L’ossido di etilene nei tamponi anti-Covid può provocare il cancro?
articolo di Tommaso Pacini, chimico, specialista in chimica forense e dello sport
Non bastando le fake news in circolazione sul Covid-19, ecco un video, rimbalzato e riproposto su più piattaforme social in toni sempre più allarmistici, in cui si sostiene che i tamponi utilizzati nella pandemia da Covid-19 siano stati intenzionalmente contaminati con ossido di etilene, un composto cancerogeno utilizzato durante il processo di sterilizzazione del tampone stesso, cosa che incrementerebbe il rischio di sviluppare tumori ed emorragie cerebrali. La prova della presenza di questo composto sarebbe la dicitura “Sterile EO” riportata nelle confezioni dei tamponi. Vediamo cosa c’è di vero in questa vicenda.
Cosa è l’Etilene Ossido (EO) e a che cosa serve
Per prima cosa, spieghiamo di quale composto chimico stiamo parlando. L’ossido di etilene gassoso, chiamato anche ossirano, è una piccola molecola formata da due atomi di carbonio, quattro atomi di idrogeno ed un atomo di ossigeno “a ponte” (Fig.1).
La sostanza si presenta in forma gassosa, ed è un composto molto reattivo che viene utilizzato in diversi ambiti industriali, come ad esempio nella produzione di etilene glicole, uno dei principali componenti del classico antigelo che in inverno impieghiamo nelle nostre auto.
Insieme alle radiazioni ionizzanti, come ad esempio i raggi beta o gamma, l’ossido di etilene gassoso rappresenta il mezzo più diffuso per la sterilizzazione di dispositivi di ogni tipo, in particolare di dispositivi medici, proprio grazie alla sua estrema efficacia: la sua elevata reattività, infatti, lo rende anche un ottimo agente battericida, sporicida e virucida, dettaglio fondamentale quando si parla soprattutto di dispositivi medici che devono entrare a contatto con le mucose di un paziente e la cui sterilità deve essere garantita.
La stessa caratteristica che lo rende così utile dal punto di vista sterilizzativo, tuttavia, è anche causa della sua elevata tossicità: è vero e dimostrato, infatti, che l’esposizione prolungata all’inalazione di questo agente chimico può provocare parecchi problemi, sia a breve sia a lungo termine. Un’esposizione acuta all’inalazione di questo gas causa irritazione di mucose e membrane, mentre un’esposizione cronica porta all’incremento del rischio di sviluppo di carcinomi linfoidi o mammari. Nella sua forma pura l’ossido di etilene gassoso è inoltre altamente infiammabile ed esplosivo quando entra a contatto con l’aria.
Per questo, è estremamente controllato e monitorato, in particolar modo nei dispositivi medici: il suo impiego come agente sterilizzante è legato e condizionato alla rimozione di qualsiasi residuo eventualmente presente nello strumento medico trattato, attraverso il rispetto di normative estremamente stringenti e severe.[1]
La sterilizzazione e l’impiego di Etilene Ossido per i dispositivi medici
L’importanza della sterilizzazione, ovvero l’eliminazione di eventuali microorganismi come ad esempio funghi o batteri, iniziò ad essere già a metà ‘800 grazie al medico ungherese Ignác Semmelweis, Nel1847 Semmelweis notò la stretta correlazione fra l’alta incidenza di febbre puerperale, un tipo di infezione dell’utero provocata da Escherichia coli, molto diffusa all’epoca e che portava alla morte di un’elevata percentuale di partorienti, e l’assenza di protocolli per l’igienizzazione delle mani nei medici che si occupavano sia dell’esecuzione delle autopsie sui cadaveri che della visita delle pazienti partorienti.[2] Nonostante l’importanza della scoperta, i dati di Semmelweis non vennero presi in considerazione e l’importanza della sterilizzazione fu compresa solo con gli studi di Pasteur sui microorganismi, ritenuti correttamente responsabili di numerose patologie che al tempo mietevano strage.
Oggi la sterilizzazione è un processo utilizzato in maniera assai ampia tramite un gran numero di tecniche chimiche, come ad esempio l’impiego di acido peracetico o, appunto, l’ossido di etilene, o fisiche, come l’utilizzo di raggi ultravioletti o l’esposizione al calore.
Il processo di sterilizzazione con ossido di etilene gassoso (EO) fu introdotto negli anni ’40 del secolo scorso [3] [4] e rappresenta ad oggi il principale metodo di sterilizzazione per le strumentazioni mediche e, più in generale, quello più utilizzato su larga scala insieme alla sterilizzazione UV.[5]
A causa della sua elevata infiammabilità, il processo di sterilizzazione con ossido di etilene gassoso deve essere compiuto in una camera in cui sia stato precedentemente fatto il vuoto, eliminando l’ossigeno presente al suo interno. Successivamente a questo passaggio preliminare, viene introdotta una precisa e determinata concentrazione di ossido di etilene gassoso, definita in maniera tale da rendere il processo sterilizzativo estremamente efficace. Al termine della sterilizzazione devono essere necessariamente condotti “lavaggi” successivi tramite introduzione di un gas non reattivo, solitamente azoto, così da ripristinare le condizioni iniziali abbassando la quantità di EO presente sino ad un valore inferiore al limite di infiammabilità, che è di 30.000 particelle di EO ogni milione di particelle di aria (ppm). Questi lavaggi con gas non reattivi sono importantissimi, perché realizzati in maniera tale da rimuovere ogni possibile residuo dannoso dallo strumento sterilizzato.
Il largo impiego di questo gas è legato alla sua elevata penetrazione all’interno delle piccole parti che caratterizzano gli strumenti medici: trattandosi di una molecola molto piccola piò entrare ed agire anche all’interno delle materie plastiche evitandone il danneggiamento, al contrario di altri metodi sterilizzativi quali il calore o i raggi gamma.
