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Come si data un sito archeologico? Novità dalla maestosa Piana delle Giare

La Piana delle Giare, luogo iscritto nella World Heritage List dell’UNESCO dal 2019, è un sito fortemente suggestivo che comprende una vasta area della provincia laotiana dello Xieng Khuang. Il nome è dovuto alla presenza di più di 2100 pietre, scolpite a forma di contenitori cilindrici, che spuntano dal terreno da sole o a gruppi di centinaia.

Il fascino di questo sito è aumentato dalla difficoltà, che del resto presentano tutti i siti megalitici, di essere datati con certezza, o di riuscire a identificarne una funzione precisa che non sia genericamente quella “rituale”. Questo accade perché la roccia, se non ha vicino altri elementi di contesto che possano fornirci maggiori informazioni, non può darci chiarimenti maggiori. L’avanzamento tecnologico delle tecniche d’analisi, assai marcato soprattutto negli ultimi anni, oggi tuttavia permette agli studiosi di scoprire informazioni che erano fino a ieri inaccessibili.

È quello che è successo anche per la piana delle Giare, grazie al team di studiosi dell’Australian National University che dal 2016 hanno avviato un progetto di ricerca sistematico nella regione. Il loro lavoro ha portato presto a risultati di rilievo, tanto che negli ultimi giorni i quotidiani hanno riportato una notizia sorprendente: grazie agli innovativi metodi di datazione utilizzati, gli scienziati sarebbero riusciti a collocare nel tempo le giare di pietra, e queste sarebbero molto più antiche di quanto si pensava. I titoli sensazionalistici, come spesso accade, nascondono però una storia ben più complessa e sfaccettata che vale la pena di analizzare in dettaglio per capire meglio metodi e ragionamenti insiti nella ricerca. 

L’articolo scientifico originale che ha presentato i risultati è stato pubblicato sulla rivista PLOS One con il titolo: Dating the megalithic culture of Laos: Radiocarbon, optically stimulated luminescence and U/Pb zircon results (“Datare la cultura megalitica del Laos: i risultati di radiocarbonio, luminescenza ottica simulata e Zircone U/Pb”). Per capire le scoperte recenti, però, bisogna prima fare un po’ di luce sulla storia delle ricerche fatte nel sito.

Le giare furono portate all’attenzione del mondo occidentale la prima volta tra Ottocento e Novecento dall’archeologa francese Madeleine Colani, dell’École française d’Extrême-Orient. La studiosa diede al sito un carattere funerario, data la presenza di resti umani all’interno delle giare e lo datò all’Età del Ferro del Sudest Asiatico (cioè, tra il 500 a.C. e il 500 d.C.) grazie ai confronti con il vasellame e gli altri oggetti ritrovati nel sito. A partire dal 2016, il team di ricerca dell’ Australian National University ha condotto la propria ricerca sistematica, individuando undici nuovi siti, entrati a far parte del patrimonio UNESCO. In tre di questi siti si è concentrata l’indagine archeologica e le successive datazioni.

Il “sito 1” era quello già indagato da Colani. Le indagini moderne hanno confermato la presenza di sepolture, distinguendo tre tipologie diverse: deposizione primaria – con il corpo del defunto sepolto intatto dopo la morte – e due tipi di deposizione secondaria: ossa scarnificate deposte dentro contenitori ceramici, e ammassi di materiali scheletrici interrati. Stando agli esiti della ricerca, queste caratteristiche potrebbero indicare diverse pratiche di riutilizzo del sito durante un lungo arco di tempo, ma per ora i dati sono troppo scarsi per una risposta definitiva. 

Insieme a materiale ceramico e altri oggetti, gli archeologi hanno rinvenuto anche tracce di pavimentazioni in scaglie di arenaria e massi e stele sepolte, forse utilizzati come segnacoli per le sepolture. Il confronto di un frammento di una giara spezzata con una scheggia proveniente dal “sito 21”, dove sono presenti tracce di recipienti spaccati o semilavorati, ha permesso di identificarlo come la cava dalla quale sono state tratte  e poi lavorate le pietre del “sito 1”. Gli altri due siti, identificati con i numeri 2 e 52, non presentano resti ossei. Hanno restituito invece materiali confrontabili con quelli dei sito 1 per tipologia e datazione.

Veniamo  alle analisi più recenti, volte non solo a capire quando le giare sono state realizzate, ma anche quando sono state posizionate nella posizione attuale, il loro rapporto con i resti umani trovati nello stesso contesto e le cave di pertinenza.     

Le analisi al radiocarbonio effettuate per il “sito 1”, l’unico – lo ricordiamo – nel quale sono stati ritrovati materiali organici, indicano una datazione che va dal 8210-7794 a.C. al 1168-1264 d.C. L’ampia incertezza cronologica è dovuta alla presenza di campioni prelevati non solo dai resti ossei, ma anche da frammenti di carbone trovati nel terreno sotto le giare. La maggioranza dei campioni appartiene comunque a un periodo compreso tra la fine del IX e il XIII sec. d.C. Anche se rimane ancora sconosciuto il modo in cui le attività di sepoltura si relazionano alla presenza delle giare, la datazione di un campione di carbone rinvenuto nel terreno sottostante ad una giara del “sito 1”, ha restituito una datazione tra il 1168 e il 1264 d.C., che così è diventato un cosiddetto terminus post quem per la deposizione di almeno quel contenitore. Si è anche potuto appurare che la pietra è stata modellata con strumenti di ferro, non presenti in questa parte dell’Asia prima del II millennio a.C.

Infine, la geocronologia basata sugli zirconi ha permesso di identificare con maggiore certezza il “sito 21” come cava pertinente al “sito 1”, ma probabilmente anche ai siti 2 e 52, vista la similarità del materiale.

Insomma, per gli studiosi la ricerca ha permesso di collegare, grazie allo scavo archeologico, le pratiche funerarie alle giare e agli altri manufatti di pietra presenti sul territorio, individuando diverse pratiche funerarie nel “sito 1”. Grazie allo studio dei manufatti è stato possibile anche confermare la probabile contemporaneità dei tre siti, omogenei nei ritrovamenti, nei materiali e nelle tecniche utilizzate. Il materiale scheletrico è stato datato, con il radiocarbonio, tra il 73-944 d.C. arrivando fino al 1043-1210 d.C. Per quanto riguarda le giare, nonostante la difficoltà di datazione dovuta al materiale con il quale sono realizzate, combinando i dati provenienti dai campioni di carbone ritrovati in associazione con i recipienti e il metodo OSL, o luminescenza otticamente stimolata, i ricercatori ipotizzano che siano state collocate nella loro posizione attuale potenzialmente a partire dal II millennio a.C.  Forse la pratica continuò fino al XII-XIII sec. d.C. I dati comunque suggeriscono che il posizionamento delle giare litiche fu precedente alle pratiche funerarie, che rappresenterebbero una fase di riutilizzo delle strutture preesistenti.

Per quanto riguarda la funzione originaria delle giare, il metodo di trasporto dalla cava e il loro preciso rapporto con le pratiche funerarie, per ora i ricercatori non possono dire di più. Come spesso accade, rimangono domande aperte che ulteriori ritrovamenti e studi effettuati con tecniche sempre più precise potranno contribuire a definire.

Immagine in evidenza da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 3.0

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