Giandujotto scettico

Gli spiriti lanciasassi di via Caraglio a Torino

Giandujotto scettico n° 98 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo 

Ecco un’altra storia di spiriti, ancora una volta nel centro di Torino. Siamo abituati a pensare ai fantasmi come a creature che infestano soffitte e abitazioni private; un po’ più curioso è, per noi, pensarli in un negozio. Eppure, succedeva, e nemmeno troppo di rado: ne sono un esempio la sartoria “infestata” di piazza Statuto (1902) e il celebre caso dello spaccio liquori di via Bava (1900). Un caso, quest’ultimo, a cui si interessò anche Cesare Lombroso.

Altri fenomeni simili, tuttavia, sono oggi dimenticati. Oggi vi racconteremo uno di questi episodi che nessuno conosce, cioè quello del misterioso “lanciatore di sassi” che, nell’agosto 1940, mise in allarme per un po’ un caseggiato in via Caraglio.

Il 10 giugno l’Italia era entrata nella Seconda Guerra Mondiale, e con la guerra erano arrivati anche i bombardamenti su Torino. Il primo, nella notte tra l’11 e il 12 giugno 1940, aveva provocato 17 morti; altre incursioni sarebbero avvenute il 14 e 27 agosto, ma senza alcuna vittima. Gli ordigni utilizzati dagli inglesi erano ancora di piccolo calibro, e i raid sporadici; la vera tragedia, per la città, arriverà nel 1942.

Dunque, non erano ancora quelli i “lanci” che preoccupavano il caseggiato di via Caraglio 60: erano le meno terrificanti sassaiole. In quell’edificio aveva sede una grossa panetteria, con annesso un deposito per le farine. Lì, sul magazzino e sul cortile interno, da alcuni giorni continuavano a piovere pietre. Spiegava Stampa Sera il 9-10 agosto:

In via Caraglio 60 […] da martedì scorso è una grandinata quasi continua di sassi, di cui si ignorano la provenienza e la mano che li lancia. Purtroppo però il proprietario del panificio ne ha già constatato le conseguenze: alcuni vetri rotti.

Il giorno prima, tra le otto e le nove, erano cadute cinque pietre ed erano stati rotti due vetri. Nel pomeriggio, la grandinata era proseguita, e così pure alla sera. Quella mattina erano già cadute due pietre, una delle quali – della grandezza di una nespola – era rotolata proprio di fronte al giornalista.

Il titolare della panetteria, Domenico Bistoni, spiegava a Stampa Sera di aver predisposto una “sorveglianza accuratissima”, ma fino a quel momento non era venuto a capo di nulla. Dopo i primi lanci aveva portato alcuni dei sassi ai “camerati del vicino Gruppo rionale Amos Maramotti”. Si trattava di sedi locali del partito unico che svolgevano mansioni di assistenza, di controllo politico e di propaganda, ma a essi toccava anche il compito di svolgere servizio d’ordine e piccoli interventi di polizia nei rioni di loro pertinenza. Quello intitolato a Amos Maramotti (un giovane squadrista morto nel 1921 durante l’assalto alla Camera del lavoro di Torino) aveva sede in corso Peschiera 230; l’edificio, costruito in stile razionalista, è attualmente adibito a istituto scolastico (più esattamente, all’ISS Santorre di Santarosa).

Dunque, il panettiere aveva portato i “corpi del reato” al Gruppo rionale, e quelli avevano mandato i loro uomini a sorvegliare la zona. Erano diretti dall’ingegner Mario Fossati, che la sera precedente all’arrivo del cronista aveva trascorso alcune ore a perlustrare la zona; con lui, c’erano “una sessantina di fascisti e militi”. Tutta la zona era stata circondata, ma senza alcun risultato. All’epoca, comunque, vigeva l’oscuramento: difficilmente i “cento, mille occhi” che scrutavano la zona (così li aveva definiti Stampa Sera, che calcava un po’ la mano sul tempestivo intervento del gruppo Maramotti) avrebbero potuto vedere molto in quel buio…

Quello che stupiva Bistoni era soprattutto la diversità dei proiettili: alcuni più grandi, altri più piccoli; alcuni scagliati con violenza, altri che sembravano cadere dall’altezza massima di un metro; tra loro, c’era addirittura un isolatore di porcellana bianca… Il tutto secondo traiettorie difficili da ricostruire. E poi, c’era il fatto che quei sassi non piovevano solo di notte, ma anche di giorno.

