Giandujotto scettico

Il meraviglioso Proton

Giandujotto scettico n° 91 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo 

Se sfogliate le pubblicità degli anni ‘20 che costellavano all’epoca le ultime pagine dei giornali, un nome ricorrente salterà all’occhio: Proton. Si trattava di uno sciroppo ricostituente per bambini e adulti, che fu prodotto in Piemonte tra il 1909 e il 1965. Ma la sua fama superò ben presto i confini della nostra regione, arrivando in tutta Italia e poi all’estero. 

Sui mercatini dell’usato si possono a volte ancora trovare le inconfondibili bottigliette marroni con l’etichetta blu, o con il nome del prodotto impresso a caldo sul vetro. Su internet, qualcuno se le ricorda ancora: 

[…] Il ricostituente Proton, lo davano sempre a mia sorella Laura con sua grande gioia perché pare che fosse buonissimo.

[…] Quanto me ne ha fatto bere la mia povera mamma!!!

[…] Quanto ne ho preso!!! Me lo dava la nonna prima di andare a scuola… Era buono, mi ricordo!

È il sapore, quello che sembra essere rimasto di più nella memoria di chi l’ha provato. Il suo gusto dolce piaceva ai bambini, sicuramente più di un altro ricostituente che all’epoca era un must: l’olio di fegato di merluzzo. Quanto al Proton, se ne consigliavano “tre cucchiai di somministrazione al dì”, e serviva a diventare più forti, più sani, aumentare le energie e molto altro. Era “indicato negli stati di anemia e deperimento organico”, “indispensabile ai deboli ed ai nervosi”. Ma soprattutto, garantiva la réclame:

Proton utile in tutte le stagioni, necessario in primavera.

Nella seconda metà dell’Ottocento, il mondo aveva visto nascere la moda delle patent medicines, farmaci brevettati che garantivano la guarigione da qualsiasi malattia: un fenomeno che continuò su larga scala fino al Novecento, trainato dalla pubblicità. I produttori di questi rimedi – a volte al limite della ciarlataneria – avevano scoperto che quotidiani e settimanali erano uno straordinario mezzo per far conoscere i loro prodotti; e così, le ultime pagine dei giornali si erano riempite dei loro annunci. C’era il Tot per digerire e la Pillole Pink per “rinnovare il sangue”; i fagioli biliari per i problemi di fegato e lo sciroppo Arnaldi per far passare l’asma.

Persino alcuni prodotti, venduti ai nostri giorni come normali alimenti, (pensate alla Coca Cola, all’olio Sasso o al chewing-gum) vennero inizialmente proposti come nuovi ritrovati per la salute. Se oggi ci stupiamo che la pubblicità esalti i micronutrienti di un tal alimento o che su una confezione di patate compaiano indicazioni nutrizional-sanitarie, sappiatelo: non hanno inventato nulla di nuovo. Era tutto già lì, sui giornali di fine Ottocento e inizio Novecento. 

Non fraintendeteci: in certi casi, i prodotti proposti avevano anche un vago razionale; ma le pubblicità ampliavano a dismisura le loro possibilità, trasformandoli in farmaci indispensabili e dal potenziale miracoloso. Anche il Proton era così: un rimedio meraviglioso che prometteva salute e floridezza, in un’epoca in cui la prospettiva dello “star bene” era già all’orizzonte, ma non ancora alla portata di tutti. 

Ma cosa c’era, nel meraviglioso preparato? Potassio, iodio, fosforo e ferro, il tutto condito con olio essenziale di mandarino, che gli conferiva il caratteristico aroma. Come conservante si usava lo zucchero, e questo gli dava quel sapore dolce che piaceva ai bambini. Forse a qualcuno sarà pur tornato utile, come integratore: il ferro, in tempi in cui il consumo di carne era minore di adesso, poteva aiutare chi soffriva di anemia; e di mancanza di iodio, in Piemonte, soffrivano ancora in molti. Ma è probabile che il grosso degli acquirenti ricavasse ben pochi benefici da quella cura autoprescritta.

C’era comunque, diffusissima, l’idea che l’inverno fosse un periodo debilitante, e che con la primavera occorresse rinforzarsi. E allora, si somministrava ai bambini quel magico ricostituente, insieme all’olio di fegato di merluzzo, allo sciroppo Hepatos o alle innumerevoli pillole che il mercato del tempo offriva.

Camillo Rocchietta iniziò a produrre il Proton, per quanto ne sappiamo, almeno a partire dall’autunno del 1909 (fino ad ora, tutte le fonti parlavano del 1910 o nel 1911, ma ne troviamo traccia pubblicitaria già su Il Biellese del 31 dicembre 1909: a fine anno, in quella città, era già in vendita). Il suo nome significava “primo”, in greco. Lo stabilimento, nuovo di zecca, ebbe sede in via Martiri del XXI, a Pinerolo. Spediva i suoi prodotti in tutte le farmacie italiane, su grandi camion che recavano scritto sul lato: “Proton – Si prende a cucchiaini, si spedisce a vagonate”.

