Antologia dell'inconsueto

Vedo sur fante un certo nun so che…: Trilussa e la “sibilla” romana

Il testo di cui ci occupiamo oggi e che cercheremo di introdurre e presentare, è un sonetto del celebre poeta dialettale romano Carlo Alberto Salustri, celebre come Trilussa, anagramma di Salustri.

Uno sguardo all’autore. Nacque a Roma il 26 ottobre 1871 e abitò tra via Ripetta, via del Babuino (con una sola “b”, in questo caso), piazza di Pietra (vicinissima a via del Corso) e Palazzo Corrodi, un grande edificio di inizio Novecento nel rione Campo Marzio. Uno degli appartamenti dell’immobile fu preso in affitto da Trilussa che vi abitò (insieme alla sua fedele domestica, Rosa Tomei) fino alla morte, avvenuta il 21 dicembre 1950. Il primo dicembre di quell’anno era stato nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

Trilussa collaborò con alcune riviste, sia a livello giornalistico (con la pubblicazione di articoli di satira politica e di cronaca urbana) sia come scrittore di versi in vernacolo romano. Tra queste riviste, Rugantino, Il Ficcanaso, Almanacco popolare, Il Cicerone, La frusta e il più noto quotidiano nazionale Don Chisciotte, che successivamente cambiò nome in Il Don Chisciotte di Roma.

Nel frattempo Trilussa prende a declamare i suoi versi in pubblico, frequentando teatri, circoli culturali, salotti aristocratici e caffè concerto, meglio noti al tempo come cafè chantant (sorti soprattutto a Parigi nel XVIII secolo e poi diffusi anche fuori dalla Francia), dove il pubblico consumava da bere e assisteva a spettacoli come balletti, giochi di prestigio, canzonette, operette varie e – appunto – recitazione di poesie. E fu proprio in occasione di questi spettacoli che il poeta ebbe modo di conoscere il  trasformista romano Leopoldo Fregoli con il quale condivise una sorta di tournée artistica a Berlino.

In quegli anni il pubblico era incuriosito e affascinato dai giochi di prestigio, soprattutto da quelli fatti con le carte, e anche dalla cartomanzia, senza ancora distinguerla bene dalla cartomagia come branca della prestigiazione. Nel sonetto in romanesco dal titolo L’indovina de le carte, il poeta racconta proprio di un avventore che paga una cartomante la quale, come da manuale, affronta le tematiche universali quali lavoro e amore per poi essere screditata e sbugiardata proprio appena terminato di snocciolare le sue visioni “paranormali”. Per quanto riguarda la situazione attuale sul mestiere di cartomante in Italia vigono ancora gli antichi articoli 121 e 231 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza , che lo definiscono mestiere di ciarlatano .

Nel sonetto trilussiano (i Sonetti furono pubblicati per la prima volta da Mondadori nel 1922) il cliente si reca, dunque, dalla sedicente cartomante che chiede cinque lire per la sua performance, e dopo aver fatto acqua da tutte le parti – visto che l’avventore risulta molto poco incline ad assecondare le suggestioni della sibilla – vede «sur fante un certo nun so che» e il cliente concorda sul fatto che si tratta proprio delle «cinque lire che t’ho dato a te». Ma a questo punto è meglio ascoltare direttamente la recitazione audio del testo.

Immagine in evidenza: Flanker, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *