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Perché alcuni credono di più alla cattiva informazione sulla salute?

Che cos’è la misinformazione sulla salute? Di recente, il Journal of American Medical Association l’ha definita come

una affermazione su una questione di salute che allo stato risulta falsa in quanto mancano evidenze scientifiche che la sostengano (1)

Non si tratta di questioni innocue: la misinformazione sulla salute può rallentare o impedire l’accesso dei pazienti alla medicina basata sull’evidenza e minare il rapporto fiduciario medico-paziente, perché accentua lo scetticismo nei confronti delle linee guida sul trattamento delle patologie, oppure fa sì che le persone non aderiscano alle raccomandazioni sanitarie (2)

Sembra che si possa ovviare in parte a queste conseguenze, ad esempio, se si viene  corretti da propri pari, oppure se si rendono le persone più consapevoli di che cos’è la misinformazione (3). Un’altra possibilità che può portare a una maggior ponderatezza prima di condividere delle notizie può consistere nel suggerire alle persone, magari in modo sottile, l’importanza del concetto di accuratezza dell’informazione: la semplice menzione del concetto sembra aiutarle a valutare meglio le notizie con cui entrano in contatto (4). 

Ma, detto questo, ci sono domande importanti sulla misinformazione sanitaria alle quali sarebbe necessario rispondere. Una se la sono posta alcuni psicologi sperimentali e sociali americani, in particolare Laura D. Schrerer, che, insieme a un gruppo di colleghi, a febbraio 2021 ha pubblicato un lavoro al riguardo sulla rivista Health Psychology (5).

Ecco la questione: chi è più suscettibile alla misinformazione sanitaria? Ossia, come specificano gli autori, chi ha una maggior tendenza a valutare  la misinformazione come attendibile, e, addirittura, a prendere decisioni sulla salute facendo conto su di essa? 

Secondo gli autori, finora la ricerca sulla psicologia della salute si sarebbe concentrata sui singoli problemi, in primo luogo sull’esitanza vaccinale e sulle falsità legate ai vaccini. Visto che però la cattiva informazione non bada ai confini tra argomenti, Scherer e gli altri si sono chiesti se ci siano gruppi di persone più “sensibili” alle bufale sulla salute a prescindere dal singolo argomento particolare e anche dal fatto che si tratti di notizie che li toccano in maniera diretta (ad esempio, perché loro stessi, o loro cari, sono affetti da quelle patologie, ecc.). A parte i vaccini, la misinformazione sanitaria è particolarmente pervasiva sul tema del cancro e dei farmaci anti-colesterolo come le statine (6)

Partendo da questi assunti, hanno cercato di capire se i “suscettibili” abbiano caratteristiche psicosociali che li accomunano. Saperlo sarebbe utile per “prendere la mira” meglio nella comunicazione sanitaria e nella divulgazione di informazioni verificate. 

Lo studio ha preso in considerazione le quattro principali ipotesi che cercano di spiegare perché certe persone siano più suscettibili alla misinformazione intesa in senso ampio. Il primo approccio è, forse, quello più noto: l’ipotesi del deficit. In questo caso, la maggior sensibilità sarebbe dovuta a delle carenze: scarsità di istruzione, di conoscenze scientifiche, di strumenti di analisi adeguati. 

La seconda ipotesi è che alcuni, eviterebbero di analizzare in maniera adeguata le informazioni che sono coerenti con i loro punti di vista. Se questi individui hanno atteggiamenti in tema di salute che concordano con la misinformazione, allora la accetteranno senza sottoporla ad un esame accurato, anche se ne avrebbero le capacità

La terza prospettiva, quella della fiducia afferma che, per vari ordini di motivi, costoro, non si fiderebbero delle informazioni che vengono dalla scienza o dal sistema sanitario, rigettandole a favore di alternative inattendibili. 

La quarta prospettiva, infine, è quella dell’avarizia cognitiva: alcuni non rifletterebbero bene sulla qualità delle notizie perché non sarebbero disponibili a investire risorse cognitive. Non avrebbero voglia di “spendere” le loro capacità per discriminare il vero dal falso, finendo così per dar credito alla misinformazione.  

A partire da queste quattro ipotesi di spiegazione, fra loro non mutuamente esclusive, per la loro ricerca gli autori si sono posti due domande: 

  • Ci sono persone che sono più suscettibili di altre alla misinformazione sanitaria online, e che lo sono un po’ in tutti gli ambiti dei problemi della salute?
  • Esistono caratteristiche psicosociali in grado di dirci in anticipo (ossia, dei predittori) se quelle persone saranno anche in futuro disponibili a credere a storie inattendibili sulla salute e sulla medicina?

