Giandujotto scettico

Fantasmi che non lo erano: lo spettro sferragliante di corso Peschiera

Giandujotto scettico n° 101 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (18/11/2021)

Può un fantasma infestare un caseggiato nuovo, e per giunta in pieno giorno? Dalla nostra esperienza di ricostruttori di vecchie ghost stories possiamo rispondere di sì: non sempre i fantasmi popolano vecchi ruderi e antiche soffitte. Spesso vanno ad abitare in edifici appena costruiti, brulicanti di vita e di inquilini. Dopo tutto, cosa sarebbe uno spirito senza qualcuno a testimoniarne la presenza? Ma a volte anche i fantasmi, a guardarli da vicino, si rivelano meno spaventosi di quanto immagineremmo… 

L’episodio che vi raccontiamo si svolse in un caseggiato di Torino, nel quartiere di Borgo San Paolo. Da un po’ di tempo, un inquietante rumor di catene metteva in allarme i civici 152, 154 e 154 bis di corso Peschiera: edifici eleganti, “rispettabili”, e – era quello che più stupiva i giornali – decisamente nuovi. Che cosa poteva essere, dunque, quello strano sferragliare? Spiegava La Stampa il 28 gennaio 1938:

Non è stato accertato chi, per primo, cominciò ad udire gli strani rumori. Forse, senza errori, tutti gli inquilini assieme. I rumori, dapprima indistinti, venivano poi registrati più chiari ed assumevano l’aspetto d’un mucchio di ferraglie (forse catene) trascinate con una regolarità impressionante. La passeggiata del fantasma o degli spiriti durava, secondo i giorni, da una mezz’ora ai tre quarti d’ora e quasi sempre nel pomeriggio. Le sottili pareti delle tre case nuovissime trasmettevano come una cassa armonica la strana passeggiata. Dopo il primo giorno, i fenomeni aumentarono: al rumore di ferraglie si aggiungevano, infatti, dei violenti colpi nei muri. Ce n’era abbastanza per creare una atmosfera di ossessione nelle tre case.

Gli inquilini del caseggiato, ovviamente, cominciarono a discuterne tra loro (ma “a bassa voce”, raccontava il giornale, forse per non farsi sentire da essi). Fu subito chiaro che i rumori provenivano dall’edificio di mezzo, quello del civico 154. Col ripetersi dei fenomeni (e della loro sconcertante regolarità), l’ossessione lasciò il passo all’inquietudine, e forse anche alla paura. In alcuni alloggi la servitù cominciò a parlare apertamente dell’opportunità di lasciare il caseggiato maledetto. Com’era inevitabile, la notizia si sparse anche nel circondario e nel vicino mercato rionale (“emissione radio-cameriere”, ironizzava La Stampa). 

In breve, gli spiriti di via Peschiera diventarono l’argomento principale di conversazione tra gli abitanti di Borgo San Paolo. E – come avviene sempre con le nostre storie di fantasmi – la reazione fu rapida: capannelli di persone cominciarono a formarsi davanti alla casa spiritata. A differenza di altri casi di infestazione, però, la curiosità della folla non prese una svolta violenta (come era accaduto, ad esempio, in via Pellicciai nel 1887, in corso san Maurizio nel 1890 o con il ghost riot di Chieri del 1956).

Anzi, ci sarebbe da chiedersi perché, quella volta, le cose si svolsero un po’ sottotono. Forse era l’orario pomeridiano che non ispirava: nulla a che vedere con quelle belle infestazioni notturne, quando nel buio si poteva scorgere qualsiasi cosa, e che fungevano da alternativa economica agli spettacoli teatrali o cinematografici. Forse era l’entità dei fenomeni: tutto sommato roba da poco, rispetto ai poltergeist più violenti a base di incendi e di stoviglie infrante. 

Nei caseggiati di corso Peschiera si sentivano soltanto colpi alle pareti e rumor di catene: manifestazioni sonore che, da lunghissima tradizione, erano associate agli spiriti disincarnati. 

Le catene rimandavano a una delle più antiche storie di case infestate, quella raccontata da Plinio il Giovane in una delle sue epistole. Si tratta della vicenda, famosissima, del filosofo Atenodoro e del fantasma. Riassumiamo per chi non la conoscesse: ad Atene c’è un’abitazione ampia e comoda, ma nessuno la vuole perché è maledetta. Nel bel mezzo della notte, si sente uno sferragliar di catene, seguito dall’apparizione dello spettro di un vecchio, che agita le mani avvolte nei ceppi. Ma Atenodoro non si lascia spaventare: chiede di passare una notte nella casa infestata, vede il fantasma e lo segue fin nel cortile, dove questo scompare. Il filosofo contrassegna il luogo e il giorno dopo chiede ai magistrati di scavare in quel punto: troveranno le ossa di un uomo in catene, che sarà sepolto a spese della città. E l’edificio, a quel punto, sarà libero…

Nella più modesta vicenda di corso Peschiera, il rumore di catene era frammisto ai colpi sul muro. I raps erano, fin dai tempi delle sorelle Fox, a metà Ottocento, il mezzo d’elezione con cui le anime comunicavano dall’oltretomba. Certo, dai tempi di quelle manifestazioni lo spiritismo si era evoluto, diventando più sofisticato. Aveva scoperto nuovi mezzi, come la scrittura automatica e la tavola Ouija (brevettata nel 1890 da due uomini d’affari, Elijah Jefferson Bond e Charles Kennard); usava calchi, trombe medianiche, campanelli. Ma il buon vecchio “se ci sei batti un colpo” era ancora buono, quando serviva. 