Gli abitanti del quartiere, ovviamente, avevano subito dato la colpa agli spiriti. Chi altri poteva far piovere quelle pietre, che sembravano spuntare dal nulla? Ovviamente – e nonostante il buio imposto contro i bombardamenti aerei – i curiosi si radunavano sul posto per assistere allo spettacolo. Raccontava ancora Stampa Sera:

Non parliamo poi della popolazione del rione che la sera si raccoglie attorno alla casetta, non per vedere – perché l’oscurità non lo permette – ma per sentire la straordinaria grandinata. Se il fatto, come si è detto, accadesse solo di notte si potrebbe dubitare di uno scherzo di cattivo gusto, ma di giorno, quando tutti vedono e possono sorvegliare attentamente, questa ipotesi incomincia a tentennare.

I più sereni, insomma, erano i bambini del circondario: capitanati dalla figlia seienne dei proprietari, si divertivano un mondo a raccogliere i sassi e a collezionarli.

Forse una piccola digressione tornerà utile. Il lancio di pietre non è un’occupazione che noi di consueto associamo ai fantasmi. Eppure, un tempo era comunissimo. Sulle cronache dei giornali, tra Ottocento e Novecento, troviamo moltissimi poltergeist a base di sassaiole avvenute per strada o nei cortili delle abitazioni. La ragione è che, specie in ore notturne, è ben difficile capire la traiettoria di una pietra che arrivava all’improvviso; se non si coglie il lanciatore in flagrante (e magari è coperto da un muro, o si trova a un’adeguata distanza), può essere impossibile ricostruirne la provenienza. Il trucchetto, dunque, in tempi in cui l’illuminazione era soltanto una minima frazione di quella odierna, era assai usato per mettere in atto azioni di stalking o piccole vendette. E, se non si capiva la provenienza di quei proiettili, non era raro che si gridasse al fantasma.

Ma la nostra storia era destinata ad un epilogo diverso. Prima, però, doveva riservarci ancora una sorpresa: una gustosissima pagina di costume presentata da Stampa Sera il giorno seguente, il 10-11 agosto 1940. Era firmata dal giornalista Enzo Arnaldi, ed era arricchita da vignette umoristiche di Angelo Bioletto. Ecco quella centrale:

Arnaldi, stuzzicato dalla notizia, era andato in via Caraglio alla ricerca dei fantasmi lanciatori. Si era portato dietro, oltre al disegnatore Bioletto, due collaboratori: il collega Carmelo Oddone, appassionato di spiritismo, e lo scettico “Cavur”, “eterno studente e per nulla aspirante, nonostante la laurea, avvocato”. Riportiamo il dialogo intercorso tra Arnaldi e Oddone, perché ci fa capire il quadro teorico in cui solitamente gli spiritisti collocavano fenomeni come quello di via Caraglio:

– Come mai, quando si dice che ci sono gli spiriti, di solito piovono pietre, mattoni, tegole e cose del genere? Dove li pigliano questi proiettili, i signori spiriti? – gli chiesi.
– In poche parole – rispose “Carmelo” – coloro che tanto se n’intendono da aver scritto anche dei libri sull’argomento, spiegano così la faccenda. Nelle vicinanze del luogo del fenomeno c’è un medium, magari inconsapevole delle sue qualità. Sotto l’influenza delle sue emanazioni, entrano in azione delle possenti forze sconosciute che si manifestano disintegrando la materia di oggetti, quali, ad esempio, i sassi, e poi la ricostituiscono a distanza, provocando così il precipitare misterioso di essi.
– Ho quasi capito. Sono, però, pericolosi, questi spiriti, perché se ti casca un sasso in testa…
– Una delle, chiamiamole così, specialità degli spiriti è quella di non colpire mai delle persone – mi rispose pronto l’amico.

Gli spiriti, però, non dovevano mai aver sentito di quella loro particolarità: quando i quattro arrivarono sul posto, trovarono l’ingegner Fossati del gruppo Maramotti che stava medicando una ragazza ferita al gomito da una sassata. Un altro colpo l’aveva raggiunta a una caviglia, mentre prendeva la scopa appoggiata nel cortile. Nulla di grave, ma la giovane era preoccupata. Si chiamava Rita Daziani, era una diciottenne nativa di Torre di Mondovì, cugina della padrona del panificio; da alcuni mesi aiutava i parenti in negozio. Gli spiriti sembravano averla presa di mira: ogni qual volta si recava in cortile, la pioggia di sassi riprendeva. Era diventata, insomma, una “calamita di pietre”, e della cosa non era affatto contenta. Ovviamente Carmelo, l’esperto di spiritismo, sospettava che la medium “a sua insaputa” fosse lei.