Il gruppo di studiosi ha quindi preso un campione rappresentativo di persone, ha sottoposto loro una serie di 52 post a volte del tutto falsi, a volte contenenti alcune informazioni scorrette, a volte veritieri, apparsi sui social media su cancro, statine e vaccini, e  ha incrociato la capacità di riconoscere le false notizie con le quattro ipotesi che abbiamo visto sopra (deficit, preferenze su medicina e salute, fiducia e avarizia cognitiva).  Per farlo ha usato una serie di test e di scale psicometriche ad hoc. Dai risultati di questo lavoro gli autori hanno tratto alcune conclusioni.

Alla prima domanda, la risposta è stata un sì netto. Le persone che credono nella misinformazione su una specifica questione medica assai sovente tendono a comportarsi allo stesso modo relativamente a altri problemi di area sanitaria. La loro disponibilità ad ritenere vere notizie infondate, almeno nell’ambito della salute riguarda vari argomenti: vaccini, statine, presunti rimedi alternativi ai chemioterapici per i tumori. 

Sulla seconda domanda, invece, (ossia, sul perché ciò accada) le risposte risultano un po’ più complicate e bisognose di riflessione. Tanto per cominciare, le persone che credono nelle storie scorrette su vaccini, cancro e statine e sulle quali quelle storie sono più influenti, sono anche quelle che passano più tempo sui social media. Quel che più conta, però, è che le persone che ci credono di meno sarebbero quelle con grado di istruzione più alto, e quelle che ci credono di più, invece, quelle che hanno opinioni positive sulle “medicine alternative”. Però anche questo risultato di correlazione non va sopravvalutato: in pratica, sui social media sparisce nei modelli di regressione, dove resistono soltanto la credenza nelle medicine alternative, la sfiducia nella scienza e il livello di istruzione e di conoscenza dei temi sanitari. 

Gli autori riconoscono di non essere riusciti a trovare risposte esaustive, anche se in generale l’ipotesi del deficit sembrerebbe essere quella in grado di spiegare leggermente meglio i risultati. In ultima analisi, considerano migliore il loro modello che spiega il 19% della varianza dei dati, visto che con un altro modello che considera variabili diverse si spiega solo l’8% della varianza.

Su un piano più generale, comunque, le deficit hypotheses, cioè quelle che in qualche modo legano convinzioni di vario genere a una “deprivazione”, sono state sottoposte a varie critiche. 

Anche ciò detto, come visto le ipotesi considerate, erano quattro. Della prima, quella del deficit, si è già detto, C’erano poi la seconda e la terza, quella delle preferenze sulla medicina e la salute e quella della fiducia. In definitiva: un grado d’istruzione più basso e una minor conoscenza della letteratura medica (questi i deficit, insomma), uniti a un atteggiamento positivo verso le medicine alternative (la seconda ipotesi) e a una minor fiducia verso la sanità (la terza), comporterebbero un’attenzione assai maggiore verso la misinformazione sanitaria. Anche tenuto conto che un’ipotesi non escludeva l’altra, il risultato dello studio è che, presi insieme, questi tre modelli spiegherebbero il doppio della varianza statistica dell’ipotesi restante (la quarta) cioè quella dell’avarizia cognitiva.

Dunque, il motivo del successo della misinformazione sanitaria non starebbe nel fatto che le persone “spenderebbero” poco delle loro risorse per il tema salute. Insomma, considerando soddisfacendo i numeri ottenuti, gli autori dello studio hanno preferito mantenersi in ambiti teorici più tradizionali come quello della “mancanza”, cioè del modello della deprivazione, del deficit. 

Può darsi che Scherer e gli altri non abbiano risolto il problema del “perché” si creda alla misinformazione sanitaria, ma di certo hanno posto ancora una volta questa domanda cruciale. Inoltre, mettendo insieme i dati raccolti, hanno avanzato alcuni suggerimenti su come procedere per identificare e per affrontare al meglio la misinformazione. 

