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Anticorpi monoclonali e nanocorpi: strategie efficaci contro la Covid-19?

L’autrice è virologa ed esperta di vaccini. Dopo oltre quarant’anni di lavoro come Primo Ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità è ora felicemente in pensione, ma continua ad occuparsi attivamente di argomenti scientifici.

Tra la grande quantità di farmaci e terapie proposti per la cura della COVID-19, la malattia provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, un posto di rilievo è occupato dagli anticorpi monoclonali, anticorpi specifici ed altamente purificati la cui somministrazione ha lo scopo di fornire, in maniera passiva e temporanea, l’immunità contro il virus.

Gli anticorpi monoclonali rappresentano idealmente una terapia molto interessante e promettente: vi sono anticorpi monoclonali in uso clinico da diversi anni per alcune malattie autoimmuni ed oncologiche, tuttavia il loro impiego contro le infezioni batteriche e virali è ancora agli inizi.

Naturalmente, con la comparsa della COVID-19 l’interesse per questa tecnologia è schizzato alle stelle, sia perché è stata fortemente sponsorizzata dall’ex presidente americano Trump, sia perché oggetto di forti spinte mediatiche da parte di alcuni scienziati, medici e commentatori social, alimentando così grandi aspettative, ma anche polemiche, disinformazione e teorie del complotto.

Di che cosa si tratta?

Ma cos’è e come funziona un anticorpo monoclonale?

Semplificando molto, un virus o batterio è formato da molteplici “sezioni” sulla sua superficie, dette antigeni, che vengono riconosciute dal nostro sistema immunitario e ne causano l’attivazione. Quando i linfociti B, che sono quelli che producono gli anticorpi, incontrano un microrganismo iniziano a proliferare e a sintetizzarli. Siccome ogni linfocita B riconosce uno dei diversi antigeni, nel sangue troveremo un insieme di anticorpi contro quel microrganismo – detti policlonali in quanto originati da tanti “cloni” di linfociti B diversi. Se, invece, isoliamo un singolo linfocita, che quindi produce anticorpi fra loro tutti uguali, e lo cloniamo in laboratorio, ecco che riusciamo a produrre degli anticorpi monoclonali, che si possono utilizzare per riconoscere e bloccare un antigene specifico.

Gli anticorpi monoclonali per il virus SARS-CoV-2 hanno tutti come bersaglio la proteina Spike, poiché è questa l’“arma” che il virus utilizza per legarsi al recettore presente sulla superficie delle cellule bersaglio, ossia la proteina ACE-2, e poi penetrare all’interno in seguito alla fusione dell’involucro virale con la membrana cellulare: gli anticorpi monoclonali bloccano la Spike impedendole di svolgere la sua funzione.

Impiego e risultati

Anche se sono allo studio numerosi monoclonali contro diverse porzioni antigeniche della Spike, finora solo due aziende, la Ely Lilly e la Regeneron, hanno ottenuto a fine novembre scorso l’autorizzazione per l’uso emergenziale dalla Food and Drug Administration americana (FDA). In Europa gli anticorpi monoclonali non hanno ancora ricevuto l’approvazione dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), mentre in Italia anticorpi prodotti dalle due ditte sono stati autorizzati in via temporanea (a febbraio 2021) per il trattamento della COVID-19 da lieve a moderata in pazienti ad alto rischio.

Nonostante le grandi aspettative i risultati pubblicati, seppur interessanti e promettenti da un punto di vista scientifico, non sono completamente soddisfacenti. Gli studi mostrano che nei pazienti ospedalizzati in fase avanzata di malattia la somministrazione di monoclonali non ha nessun effetto nel ridurre la mortalità e che rischia di peggiorare i sintomi (1-2). D’altra parte ciò non è inatteso, poiché le fasi precoci dell’infezione sono quelle direttamente dipendenti dalla replicazione virale, mentre la seconda fase, quella più pericolosa, caratterizzata da problemi respiratori, febbre molto alta e danni agli organi interni, è legata principalmente all’eccesso di risposta immunitaria e sembra essere indipendente dalla replicazione del virus.

Nei pazienti con COVID-19 da lieve a moderata gli anticorpi monoclonali diretti contro la proteina Spike hanno mostrato la capacità di alleviare i sintomi e limitare la progressione verso la malattia grave, in percentuali variabili tra i diversi anticorpi (2-5).

Tuttavia, per avere effetto questi anticorpi devono essere impiegati molto precocemente, idealmente entro le 48-72 ore dall’infezione e comunque non oltre i 10 giorni, e questo a volte può rappresentare un problema.

