Le campane fantasma del lago di Viverone
Giandujotto scettico n° 88 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Curon… L’avete vista su Netflix? È una serie horror ambientata nell’omonimo paesino trentino, tutta giocata sulla leggenda del lago di Resia. Nel 1950, una diga artificiale sommerse la vecchia Curon, lasciando intatto solo il campanile. Eppure ogni tanto se ne sentirebbero ancora i rintocchi, presagio di morte o di sventura.
Qualcosa del genere accadde anche a Viverone, nel Biellese. Sull’omonimo e ben più tranquillo lago non c’era una diga pronta a spazzar via strade e abitazioni. Il lago, terzo del Piemonte per dimensioni, si formò probabilmente nell’Era quaternaria, così come la maggior parte dei bacini idrici della zona. Ma questo era del tutto insufficiente ad impedire che le leggende circolanti in zona parlassero di una città sommersa, punizione divina per l’ingratitudine dei suoi abitanti. E anche lì si raccontava di una campana che ogni tanto, di notte, risuonava per chiamare a raccolta le anime dei morti…
Classiche tradizioni, fin qui. Ma le leggende si fecero folklore vivente nell’estate del 1937, quando un fatto sconcertante mise in subbuglio gli abitanti del paese.
A raccontarlo furono due articoli quasi identici usciti su Il popolo Biellese e su La Stampa il 19 luglio. Così si apriva il pezzo (firmato, sul quotidiano torinese, R. di B.):
Quello che siamo per raccontare potrà sembrare inverosimile: ma il fatto è quello che narriamo e che è stato riferito da una delle persone presenti all’accaduto, riferito con voce ancora turbata per l’emozione che, tale persona ci ha detto, “quella sera è diventata ad un certo punto sbigottimento”.
Protagonista era un’allegra brigata di “giovanotti e signorine”, evidentemente in gita a Viverone. Il cronista faceva anche qualche nome: Mary Restano di Torino, la professoressa Luigia Ronco e il perito Adolfo Pirola. La compagnia aveva costeggiato per un po’ la sponda occidentale; poi si era diretta in barca verso il centro del lago. Era una notte serena, le acque erano tranquille. I giovani avevano “riso, chiacchierato, detto barzellette ed avevano anche cantato canzoni in coro”.
Poi, in un momento di silenzio, a un giovanotto della compagnia era sembrato di sentire un rombo misterioso che saliva dalle profondità subacquee. Aveva fatto cenno ai compagni: “Sentite, sentite”. Tutti avevano teso l’orecchio: le campane sommerse stavano suonando.
Racconta il cronista:
Cosa avveniva di misterioso e solenne sotto il livello del lago? Era un suono da prima tenue e sottile, appena appena percettibile, ma che presto diventò uno squillo alto e chiaro, come quello che scende dai villaggi dei monti nelle albe festive. E lo squillo metallico saliva e saliva dalle profondità dell’abisso, e si propagava per il lago tutto attorno al lago stesso. Distintamente si percepiva il suono argentino abbinato di due campanette a timbro differente, cui facevano accompagnamento le bronzee voci gravi di tre altre campane maggiori. Il coro metallico continuava grandioso ed insistente, proprio come se spiccasse il volo dalla cella campanaria di una cattedrale subacquea, chiamando a raccolta chi sa quali fedeli per una solenne misteriosa cerimonia.
I giovani si spaventarono: conoscevano benissimo la leggenda del lago. I vecchi del paese raccontavano spesso della città inabissatasi tra le acque con tutte le sue piazze e i suoi monumenti intatti, a causa di un grave sconvolgimento tellurico. E come per Curon Venosta, le storie descrivevano un misterioso campanile sommerso con i suoi rintocchi fantasma. Nessun presagio di morte, in questo caso: le campane della città perduta del lago di Viverone suonavano ogni cento anni, forse per richiamare le anime dei trapassati. Una leggenda che ricorda quelle, diffusissime, sulle processioni delle anime del Purgatorio che tornavano ogni tanto sulla terra per espiare i propri peccati pregando in cappelle diroccate o in altri luoghi ormai perduti.
Qui, ci tocca una breve digressione: racconti come quello di Viverone non sono affatto un unicum, nel folklore alpino e subalpino. Come scrive Roberto Gremmo nella sua rubrica sui misteri del Biellese, una leggenda analoga riguarda pure il lago di Villa, nei pressi del castello di Challand-Saint-Victor (Val d’Aosta): anche in quel caso c’era una città prospera, sommersa per castigo divino (i suoi abitanti si erano rifiutati di dar da mangiare a san Maurizio, giunto laggiù come umile pellegrino); e anche in quel caso si parlava dei rintocchi di un campanile e di anime purganti avvistate lungo le sponde.
Insomma, una leggenda simile ad altre sui tanti laghi e laghetti del Piemonte. Ma quell’estate del 1937, evidentemente, si andò oltre il semplice racconto popolare. I giovani ascoltarono per dieci minuti i rintocchi, poi il suono si affievolì e scomparve. Ancora sconvolti, tornarono a riva e corsero a svegliare un gran numero di persone. La gente si unì in capannelli, cominciò a discutere, mise in acqua le barche. Dopo mezz’ora, una decina di scafi, carichi di gente, solcavano il lago nella speranza di constatare di persona il misterioso fenomeno. La sorveglianza durò fino all’alba. Le campane sommerse non si fecero più sentire.