Anche fra i tre argomenti scelti (statine, vaccini, tumori), sottolineano infatti, il grado di falsità delle notizie scorrette può variare. Le notizie sulle terapie alternative alla chemioterapie, di norma sono più palesemente false di quelle sugli effetti collaterali delle statine, sulle quali il dibattito scientifico è più diversificato. Se è vero che chi crede di più alla misinformazione su un argomento sanitario specifico farà lo stesso anche per altre questioni mediche, proprio per questo coloro che intendono far fronte al problema dovrebbero valutare fino a che punto le varie storie siano del tutto false, oppure miscele di informazioni false e di informazioni corrette: proprio su questa complicazione si gioca l’efficacia della risposta. I soggetti incaricati di occuparsene dovrebbero possedere un’elevata capacità di comunicare le sfumature, non disgiunta da un alto livello di conoscenze delle questioni in discussione.   

I metodi che l’articolo suggerisce al riguardo sono quelli della Evidence-Based Science Communication (EBSC) (7), un approccio che intende unire le alte competenze professionali di chi comunica agli esiti più recenti della ricerca sistematica e a un’interfaccia strettissima con la scienza della comunicazione. Prossimamente, spero, avremo modo di dire qualcosa proprio sulle possibilità che la ESBC può suggerire nel contrasto alle pseudoscienze. 

Note:

1) Chou, W.-Y. S., Oh, A., & Klein, W. M. P. (2018). Addressing health related misinformation on social media. Journal of the American Medical Association, 320(23), 2417–2418. https://doi.org/10.1001/jama.2018.16865

2) Hill, J. A., Agewall, S., Baranchuk, A., Booz, G. W., Borer, J. S., Camici, P. G., Chen, P.-S., Dominiczak, A. F., Erol, C., Grines, C. L., Gropler, R., Guzik, T. J., Heinemann, M. K., Iskandrian, A. E., Knight, B. P., London, B., Lüscher, T. F., Metra, M., Musunuru, K.,… Tutti gli autori sono firmatari dell’HEART Group. (2019). Medical misinformation. Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes, 12(2), Article e005496. https://doi.org/10.1161/CIRCOUTCOMES.119.005496

3) Vraga, E. K., & Bode, L. (2018). I do not believe you: How providing a source corrects health misperceptions across social media platforms. Information Communication and Society, 21(10), 1337–1353. https://doi.org/10.1080/1369118X.2017.1313883

4) Pennycook, G., & Rand, D. G. (2020). Who falls for fake news? The roles of bullshit receptivity, overclaiming, familiarity, and analytic thinking. Journal of Personality, 88(2), 185–200. https://doi.org/10.1111/jopy.12476

5) Scherer, L. D., McPhetres, J., Pennycook, G., Kempe, A., Allen, L. A., Knoepke, C. E., Tate, C. E., & Matlock, D. D. (2021). Who is susceptible to online health misinformation? A test of four psychosocial hypotheses. Health Psychology. Advance online publication. https://doi.org/10.1037/hea0000978

6) Navar, A. M. (2019). Fear-based medical misinformation and disease prevention: From vaccines to statins. JAMA Cardiology, 4(8), 723–724. https://doi.org/10.1001/jamacardio.2019.197

7) Jensen, E. A., Gerber, A. (2020). Evidence-Based Science Communication. Frontiers in Communication, 4,  https://doi.org/10.3389/fcomm.2019.00078;  Lewandowsky, S., Ecker, U. K. H., Seifert, C. M., Schwarz, N., & Cook, J. (2012). Misinformation and its correction: Continued influence and successful debiasing. Psychological Science in the Public Interest, 13(3), 106–131. https://doi.org/10.1177/1529100612451018

Immagine in evidenza: By Bonio from England – A Sight For Sore Heads, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=91768836

Giuseppe Stilo

Giuseppe Stilo (Firenze, 1965) si occupa di pseudoscienze, in particolare di ufologia, privilegiando il metodo storiografico. Fra gli altri suoi lavori, "Alieni ma non troppo. Guida scettica all'ufologia" (Cicap, Padova, 2022). Insieme a Sofia Lincos è titolare delle rubriche "Misteri Vintage" (su Query Online), "Il Giandujotto scettico" (sul sito del Cicap Piemonte) e "Divergenti" (sul trimestrale Query).

3 pensieri riguardo “Perché alcuni credono di più alla cattiva informazione sulla salute?