Ma il fattore limitante per il loro utilizzo è che devono essere somministrati endovena e che perciò possono essere usati solo in ospedale, anche perché dopo l’infusione il paziente deve rimanere in osservazione per almeno un’ora per avere la possibilità di intervenire contro un eventuale shock anafilattico o altri effetti indesiderati potenzialmente gravi. Inoltre, poiché si tratta di una persona infetta, nell’ospedale occorre creare percorsi appositi, bisogna sanificare dopo ogni trattamento, la sala di infusione è preclusa ad altri pazienti che potrebbero averne bisogno (per esempio malati oncologici che devono fare la chemioterapia) e ciò può creare ulteriori complicazioni agli ospedali già in affanno per la situazione pandemica.

In aggiunta, un altro problema non indifferente è legato al costo della terapia, che è piuttosto elevato, nell’ordine di circa 1000-2000 euro per dose. In sé non si tratta di una cifra enorme, ma bisogna considerare che stiamo parlando semplicemente di pazienti a rischio con COVID in fase iniziale, che non sappiamo se svilupperebbero realmente la malattia in forma grave in assenza di trattamento.

Insomma, gli anticorpi monoclonali attualmente disponibili rappresentano un importante progresso scientifico, ma per ora il loro impatto sulla clinica è limitato.

Come superare le attuali limitazioni di questa terapia? I nanocorpi

Per superare queste limitazioni è necessario cercare di produrre monoclonali più potenti, quindi somministrabili in dosi più basse e con costi minori, e attraverso vie alternative. A questo proposito una possibilità interessante è quella di somministrare i monoclonali per via intranasale utilizzando formulazioni spray. L’idea alla base è che l’apparato respiratorio, punto di ingresso del virus, rappresenti un bersaglio ottimale per prevenire l’infezione e la malattia. Per questo servono anticorpi molto piccoli e facili da produrre in quantità elevate e con una spesa contenuta.

E qui entrano in gioco i nanocorpi (nanobodies in inglese).

I nanocorpi sono anticorpi di minuscole dimensioni, 10 volte più piccoli di quelli umani, che si trovano nel sangue dei camelidi – a cui appartengono ad esempio i dromedari e i lama – e degli squali.

Gli anticorpi umani e quelli di quasi tutti i mammiferi sono composti da due catene proteiche pesanti e da due catene leggere, unite tra loro a formare una specie di Y. Sia le catene pesanti sia quelle leggere presentano una regione costante e una regione variabile diversa per ogni anticorpo. Le regioni variabili di una catena pesante e di una leggera formano il sito di legame per l’antigene, che può essere paragonato ad una chiave che riconosce specificamente la propria serratura. I camelidi producono, oltre agli anticorpi “normali”, anche delle immunoglobuline più piccole, con solo catene pesanti, più corte, la cui frazione variabile è chiamata VHH, o nanocorpo.

I nanocorpi potrebbero costituire una buona alternativa agli anticorpi monoclonali per l’immunizzazione passiva contro il virus SARS-CoV-2. Le loro piccole dimensioni e la struttura relativamente semplice li rendono molto più resistenti degli anticorpi di altri mammiferi in diverse condizioni ambientali e permettono di somministrarli per via inalatoria mediante aerosol (6).

Come per gli anticorpi monoclonali convenzionali, anche per i nanocorpi il bersaglio prescelto dai ricercatori è la proteina Spike.

La Spike può essere paragonata ad uno strumento retrattile o ad una molla, capace di passare da uno stato chiuso e inattivo a uno stato aperto e attivo. Semplificando, quando una Spike diventa attiva, la parte della proteina (porzione S1) che riconosce il recettore ACE2 presente sulle cellule umane può legarsi al recettore. Questo provoca il distacco della S1 e un cambiamento di conformazione di una seconda parte della Spike, chiamata S2, che così può indurre la fusione tra la membrana cellulare e l’involucro del virus, permettendo al virus di entrare nella cellula. Perché la penetrazione abbia successo è necessario che l’attivazione della S1 e la modifica della S2 avvengano contemporaneamente al contatto con il recettore ACE2 e non prima.

Sono allo studio diversi nanocorpi, alcuni che impediscono l’interazione Spike-ACE2, agendo come un cappuccio e quindi mascherando la parte che riconosce il recettore cellulare, e altri che bloccano la Spike mantenendola nel suo stato chiuso e inattivo (7-8).

