Gli artigli del diavolo
di Andrea Berti
Era il primo dicembre del 2020 e la ragazza che ci ha riferito l’episodio che stiamo per descrivere si trovava in compagnia di un parente presso il monastero di Subiaco, poco lontano da Roma.
La giornata era piuttosto fredda, umida, ma la leggera foschia rendeva il tutto ancor più affascinante. La giovane si era appena fatta scattare un paio di fotografie quando è accaduto qualcosa di assolutamente imprevisto, qualcosa che avrebbe potuto rovinare la pace e la serenità provate nel visitare luoghi come quello.
Veniamo ai fatti. In una delle due immagini – esattamente quella scattata alle h10:58 e 39 secondi – accanto al volto della ragazza sembrano esserci alcune strane protuberanze (guardate la foto in evidenza e il dettaglio qui accanto): è come se da dietro la testa della donna spuntassero delle zampe di un artropode marino o – se preferite – gli artigli di un demone.
La seconda foto è stata scattata sei secondi dopo e ritrae la ragazza sempre più o meno nella stessa posa; questa volta, però, non vi è traccia della “presenza” misteriosa. Ovviamente, né la donna né il parente intento a fotografare la scena si erano accorti di nulla se non dopo aver rivisto le immagini sullo schermo del loro smartphone.
Quando capitano cose di questo tipo è più che giustificato provare un brivido lungo la schiena. Si ha la naturale tendenza a “sentirsi braccati” da qualche strana e spaventosa creatura. Una cosa che ti fa venire voglia di girarti per controllare di non avere niente (o nessuno) alle spalle. Emergono tutte le paure più nascoste, con il pericolo – se non si mette un freno a pensieri irrazionali di quel genere – di autoalimentare ancor di più le proprie convinzioni: ogni scricchiolio, ogni ombra, potrebbero essere interpretate come la conferma che davvero qualcuno (o qualcosa) voglia tormentarvi l’esistenza.
Non è un bel vivere! Come uscirne? È possibile dare una spiegazione razionale per il fenomeno in foto? C’era davvero qualcosa dietro al volto della ragazza? Sembrerebbe altamente improbabile non essersi resi conto di nulla: il parente la stava osservando e, ancor di più, la donna avrebbe dovuto accorgersi di avere qualcosa di anomalo a pochi centimetri dal volto… a meno che non si fosse trattato di qualcosa in fondo non così “anomalo”.
Certo, nel guardare la foto molti concorderanno sull’ipotesi “artigli” (granchio, diavolo… fate voi!); ingrandendo un po’ l’immagine, però, si inizia a vedere qualcosa di diverso: non sono artigli, sono dita di una normale, umanissima mano sinistra. Si vedono bene il pollice, con l’unghia rivolta verso la guancia della ragazza, l’indice ma anche le altre.
Ok, ma, se si tratta di una mano di una persona, di chi era? E come aveva fatto la ragazza a non accorgersene?
Semplice: la mano era la sua! A questo punto qualcuno obietterà, comprensibilmente: “Quella mano non può essere della ragazza, perché nella foto le tiene entrambe ben in vista sulla balaustra della balconata, lontane dal volto”.
E è qui entra in gioco il fattore che troppo sovente viene dimenticato: le fotografie possono presentare inganni ogni tipo. Spesso, ciò che vediamo con gli occhi non combacia alla perfezione con ciò che cattura l’obiettivo del nostro dispositivo fotografico.
La soluzione, in accordo con il principio di parsimonia, è abbastanza semplice: sul telefono utilizzato era in funzione – con buona probabilità – una qualche particolare modalità di scatto come la funzione “panoramica” oppure la High Dynamic Range (HDR): in poche parole, il cellulare cattura diverse immagini in rapida successione, poi il software va a ricombinare il tutto in un’unica immagine finale. Nel caso della “panoramica”, si otterrà una foto che mostra un ampio angolo visivo; nel caso della funzione HDR, si otterrà una immagine dai dettagli più nitidi rispetto ai singoli scatti.
Queste funzioni hanno però uno svantaggio: se si riprendono soggetti in movimento anche lieve è piuttosto comune ottenere immagini finali a dir poco curiose (una stessa persona potrebbe essere presente in più punti differenti dell’inquadratura, auto mozzate a metà che viaggiano senza problemi, persone “decapitate” che camminano per strada, ecc.).
Torniamo ora al nostro caso. È molto probabile che proprio nel momento dell’elaborazione delle immagini da parte del telefono, la ragazza abbia mosso il braccio sinistro, quasi di certo per sistemarsi i capelli o la giacca: un gesto del tutto normale nel momento di mettersi in posa, un automatismo che, ovviamente, non verrà facilmente ricordato in seguito. Nell’elaborare l’immagine finale, il software del telefono ha compiuto aggiustamenti che, purtroppo, hanno creato quell’artefatto ad uno sguardo superficiale così “spaventoso”.
Peccato, gli artigli del diavolo li dovremo cercare da qualche altra parte.
Ringraziamo la nostra giovane amica per aver condiviso con noi questa sua esperienza e speriamo di aver contribuito almeno un pochino a tranquillizzarla.
L’ artefatto non mi sembra dell’ HDR ma del normale software, che ha fatto confusione tra il collo del cappuccio, scambiato per un artiglio, e la nebbia riflettente colori giallo verdi attorno a una pelle umana. Non capisco poi perché sembrerebbe una mano sinistra. A me, al massimo, sembrerebbe una destra con attaccato un orecchio.
In ogni caso sono d’ accordo che non sia stato un Demone: se avesse voluto ossessionare la nostra amica avrebbe continuato, anche altrove, anche a casa. Se fosse legato al luogo, dove ancora c’ è la presenza di S. Benedetto e della sorella Scolastica, ci sarebbero a Subiaco altri eventi straordinari. La singolarità fa propendere anche i più credenzoni per l’ artefatto.
In effetti per aggiungere mordente all’antefatto si potrebbe aggiungere che in quel monastero è presente la sola rappresentazione pittografica del Diavolo visibile in un luogo consacrato.
Non la sola, in molti luoghi consacrati sono presenti immagini di demoni e affini, non é poi una rarità.