Giandujotto scettico

Non tutti gli almanacchi vengono per nuocere

Giandujotto scettico n° 104 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (30-12-2021)

Vi piace la divulgazione scientifica? Compratevi un almanacco astrologico!

La frase può suonare bizzarra, se non un vero e proprio sostegno a una pseudoscienza. D’altra parte, c’è poco da fare. Per noi “moderni” l’almanacco è quello di Barbanera o di Frate Indovino, o al limite quello delle Operette morali di Leopardi: un opuscoletto pieno di previsioni zodiacali, di sul futuro e poco più; o, in alternativa, un elenco di affermazioni improbabili su quali operazioni sia meglio compiere nelle varie fasi lunari.

Eppure non è sempre stato così – o almeno, non solo: la storia della divulgazione passa anche dagli almanacchi. 

Per capirne origini ed evoluzione (con particolare riferimento alla nostra regione), consigliamo due articoli: Metamorfosi ed evoluzione di un genere letterario : l’Almanacco piemontese nel ‘700 di Lodovica Braida (Mélanges de l’École française de Rome, 1990) e Almanacchi, lunari e calendari piemontesi nelle collezioni dell’Archivio Storico di Luciana Manzo (nel catalogo della mostra Guide del tempo, svoltasi a Torino nel 2001-2002). Permettono di capire bene che cos’era l’almanacco settecentesco, lasciando da parte le nostre idee correnti.

All’origine degli almanacchi astrologici

L’inizio dell’anno è da sempre un tempo dedicato alle previsioni e all’astrologia. Dal Medioevo al Diciottesimo secolo, il pubblico colto poteva leggere il prognosticon o iudicium: vi trovava la tavola delle effemeridi, le congiunzioni celesti e un discorso sul pianeta del mese. Erano fitti di predizioni che vertevano per di più sul clima, sulle epidemie, sulle catastrofi naturali o sulle guerre. 

A questo tipo di pubblicazione si affiancò poi il kalendarium, dedicato al clero cattolico: non conteneva predizioni astrologiche, ma indicava invece le feste mobili, i quattro tempora, il calendario dei santi e diverse informazioni di ordine liturgico. 

Infine, dedicati al popolo, c’erano i lunari: diffusi a partire dalla metà del Sedicesimo secolo, erano opuscoletti modesti, di cattiva fattura, con calendario, fasi lunari e giornale dei santi. Erano utilizzati principalmente per decidere i lavori agrari in base alle lunazioni, ed erano accessibili anche a chi non sapesse leggere, ma conoscesse almeno i numeri e pochi simboli fondamentali.

Dalla fusione di queste pubblicazioni ebbe origine l’almanacco, che nel Settecento diventò una vera e propria moda. Vi figuravano il calendario, le fasi lunari, l’elenco dei santi e delle feste, le lunazioni e un “discorso generale su anno”, con pronostici di varia natura. Il basso prezzo e il carattere pratico lo rendevano un prodotto di consumo adatto a tutti: per i ceti medio-bassi poteva essere l’unico libro acquistato in tutto l’anno. 

Si trattava di opuscoletti ripetitivi sia nei temi sia nell’impostazione. Venivano acquistati a inizio anno, usati per conoscere la data della Pasqua o quella delle fiere, leggiucchiati – da chi poteva – nella parte dedicata alle predizioni e poi buttati via il 31 dicembre senza troppi pensieri. Ma dalla metà del Settecento le cose iniziarono a cambiare. Grazie anche all’aumento dell’alfabetizzazione, gli almanacchi cominciarono a pubblicare nuove rubriche, a differenziarsi, ad adattarsi a un pubblico sempre più esigente e inquisitivo. Ed è proprio in questa fase che qualcuno ebbe l’idea di usare questi libretti popolarissimi anche per la divulgazione scientifica.

