Giorgio Mondovì, nel Parco Naturale del Marguareis (quasi al confine tra le province di Cuneo e Savona). Giunti nei pressi del lago delle Moglie, a 2100 metri di quota, notarono le curiose evoluzioni di un piccolo aereo da turismo che si aggirava sopra la zona e si chiesero cosa stesse cercando. Poi, lo capirono: lì vicino, fra la neve, c’era un colossale involucro di materiale plastico, e accanto a lui un grande contenitore da oltre cento chili pieno di attrezzature elettroniche.
Si trattava certamente di un aerostato, ma era assai diverso da un comune palloncino meteo. Gli studenti avvisarono i Carabinieri, che lo identificarono rapidamente: era un pallone stratosferico francese! (Stampa Sera, 11 novembre e L’Unione Monregalese, 16 novembre 1963).
Era un pallone importante, per vari motivi. Tanto per per cominciare, il suo lancio era stato uno dei primissimi impieghi sperimentali della nuova, grande base francese di Aire-sur-l’Adour, sulle coste meridionali atlantiche del dipartimento delle Landes. Da quel luogo sarebbero partiti per decenni involucri di dimensioni colossali, che avrebbero dato vita ad avvistamenti UFO su mezza Europa meridionale.
Ma c’è un fatto che rende quel predecessore del più modesto “mostro di Paroldo” interessante. Partito il 4 novembre, il pallone serviva per alcuni esperimenti che in quegli anni facevano capo ai fisici dell’Università di Paris-Saclay, in collaborazione con il collega italiano Giuseppe “Beppo” Occhialini.
Per “colpa” sua – ve lo avevamo raccontato qui – già nove anni prima, il 14 ottobre 1954, un altro pallone stratosferico con un pacco di lastre per la rilevazione dei raggi cosmici (da lui ideato all’Università di Milano) si era reso protagonista di un’ondata di avvistamenti di “dischi volanti” sui cieli del Piemonte.
Con lo sviluppo degli acceleratori di particelle, però, quel tipo di esperimenti aveva perso rapidamente importanza. Occhialini, allora, si volse alla fisica cosmica e passò un anno sabbatico (il 1959) al MIT, negli Stati Uniti. Rientrato a Milano, fondò l’Istituto di fisica cosmica, dal quale prese rapidamente l’avvio il Gruppo italiano di fisica cosmica. La collaborazione con l’analogo gruppo francese dell’Università di Paris-Saclay fu particolarmente fruttuosa: i palloni stratosferici erano il mezzo standard per queste ricerche, prima dell’avvento dei satelliti. Montavano camere a scintille come rilevatori di particelle, con lo scopo di analizzare sia gli elettroni cosmici, al di fuori dell’atmosfera, sia i cosiddetti neutroni di albedo, quelli riflessi dall’atmosfera.
Il pallone misterioso scoperto dai tre studenti di Mondovì era l’inizio di quella fase pionieristica di studio.
Avvisati dalle autorità italiane, gli scienziati e i tecnici francesi, con Occhialini in testa, arrivarono a Cuneo sabato 9 novembre 1963. Erano preoccupatissimi per la possibile perdita degli strumenti. Raggiunsero prima Mondovì, poi da lì la zona della caduta. Il giorno dopo il pallone e il pod furono recuperati (non senza difficoltà) grazie ai Carabinieri e a “una decina di portatori” – gente robusta della zona. Una foto delle operazioni del recupero, riprodotto nel volume collettivo The Scientific Legacy of Beppo Occhialini (p. 143) venne scattata al Rifugio Garelli, dove erano stati portati il pallone e il suo carico. Occhialini è quello al centro; il giovane a sinistra è Giorgio Sironi, allora da poco laureato in fisica, che sarebbe poi diventato ordinario di Radioastronomia a Milano.
Anche se la fonte (L’Unione Monregalese, 16 ottobre 1965) è poco chiara, è plausibile che anche un altro grande pallone, quello ritrovato poco tempo prima da alcuni agricoltori nei campi di Rocca de’ Baldi (vicino a Mondovì), e che
aveva suscitato enorme impressione negli abitanti della Rocca per il suo aspetto strano e sconosciuto da far pensare ad una improvvisa costruzione sorta nel cuore della notte
potrebbe essere stato un pallone stratosferico simile a quello di Occhialini. Il settimanale di Mondovì spiegò che era francese e che, carico di strumenti scientifici, era stato lanciato quattro giorni prima da un centro nazionale di ricerche d’Oltralpe che ne aveva poi perso le tracce. Chissà quali paure si celavano, stavolta, dietro quella “enorme impressione” per “l’aspetto strano e sconosciuto” dell’involucro. Un altro mostro? Un marziano?
Se pensate che stiamo esagerando, sappiate che in Italia diversi palloni, e di varie tipologie, vennero scambiati per marziani ed extraterrestri. L’8 ottobre del 1954 un pallone carico di volantini anticomunisti in ungherese, lanciato dalla Germania meridionale verso i Paesi a dittatura sovietica, si abbassò spinto dai venti su una zona scarsamente popolata a nord di Sassari, sfiorando il terreno. Mentre lasciava cadere i pacchi di fogli, per poi riprendere quota, fu scambiato da due testimoni per un essere scafandrato che volava poco al di sopra del terreno.
Dato il mito prevalente in quel momento, fu etichettato subito come “marziano”. Ma la scoperta e la traduzione dei volantini fecero capire ben presto che era tutto un equivoco: un evento abbastanza simile al “mostro di Paroldo” di nove anni dopo (Giuseppe Stilo, Il quinto cavaliere dell’Apocalisse – Tomo Primo, UPIAR, Torino, 2006, pp. 203-211).
Il 1° settembre del 1977, invece, fu la volta dell’Umbria (Il Giornale dei Misteri, Firenze, n. 89, agosto 1978, pp. 2-5). Un pallone fu visto passare vicinissimo al suolo da parecchie persone intorno al paese di Valfabbrica (Perugia). Malgrado le descrizioni fossero abbastanza chiare già da sé, gli ufologi che se ne occuparono, pur presentando timidamente l’ipotesi del pallone, parlarono di “una figura umanoide volante” o di “un alieno”.
Nei decenni più recenti, i palloni sonda e i palloni stratosferici sono stati soppiantati da assai più glamour palloncini giocattolo di ogni tipo e forma, spesso dotati di alte capacità riflettenti (e per di più, a causa della forma irregolare e dei moti convettivi dell’atmosfera, soggetti a movimenti imprevedibili, tanto da sembrar quasi volontari). Di conseguenza, dagli anni ‘90 in poi, ai mostri e ai marziani si sono sostituiti quelle che alcuni ufologi (non tutti: Paolo Fiorino, del Centro Italiano Studi Ufologici, ha studiato con rigore molti di quei racconti), hanno battezzato EBE (Entità Biologiche Extraterrestri): esseri che, nelle versioni più estreme dell’intricato universo UFO, sarebbero anche capaci di materializzarsi e di smaterializzarsi.
Ma sempre quello rimangono: palloni pieni di gas. Come quello che per brevissimo tempo, nel 1964, portò Paroldo ad un passo dall’ignoto.