Non così pensavano gli abitanti del condominio, che avevano cominciato a lanciarsi accuse l’un l’altro. L’ingegner Fossati, arrivato per indagare, aveva dovuto subito sedare una rissa tra vicini di casa:

“Siete voi che tirate le pietre”, diceva uno. “No, siete voi: vi ho quasi visto”, ribatteva un altro. “Macchè, è stato quello là” interveniva un terzo. Di lì nacque la zuffa come degna giostra dello spettacolo misterioso appena iniziato. E così, con un intervento pacificatore, cominciò l’opera dell’ing. Fossati e dei suoi militi.

L’opera di sorveglianza, comunque, non si limitava ai vicini di casa. In omaggio ai tempi, il manipolo aveva iniziato a studiare le traiettorie sulla base dei manuali di balistica, per ogni sasso caduto cercava di stabilire provenienza e velocità.

Non appena pioveva una pietra, il cortiletto si animava: gli uomini correvano, salivano sui tetti, perlustravano i solai e i comignoli. Studiavano in particolare i buchi da cui quelle pietre potevano arrivare: c’erano infatti due finestrelle sospette, una nel deposito delle farine e una nel muro della casa di fianco… Nelle ultime ore, però, i tiri erano diventati più radi. Forse gli spiriti si stavano stancando. Era diminuita anche la dimensione dei sassi, che nei primi tempi comprendeva proiettili del peso di due chili. Ora, invece, gli spiriti si limitavano a “comuni sassi da selciato”. Evidentemente, osservava il giornale, il rifornimento delle munizioni non era ben organizzato…

Durante la visita dei giornalisti, il fenomeno non si ripresentò. Le clienti della panetteria, intanto, entravano a fare i loro acquisti abituali, e qualcuna chiedeva notizie degli spiriti, “come di uno di famiglia che stia poco bene da qualche giorno”. Tra loro, in diverse rimanevano convinte della genuinità del fenomeno. In fondo, queste cose succedevano… Al contrario, il proprietario sembrava dubbioso:

Ma… E se non fossero spiriti? L’interrogativo se lo pongono in molti, primo fra tutti il fornaio Bistoni che ieri, quando andammo su, dormiva placidamente e che stamane ho trovato, tutto infarinato, a cuocere pagnotte.
– Stanotte – mi ha detto – i sassi son caduti verso le ventitré. Ne son venuti giù tre o quattro. – La Rita era fuori?
– Sì – è intervenuta la ragazza – ero seduta con mia cugina vicino alla porta dell’alloggio.
– E che ne dite? – ho ancora chiesto al fornaio.
– Dico che, quando saranno stanchi, la smetteranno. Se, però, li pesco una sera allo scuro questi… spiriti, vi assicuro che di sassate contro i vetri non ne tirano più per un pezzo.

La soluzione al mistero arrivò alcuni giorni dopo. A riferirlo in toni trionfali,quasi dovesse riferire l’immancabile trionfo delle armi italiane contro la perfida Albione britannica, fu nuovamente Stampa Sera, nell’edizione del 23-24 agosto. Il giornale elogiava la “delicata e paziente indagine” dell’ingegner Fossati e i camerati del Gruppo Maramotti. La pazienza dei “cacciatori di spiriti” in orbace aveva avuto la meglio sulla circospezione dei lanciatori di sassi. Il colpevole era un garzone della panetteria, sorpreso in flagrante. Non agiva da solo: due amici lo aiutavano, sollevandolo sulle spalle e permettendogli di raggiungere un muro da dove poteva effettuare i tiri. Uno dei complici era un ex-lavorante del panificio, licenziato per scarso rendimento, che aveva architettato l’intera faccenda per danneggiare l’ex-principale.

Il movente era quello più classico in questi casi: la vendetta. Garzoni maltrattati o mandati via potevano prendersi qualche soddisfazione mettendo in scena manifestazioni simil-paranormali ai danni del padrone.

Non dubitiamo che in altre occasioni, quando gli spiriti avevano infestato negozi o altri luoghi di lavoro, le cose potrebbero essere andate così. Per quanto riguarda i “fantasmi” di via Caraglio, comunque, non abbiamo notizie di eventuali procedimenti giudiziari contro i rei. Certo, i tre giovani dovevano aver passato un brutto quarto d’ora, sbattezzati dal Gruppi rionale Maramotti.

Del caso si tornò brevemente a parlare nel dicembre 1940. La villa dell’ingegner Fossati era stata svaligiata con un “audace furto”, e qualcuno pensava a una vendetta per la storia di quattro mesi prima (Stampa Sera, 19 dicembre 1940). In quel frangente, comunque, nessuno diede la colpa gli spiriti. I fantasmi, forse, potevano smaterializzare le pietre, ma far sparire gioielli e documenti era decisamente un po’ troppo anche per i trapassati.

Foto di Taken da Pixabay