Gli almanacchi piemontesi nel Settecento

Nel corso del Diciottesimo secolo dalle tipografie piemontesi uscirono un centinaio di almanacchi diversi. Man mano che la diffusione aumentava, questi libretti pop cominciarono a specializzarsi, aggiungendo alle rubriche tradizionali pagine e pagine di informazioni utili al pubblico: l’elenco dei principi d’Europa, quello degli arcivescovi, dei vescovi e abati, la tariffa di cambio delle monete, gli orari di arrivo della posta… Se prima erano poco più di un calendario, diventarono l’equivalente settecentesco delle pagine gialle o anche di una piccola enciclopedia ante litteram, con tavole di rapida consultazione per ogni esigenza del “vivere moderno”. 

Un esempio è il Palmaverde, che fino al 1774 fu l’almanacco ufficiale della Corte Reale. Insieme alle rubriche classiche conteneva l’elenco dei principi europei, quello dei membri di casa Savoia, informazioni su cariche e apparati dello Stato (nell’Ottocento, ad esempio, pubblicava la lista di tutti i deputati e i senatori del regno, con tanto di indirizzo personale). Di prezzo medio (costava sei soldi, mentre i semplici lunari ne costavano solo uno), rimase a lungo l’almanacco istituzionale più diffuso; nel 1783 se ne vendettero 18.000 copie. Altri esempi di “almanacchi istituzionali” furono il Calendario per la Real Corte (pubblicato dalle Stamperie Reali e destinato ai ceti più alti della società piemontese), l’Almanacco de’ teatri di Torino (con gli orari degli spettacoli e informazioni utili a tema), Il giornale per le dame (con gli indirizzi delle donne “più riguardevoli” di Torino) e l’Almanacco Reale, o sia guida per la città di Torino (questo, davvero, un antenato delle pagine gialle per la città). 

Sempre più specializzandosi, cominciarono ad apparire anche gli almanacchi “con compendio”, cioè con approfondimenti dedicati ai temi più disparati. Diffusissimi, ad esempio, quelli letterari; ad aprire la strada, intorno al 1750, fu il Monferrino, compilato da un sacerdote di Casale Monferrato, Giuseppe Antonio Morano (1724-1796). Conteneva saggi storico-geografici, articoli dilettevoli e educativi, massime morali, alternando prose e poesie. Lo spazio dedicato alle rubriche tradizionali, pur presente, era ormai ridotto al minimo; ma soprattutto, per la prima volta, veniva totalmente tralasciata la sezione astrologica (anzi, Morano denunciava la “perniciosa inutilità e vanità” dei pronostici). Anche l’almanacco Capricci, lunario (Stamperia reale, 1784-85) si distaccava con forza dalle tradizionali profezie di inizio anno: il curatore affermava di essere stupito che nell’epoca dei lumi si trovassero ancora “allocchi” disposti a dar “quattrini per comprar bugie”. L’almanacco era così sempre meno legato alla superstizione e sempre più simile a una rivista semi-specialistica. 

Gli almanacchi “scientifici”

Nella seconda metà del secolo comparvero anche almanacchi con veri compendi astronomici, storico-geografici e agrari. Si trattava di pubblicazioni che, insieme alle consuete rubriche, proponevano approfondimenti legati alla scienza. Gli argomenti più gettonati erano la scansione del tempo, l’agricoltura, la fisica astronomica e meteorologica, la geografia e la cultura di altri popoli, la medicina. In certi casi queste pagine erano concepite come veri e propri inserti a puntate. Proprio come le moderne raccolte De Agostini, potevano essere letti in famiglia, ritagliati e rilegati insieme agli inserti degli anni precedenti, trasformando a poco a poco gli almanacchi in piccole enciclopedie. Si trattava spesso di progetti educativi graduali, in cui si partiva da informazioni fondamentali per entrare sempre più nel dettaglio: le comete, la cosmologia newtoniana, le notizie sulla Cina, i terremoti, i fossili… Particolare successo ebbero almanacchi astronomici come La Sibilla celeste (1751-1885) e La Pellegrina del mondo lunare (1761-1796) stampati da Giacomo Giuseppe Avondo e compilati da abate Carlo Antonio Cacciardi.

Questi nuovi almanacchi scientifici non avevano ormai più nulla dei lunari tradizionali. 