I rischi nell’utilizzo di Etilene Ossido gassoso come agente sterilizzante e il controllo dei residui
La necessità di una valutazione accurata al punto da garantire un controllo definito del rischio associato alla presenza di residui di ossido di etilene legati al processo di sterilizzazione, ha portato nel 2012,alla stesura di una normativa standard di sicurezza da parte dell’Organizzazione internazionale per la standardizzazione (ISO), che è poi l’ente più importante al mondo per la definizione di norme tecniche. [1] Questa normativa prevede la definizione dei limiti di quantità massima dei residui di etilene ossido accettabili senza rischi per la salute in dispositivi medici a seguito della loro sterilizzazione.
I residui che potrebbero essere presenti in seguito al trattamento sterilizzante con etilene ossido possono essere di:
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- Ossido di Etilene (EO) – residuo che potrebbe derivare dal non completo trattamento in fase di lavaggio del gas con azoto;
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- Cloro Etanolo (ECH) – residuo che potrebbe formarsi in caso di contatto di EO con atomi di cloro;
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- Etilene glicole (EG) – residuo che potrebbe formarsi in caso di contatto di EO con acqua.
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I limiti definiti dalla normativa sono differenti in dipendenza dal tempo di contatto del device medico. Questo tempo di contatto può essere limitato (<24h), prolungato (>24h ma <30gg) o permanente (>30gg). Esempi rispettivi di questi strumenti medici sono inostri tamponi (tempo di contatto limitato a pochi secondi), i cateteri (tempo di contatto maggiore di 1 giorno), lo stent coronarico (device permanente) (Figg.2a e 2b).
Di seguito, ecco una tabella estratta dalla normativa identificata con i limiti di sicurezza per gli agenti chimici potenzialmente tossici residuali del trattamento di sterilizzazione in dispositivi medici. Al di sotto di questi limiti non è stato mai osservato un aumento del rischio di sviluppo di patologie croniche o acute nell’impiego di questi dispositivi rispetto a chi non ne fa uso.
È da sottolineare il fatto che dei tre composti che abbiamo menzionato, l’etilene glicole non viene controllato soprattutto per due motivi:
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- È stato osservato che la presenza di etilene ossido sotto i limiti definiti dalla normativa si accompagna sempre ad una presenza estremamente trascurabile di etilene glicole;
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- L’etilene glicole non è classificato come sostanza cancerogena o genotossica.
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Categoria Device |
Limiti Etilene Ossido |
Limiti Cloro Etilene |
Contatto Limitato (< 24h) |
4mg |
9mg |
Contatto Prolungato (> 24h and < 30d) |
60mg/30d |
60mg/30d |
Contatto Permanente (> 30d) |
2.5g/lifetime |
10g/lifetime |
Limite di contatto tollerabile (TCL) |
10g/cm2 |
5mg/cm2 |
Limiti accettabili dei residui di etilene ossido e cloro etilene nei device sterilizzati secondo la normativa ANSI/AAMI/ISO 10993-7:2008/(R).
Dunque, la normativa prevede che al termine della sterilizzazione sia sempre necessario agire in modo da allontanare questi residui – ad esempio tramite i già citati lavaggi in flusso di azoto – così da restare al di sotto dei limiti di sicurezza definiti. Oltre a questo trattamento, metodi ausiliari di rimozione dei residui vengono correntemente impiegati nell’industria. Con il calore aggiunto, l’innalzamento di temperatura aiuta il processo di degassificazione nella camera di sterilizzazione. A ciò fa seguito un periodo di aerazione estesa in cui il device sterilizzato viene spostato in una camera di areazione e lì mantenuto di solito da un minimo di 6 ad un massimo di 24 ore.
Conclusione: è possibile stare tranquilli nell’utilizzo dei tamponi per il Covid-19?
Assolutamente sì.
L’elevato livello di attenzione legato alla diffusione di strumenti medici sterilizzati con ossido di etilene gassoso permette di avere un efficace controllo nell’utilizzo di questi mezzi, tra cui rientrano i tamponi, che possono per questo motivo essere usati in completa sicurezza, considerando anche il tempo di contatto estremamente limitato degli stessi con la mucosa orale o nasale. A questo proposito infatti è da sottolineare come la normativa ISO preveda che sia da indicare come “tempo di contatto limitato” un periodo inferiore alle 24 ore, ben al di sopra dei pochi secondi di contatto tipici di un tampone orofaringeo o rinofaringeo.
Va tenuto infine in considerazione che molte strumentazioni mediche, come ad esempio gli stent, previsti per rimanere nel corpo del paziente per tutta la vita una volta impiegati, vengono sterilizzati con ossido di etilene gassoso, senza per questo far registrare un incremento del rischio di sviluppo di carcinomi in pazienti sottoposti a questo trattamento.
Note:
1) ANSI/AAMI/ISO 10993-7:2008/(R), 2012, Biological evaluation of medical devices – Part 7: Ethylene oxide sterilization residuals
2) Destouches LF (alias Céline LF). La Vie et l’œuvre de Philippe Ignace Semmelweis, Tesi di laurea, 1924.
3) Griffith and Hall, L.A. 1940, Sterilization process, US patent No. 2189947 A.
4) Griffith and Hall, L.A. 1943, Sterilization process, US patent No. re. 22284 E.
5) Mendes GC, Brandão TR, Silva CL. (2007). Ethylene oxide sterilization of medical devices: a review. American Journal of Infection Control, 35(9):574-81. doi: 10.1016/j.ajic.2006.10.014. PMID: 17980234.
Immagine in evidenza: Navy Medicine, Public domain, via Wikimedia Commons