Ma chi era, dunque, il nostro inventore? Era nato a Sampeyre, capoluogo naturale della Val Varaita (Cuneo) nel 1884. Era figlio d’arte, Camillo Rocchietta: il padre era farmacista. Lui, primo di cinque figli, decise di seguire le orme del genitore frequentando prima il Collegio a Saluzzo e poi la facoltà di farmacia a Torino. Dopo alcuni anni in giro per il Piemonte, nel 1908 acquistò la farmacia Allemandi di via del Duomo 8, nel centro storico di Pinerolo, dove si stabilì. Da qui inizierà il suo successo imprenditoriale, e la vendita del suo ritrovato.

Nel marzo 2020 Alessandra Maritano, presidente del Centro Arti e Tradizioni Popolari del Pinerolese e del Musep, gli ha dedicato un articolo sul trimestrale Passaggi e Sconfini (Réclame ricostituente). Venne scritto in occasione di una mostra organizzata proprio a Pinerolo: Il Proton. Camillo Rocchietta. Industria e pubblicità – Pinerolo nel mondo. In quell’occasione furono esposti al pubblico manifesti, calendari, flaconcini e testimonianze. 

Altre informazioni sono disponibili sul sito della nipote di Camillo Rocchietta, Maristella. Qui, si può leggere un interessante ritratto pubblicato dal giornalista Luigi Timbaldi. 

I Pinerolesi sorridevano, toccandosi la testa, quando vedevano la pubblicità del Proton sui giornali. “A l’è mat”, dicevano. Invece era ben sano e quadrato. Un giorno gli chiesi quanto gli rendesse il Proton. “Per ora nulla”, mi disse. “Tutto il guadagno lo profondo nella pubblicità. La réclame è l’anima del commercio”.

In effetti, la chiave del successo del Proton era proprio quella. Parte della comunicazione era “di settore”: le bottigliette di Proton che arrivavano nelle farmacie di tutta Italia furono a lungo accompagnate da un opuscolo intitolato “La cura della debolezza generale”.

Ma Rocchietta capì ben presto che per vendere il suo prodotto doveva rivolgersi al grande pubblico. Cominciò così con i settimanali locali: La lanterna Pinerolese e L’Eco del Chisone. Il suo sistema preferito era quello delle lettere-testimonianza: distinti signori e signore, medici e farmacisti scrivevano riconoscenti al dottor Rocchietta, raccontando i miglioramenti della loro salute ed esaltando le virtù del Proton, il cui prezzo al flacone era, nella fase iniziale, di 1 lira e 75 centesimi. I settimanali locali però non bastavano a un prodotto con ambizioni nazionali. Rocchietta sfruttò su larga scala una forma di intrattenimento popolarissima a inizio Novecento: i settimanali illustrati come La Domenica del Corriere o La Tribuna illustrata, fino alla più ricercata Illustrazione italiana.

Legati spesso ai quotidiani tradizionali, questi inserti colorati uscivano in genere la domenica, con storie alla portata di tutta la famiglia e della nascente classe lavoratrice alfabetizzata. E qui, accanto alle illustrazioni delle notizie di cronaca, i lettori trovavano anche le pubblicità del Proton: donne bellissime e sensuali, ragazzi giovani e sorridenti, famiglie felici che oggi chiameremmo “da Mulino Bianco”. Tutto lo stile di comunicazione era basato sul binomio bellezza = salute. Alle réclame nei giornali, Rocchietta affiancò i poster e il merchandising: i calendari del Proton erano in stile liberty, floreale, di aspetto elegante. Non per nulla, Rocchietta cominciò a ingaggiare illustratori e pittori celebri: personaggi del calibro di Luigi Bompard, Marcello Dudovich, Leopoldo Metlicovitz, Oreste Pizio, fino a Giovanni Battista Carpanetto e a un ritrattista dallo stile pompier come Giacomo Grosso

Il successo lo premiò: al culmine della sua popolarità, il Proton era esportato in 52 Paesi, e l’industria giunse a occupare un centinaio di persone, tra cui molte donne. 

Nel 1965 Camillo Rocchietta morì, e questa fu anche la fine del suo sciroppo ricostituente: Sergio, unico figlio, decise di non portare avanti l’azienda di famiglia. Ma non fu certo la fine della leggenda del Proton, e dei ricordi tutto sommato piacevoli che ancora suscita. 

Ancora nel 2015, un noto politico paragonava la spending review alla cura Proton, “un parafarmaco per persone sane”. Il mito sopravvive, anche ora che le bottiglie non escono più dalla fabbrica di Pinerolo. 

Immagine in evidenza: di FotoArt-Treu, da Pixabay