  • Il Cicap si è sempre battuto per una corretta informazoione scientifica e contro le estrapolazioni interessate delle conseguenze delle scoperte scientifiche. Il problema è che oggi la Scienza, con il suo esercito di Ricercatori e, purtroppo, di entusiasti divulgatori senza titolo scientifico alcuno, è diventata l’ unica speranza, nelle Democrazie Occidentali, di costringere i Cittadini ad obbedire. Non ci si riesce più con le Ideologie e le Religioni, si spera di poter vietare determinati comportamenti grazie alle evidenze scientifiche. Ma è proprio perché si sono affermati vasti movimenti di opposizione ad un Sistema dove sembra che comandi solo il Capitale (intere nazioni possono essere costrette all’ obbedienza senza carri armati, basta non conceder loro più prestito alcuno) che è nato un sentimento antiscientifico: la Scienza è identificata col Potere, come le Forze dell’ Ordine, la Magistratura, i Mass Media e le Istituzioni Religiose. La propensione a credere alle notizie scientificamente false, (come la Piattosità della terra), è diventata uguale alla propensione a credere che le Istituzioni non siano Sante, ma criminali. Ed è questo il lato dove intervenire, non l’ ignoranza scientifica o le oligofrenìe.

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    • Concordo sul commento, aggiungo una riflessione personale che nasce anche dall’osservazione di ‘terrapiattisti’ vicini di casa. Noto una totale prevalenza di individualismo che porta alla negazione delle forme di socializzazione codificate in associazioni come APS, ONLUS, Pro Loco, Società sportive dilettantistiche, Biblioteche, Cineforum o altre associazioni culturali. Per non parlare di partiti e sindacati. Il risultato è che non solo costoro sono contro il Potere (e Forze dell’Ordine, etc) e quindi contro la Scienza, ma di fatto ostili anche a chi vive vicino a loro verso i quali viene nutrito un costante clima di sospetto. Come corollario c’è anche l’incapacità di vivere gioie collettive come festeggiare la vittoria della Nazionale o partecipare a grandi eventi di spettacolo. Questo individualismo estremista da dove viene? Fa parte del problema? I terrapiattisti vicini di casa sono anche Novax e hanno fonti di reddito dalle più classiche forme ‘alternative’ di terapia per le quali frequentano ‘corsi di formazione’ ed esibiscono con orgoglio i relativi ‘diplomi’. Cordialità

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  • Vorrei replicare al 1° commento che, pur condividendo sostanzialmente l’analisi delle cause del “sentimento antiscientifico” oggi in forte espansione, ritengo affetta da un certo “benaltrismo” la conclusione: in presenza di molteplici cause di fenomeni complessi come l’anti-scientismo occorre intervenire su tutte le cause che li determinano, magari individuando quelle prevalenti su cui intervenire per prime, ma senza limitarsi a quelle che, in base alla propria “vision”, sono le uniche meritevoli di essere affrontate.
    Interessante anche la riflessione del 2° commento sulle tendenze “individualistiche” dei complottisti, ma farei una distinzione fra questi e negazionisti (no-vax, terrapiattisti, no-sbarco lunare, etc.) o creduloni (ufo-maniaci, omeopato-dipendenti, etc.) nei quali mi sembra che questa tendenza sia molto meno diffusa.
    Prendendo spunto dalla seconda ipotesi dell’articolo direi che quello che li accomunica tutti è di non essere convincibili con argomenti o prove razionali per quanto evidenti perché le loro credenze sono frutto di “meccanismi di difesa” tesi a preservare l’integrità mentale di fronte a situazioni che creano ansietà o conflitti psichici, vissute come pericolose o disturbanti. E’ questa comune origine emotiva che le rende inattaccabili dalle evidenze contrarie che, se accettate, provocherebbero il “crollo psichico” del loro Io.
    Quello che cambia da una “categoria” all’altra è il tipo di disturbo di personalità da cui è affetta, in misura maggiore o minore, la gran parte di loro.
    E’ una banalità che i complottisti abbiano quasi sempre sindromi paranoidi, ma queste sono molto spesso associate a disturbi di evitamento sociale (ecco perché i complottisti difficilmente si aggregano) e i meccanismi di difesa prevalenti sono aggressività passiva e fantasie autistiche. Negazionisti e creduloni tendono invece a essere schizotipici o dipendenti con i conseguenti meccanismi di negazione/diniego e razionalizzazione (con il primo negano la realtà, con il secondo la reinterpretano).
    Ovviamente queste sono schematizzazioni che servono solo a chiarire i concetti di base dell’argomento, ma che è importante tenere presenti per inquadrare correttamente un argomento estremamente complesso e di difficile risoluzione.

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