Una ricerca molto interessante ha mostrato che l’azione risulta potenziata se si utilizzano due nanocorpi che riconoscono due porzioni antigeniche differenti della Spike, legati tra loro con una sorta di “braccio” flessibile, detti biparatopici. L’attacco dei due nanocorpi in due punti differenti della Spike ne distorce la conformazione e la fa passare alla forma attivata, con il distacco della S1, prima che sia arrivata a contatto con il recettore cellulare. Il risultato è quello di impedire l’infezione perché il sistema si attiva lontano dalla cellula (9).

Un problema che si verifica durante le infezioni prolungate e che può avvenire anche durante il trattamento con anticorpi monoclonali, è la comparsa di varianti virali che possono sfuggire al riconoscimento da parte degli anticorpi e quindi alla neutralizzazione.

Un risultato promettente sembra venire da uno studio pubblicato recentemente su Nature in cui è descritta la produzione di un monoclonale bispecifico, CoV-X2, costituito da due anticorpi monoclonali di origine umana uniti in una singola molecola che riconoscono contemporaneamente due diversi antigeni del virus. Questo anticorpo ha mostrato di essere più efficace degli anticorpi monoclonali singoli, anche se somministrati in combinazione, e di essere in grado di legarsi alla regione della Spike che riconosce il recettore cellulare ACE2 neutralizzando il SARS-CoV-2 “originario” e le sue varianti inglese, sudafricana e brasiliana, sia in vitro, sia in test nel topo (10).

Un approccio simile sembra funzionare anche con i nanocorpi. È stato infatti osservato che le combinazioni di nanocorpi che prendono di mira epitopi distinti, i nanocorpi biparatopici, impediscono la comparsa di questi mutanti. Gli esperimenti dimostrano che il blocco simultaneo di due epitopi della proteina Spike ostacola notevolmente o impedisce del tutto l’emergere di varianti (9). Questi risultati sono molto interessanti, tuttavia sono stati ottenuti solo in vitro, perciò non sappiamo ancora se i nanocorpi potranno essere effettivamente efficaci nell’uso umano.

In ogni caso, non credo che in futuro gireremo tutti con uno spray anti-COVID in tasca, perché questo tipo di farmaci è molto potente e va sempre somministrato sotto sorveglianza medica.

Bibliografia

    1. Activ-Tico Ly-CoV555 Study Group, Lundgren JD, Grund B, et al. A neutralizing monoclonal antibody for hospitalized patients with COVID-19. N Engl J Med 2020; 384(10): 905-914. 
    2. Cohen MS. Monoclonal antibodies to disrupt progression of early COVID-19 infection. N Engl J Med 2021; 384: 289-291
    3. Weinreich DM, Sivapalasingam S, Norton T, et al. REGN-COV2, a neutralizing antibody cocktail, in outpatients with COVID-19. N Engl J Med 2021; 384:238-251
    4. Chen P, Nirula A, Heller B, Gottlieb RL, Boscia J et al. SARS-CoV-2 neutralizing antibody LY-CoV555 in outpatients with COVID-19. N Engl J Med 2021; 384: 229-237.
    5. Gottlieb RL, Nirula A, Chen P, Boscia J, Heller B, Morris J, et al. Effect of Bamlanivimab as monotherapy or in combination with Etesevimab on viral load in patients with mild to moderate COVID-19: A Randomized Clinical Trial. JAMA 2021; 325: 632-644.
    6. Zare H, Aghamollaei H, Hosseindokht M, Heiat M, Razei A, Bakherad H. Nanobodies, the potent agents to detect and treat the Coronavirus infections: A systematic review. Mol Cell Probe 2021; 55: 101692.
    7. Xiang Y, Nambulli S, Xiao Z, Liu H, Sang Z, Duprex WP, Schneidman-Duhovny D, Zhang C, Shi Y. Versatile and multivalent nanobodies efficiently neutralize SARS-CoV-2. Science 2020; 370 (6523):1479-1484.
    8. Schoof M, Faust B, Saunders RA, Sangwan S, et al. An ultra-potent synthetic nanobody neutralizes SARS-CoV-2 by locking Spike into an inactive conformation. Science 2020; 370 (6523): 1473-1479.
    9. Koenig PA, Das H, Liu H, Kümmerer BM, Gohr FN, et al. Structure-guided multivalent nanobodies block SARS-CoV-2 infection and suppress mutational escape. Science 2021; 371(6530): eabe6230.
    10. De Gasparo R, Pedotti M, Simonelli L, Nickl P et al. Bispecific IgG neutralizes SARS-CoV-2 variants and prevents escape in mice. Nature 2021; https://doi.org/10.1038/s41586-021-03461-y.
  1. Immagine in evidenza: coltivazione di anticorpi monoclonali in laboratorio. Foto di Linda Bartlett, pubblico dominio via Wikimedia Commons.

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