Gli abitanti di Viverone si divisero subito tra credenti e scettici: nel momento in cui il cronista scriveva il suo resoconto le discussioni erano ancora vivacissime. Spiegava il giornalista:
V’è chi crede alla realtà del fatto, mentre altri vuol dimostrare essere avvenuto un fenomeno di autosuggestione. I più sono con i primi. Essi credono veramente che le campane della città sommersa abbiano suonato. Per loro ci sono tante altre cose e avvenimenti ben più misteriosi nella vita e nella natura! A chi poi non credesse non rimane che da augurare di campare cent’anni ancora: l’incredulo potrà così verificare di persona il fenomeno. Costui segni due parole pro memoria sul suo taccuino: anno del Signore 2037, mi troverò sul lago di Viverone, la notte fra il 17 ed il 18, per sentire le campane sonare.
Ma non ci fu bisogno di aspettare così tanto. Le campane avrebbero suonato di nuovo nel 1942, in piena guerra. A raccontarci il fatto fu un altro giornale della zona, il Corriere Biellese, in un articolo uscito tre anni dopo il presunto episodio del 15 ottobre 1948. Nel raccontare la storia del lago e della Cooperativa pescatori, l’autore, G. Givone, menzionava di nuovo la storia della città sommersa:
Ha la sua storia geologica ed umana, il Lago di Viverone. Prima dei sommovimenti alluvionali morenici delle Prealpi, che formarono le colline della Serra, si presume fosse il letto del Dora Baltea. […] La sua storia umana è più leggenda che altro. Infatti si dice, e dai vecchi si insiste, che prima del fenomeno tellurico e alluvionale della Serra, vi fosse una fiorente città. Essendo ubicata fra la Via Lunga (Santhià) ed Eporedia, era un centro importantissimo per il transito ed il commercio dei prodotti. I popoli Cisalpini che scendevano dai passi dei S. Bernardi diretti alla pianura padana sostavano e scambiavano i loro prodotti in detta città. […]
Comunque la leggenda afferma che ogni 25 anni nella notte del plenilunio di agosto, si senta verso le ore notturne la campana suonare a raccolta delle anime in pena al Limbo. Noi però non l’abbiamo mai udita; ma vi sono vecchiette abitanti nei cascinali vicini al lago le quali giurano che nelle notti dal 10 al 25 agosto del 1942 le udirono benissimo, parevano singulti di persone doloranti. Anche uomini con tanto di barba affermano d’averle pur loro udite.
Perché un uomo con la barba dovesse essere un testimone più affidabile di una donna (o di un uomo senza…), non ci è del tutto chiare. Né è dato sapere se poi, quelle presunte campane, fossero state sentite davvero. Per come è narrato, sembra il ricordo di un evento lontano, perso nel tempo. Forse si trattò proprio del caso del 1937, confuso nella memoria. O forse di un fenomeno di suggestione o di una diceria di tipo apocalittico, tra le tante che circolavano in tempo di guerra.
Certo, quella volta la leggenda era un po’ diversa: la campana suonava nel plenilunio di agosto, quasi fosse un lupo mannaro. Per l’appuntamento del 2017 siamo ormai in ritardo, non resta che aspettare il 2042…
Ma qualcos’altro, forse, si può dire. La leggenda della città sommersa potrebbe avere un minimo di verità. Nel settembre 1965 un uomo si immerse nel lago per indagare l’origine di quelle dicerie: si chiamava Guido Giolitto, ed era un “artigiano di giocattoli”. Aveva sentito parlare anche lui dei segreti di Viverone ed era un appassionato di archeologia, anche se non aveva fatto studi formali.
La Stampa del 19 agosto 1982 riporta il suo racconto:
Ci sono favole, in questi luoghi, che narrano di campane che suonano e non si sa da dove vengano e di una croce che le correnti formano, in certi momenti, sulla superficie del lago… Si racconta di una città sommersa. Parlai con molte persone, con i pescatori della zona che mi dissero che in certi punti le reti s’impigliavano in qualcosa… Insomma, nel settembre ’65, mi calai in acqua, insieme con una mia nipotina che allora aveva tredici anni. Io ne avevo 47. Trovai i pali, trovai i primi cocci di ceramica… Il cuore mi batteva così forte… Se non mi è venuto un infarto in quell’occasione…
Giolitto comincia a dedicarcisi nel tempo libero: saltano fuori pezzi di vasellame, ossa di animali. La Soprintendenza comincia a interessarsene e lo incoraggia a proseguire. Dove i racconti parlavano di un bosco sommerso, ecco decine e decine di pali conficcati nella melma: non sono alberi, ma tracce di antiche palafitte.
Nel 1976 della questione comincia ad occuparsi Luigi Fozzati, padre dell’archeologia subacquea italiana, originario della vicina Ivrea e allora giovane archeologo laureatosi a Torino. Vengono catalogati i primi 2560 pali, ma non rimarranno il solo frutto della scoperta: cominciano a tornare alla luce manufatti in bronzo, ossa spezzate, vasellame, spade, spilloni e ornamenti femminili. Giolitto diventa ispettore onorario per l’archeologia subacquea del lago di Viverone. Il sito viene datato all’Età del bronzo, e più esattamente a un periodo che va dal 1650 al 1350 a.C. La scoperta permetterà di studiare in modo notevole la disposizione di un villaggio preistorico e l’individuazione di quella che oggi è definita, sotto il profilo scientifico, cultura di Viverone. Dal 2011 l’insediamento è incluso tra i siti palafitticoli preistorici delle Alpi ed è patrimonio tutelato dall’Unesco.
Non si trattava di una città sommersa da un improvviso cataclisma, non c’erano campanili o campane fantasma o processioni di morti. Qualcosa però c’era davvero. Ed è bello che sia tornato alla luce.