Nel Ventennio fascista, quando va in scena la nostra storia, lo spiritismo era un po’ in declino rispetto ai fasti del Diciannovesimo secolo; eppure, rimaneva appannaggio di un pubblico colto, appassionato, che pubblicava riviste e si riuniva in associazioni. Alcuni spiritisti cercarono persino di coinvolgere il Duce nelle sedute; ma quei passatempi non erano nelle sue corde. Molto interessato fu, invece, il fratello di Benito, Arnaldo Mussolini, che partecipò ad alcune sedute e, dopo la sua morte improvvisa nel 1931, fu evocato in alcuni consessi spiritici. Lo studioso Massimo Biondi, che nel 1995 ha dedicato al tema un interessante articolo, racconta che molti spiritisti

[…] videro con favore l’avventura mussoliniana, soprattutto fino a quando questa non coincise con l’appoggio alla Chiesa e la lotta alla massoneria. Quello che piaceva era soprattutto il Mussolini giovane, ateo, apportatore di un’immagine di forza e decisione, emblema di uno spirito forte e in grado di plasmare il proprio e l’altrui destino. Molto meno piacque il Mussolini ingessato nel ruolo e nella struttura sociale da lui voluta, meno libero e autonomo, meno idealista e più pragmatico, ansioso di guadagnarsi l’appoggio della Chiesa cattolica (nemico storico dello spiritismo) e perciò disposto a concederle i suoi rispetti.

Dal canto suo il fascismo, indifferente al contatto con l’aldilà, per un certo periodo aveva lasciato che la ricerca spiritica e le esperienze medianiche si esprimessero liberamente. I quotidiani, pur sotto il controllo della censura, continuavano volentieri e indisturbati a parlare di fenomeni inspiegabili, di fantasmi, di villini abitati dagli spiriti; anzi in una certa misura incrementarono lo spazio dedicato a queste tematiche. E i gerarchi che andavano in incognito alle sedute medianiche o ai consulti con i sensitivi, oltre a faccende personali, cercavano di ricevere dai responsi dell’ombra la giustificazione al loro potere e consigli su come conservarlo.

Questo era, insomma, lo stato dell’arte negli anni di cui stiamo parlando: lo spiritismo era un passatempo di élite, ma che tutti conoscevano e di cui chiunque poteva illustrare i meccanismi ben oliati. Ovvio che i colpi sui muri fossero associati subito al mondo dell’oltretomba. Nel caso di corso Peschiera, comunque, a nessuno venne in mente di fare come nel caso del poltergeist di via Vanchiglia 17: ovvero, di provare a comunicare in qualche modo con quei colpi, o di interpretarli come una richiesta di riti religiosi per i morti. Prevalse l’aura inquietante del fenomeno, e null’altro si fece. 

Ma questa non è una storia di case degli spiriti come le altre: questa volta si arrivò a una piena soluzione del mistero.

Il ruolo di moderno Atenodoro toccò al geometra Leandro Cantore: un giovanotto sulla trentina, “spirito sereno ed essenzialmente pratico”, nonché proprietario dello stabile al numero 154. Anche lui, come gli altri, si mise in attesa di quei rumori, e quando si presentarono, semplicemente… li seguì. Ci volle qualche giorno per capire con precisione da dove arrivavano, ma alla fine il nostro Leandro individuò l’alloggio incriminato, suonò al campanello e chiese di entrare. 

E lì, nell’angolo di una stanza, “modesta e innocente”, c’era la colpevole: una carrozzina per bambini. Il geometra la esaminò e si accorse che aveva le ruote di ferro, senza il rivestimento di gomma. Era quello il rumore di “catene trascinate”. La proprietaria, forse un po’ mortificata, ne diede conferma. Ogni pomeriggio aveva l’abitudine di far passeggiare il bimbo lì dentro, facendolo andare avanti e indietro per tutta la casa. Era un’abitudine che sembrava calmare il neonato, e la ripeteva almeno mezz’ora ogni giorno.

E così la storia di fantasmi, che era iniziata in toni horror, non potè far altro che finire in farsa. La notizia tranquillizzante corse immediatamente tra tutti gli inquilini: nessun fantasma albergava in quelle case. La proprietaria della carrozzina promise di far rivestire le ruote con appositi pneumatici, in modo da non generare più il rumore che aveva messo in allarme tutto il vicinato. Così, le passeggiate del pargolo poterono ricominciare. 

E i colpi nei muri, vi starete chiedendo? Anche quelli avevano una spiegazione semplice. Erano i colpi battuti nei muri da alcuni vicini esasperati da quel rumore: nient’altro che un invito, da parte di alcuni inquilini, a piantarla con quel fracasso. Ma in quel modo i colpi erano diventati parte stessa del fenomeno. 

Una buona quota di quella manifestazioni era dovuta, insomma, agli abitanti stessi del caseggiato – che forse in un momento di consapevolezza avrebbero potuto esclamare, come i protagonisti di alcuni capolavori del cinema:

Ma allora i fantasmi… siamo noi!

…È un colpo di scena meraviglioso!

Immagine in evidenza: di ArtTower, da Pixabay