Rimanevano il formato e l’ossatura con gli elementi fondamentali (calendario e alcune rubriche), ma nei contenuti assomigliavano sempre più a giornali di divulgazione scientifica. I temi erano trattati in maniera semplice, il più delle volte sotto forma di dialogo tra un esperto e un alunno. E, con gli anni, cominciarono a dedicare uno spazio sempre maggiore alle scoperte più recenti e alle novità della scienza.

Qualche esempio? Negli anni 1785-1790 a Milano furono pubblicati diversi almanacchi dedicati alle mongolfiere; i primi voli con equipaggio dei fratelli Montgolfier risalivano al 1783, dunque diventarono subito di moda grazie anche a questo genere di pubblicistica. Nel 1790 a Torino uscì invece Il nuovo pianeta Herschel, un almanacco che conteneva un lungo approfondimento sul pianeta Urano. La scoperta fatta da William Herschel era avvenuta nel 1781, appena nove anni prima. In tempi in cui le notizie scientifiche circolavano ancora in prevalenza tra gli studiosi interessati e arrivavano al pubblico con ritardo, erano il segno di una rapida modernizzazione della società e della maggior presenza anche in Italia di una borghesia colta e laica, interessata in modo forte alla realtà materiale e alla sua interpretazione.

L’irruzione di questi temi nella pubblicistica di consumo costrinse anche i vecchi almanacchi astrologici ad adeguarsi, con l’inserzione di nuove rubriche astronomiche e con la ricerca di una sorta di mediazione tra due visioni del mondo. Il Palmaverde, ad esempio, nel 1752 spiegava ai suoi lettori che la teoria dei cieli immutabili con 1022 stelle fisse non era più da considerare valida, perché

“da moderni osservatori si è riconosciuto esser il numero di que’ luminosi corpi pressoché innumerabile”.

Editori di almanacchi tra censura e nuovi temi

Gli stampatori piemontesi del XVIII secolo erano parecchi: Avondo, Bayno, Cerrutti, Davico, Fontana, Giuliano, Masserano, solo per menzionarne alcuni. Tra quelli più dediti ai compendi scientifici, Briolo e Soffietti… D’altra parte, si trattava di un business redditizio che consentiva ampi margini di guadagno. Anche per questo, molti editori tradizionali di libri devozionali o giuridici, pieni di preghierine, giaculatorie e pandette sempre uguali decisero che valeva la pena entrare in quel nuovo mercato. 

Si calcola che a fine secolo si stampassero ogni anno circa 230.000 copie di almanacchi, di cui circa tre quarti (170.000) erano semplici lunari o almanacchi delle fiere, mentre le 60.000 rimanenti erano destinate a un pubblico più raffinato. Per confronto, Torino nel 1796 aveva circa 90.000 abitanti; certo, quegli almanacchi dovevano rifornire anche il resto del Piemonte (molti editori di provincia preferivano far stampare i libri a Torino, perché le procedure per le autorizzazioni della Gran Cancelleria erano più veloci); ma considerando anche l’analfabetismo diffuso si trattava di numeri piuttosto alti, che facevano dell’almanacco un vero fenomeno pop

Non era solo un fatto economica, comunque; a volte era anche una questione di libertà. Un caso esemplare è quello di Masserano, che iniziò a dedicarsi agli almanacchi dopo che il suo giornale fu fatto chiudere. 

A metà secolo, con la crescita delle gazzette in tutta Europa, anche i governi sabaudi avevano stretto i controlli. Con due leggi del 1745 e del 1755 Carlo Emanuele III aveva affiancato alla ormai consunta censura ecclesiastica una censura di Stato, che fungeva da strumento di repressione delle idee di riforma e di libertà religiosa. A partire dal 1789-90 la stretta si fece ancora più rigida: il timore per la rivoluzione francese era ormai concreto. Così la Gazzetta di Torino e notizie particolari, edita da Masserano, fu chiusa nel 1796, quando il primo intervento francese era alle porte, per aver “preteso di dare notizie politiche e di guerra”. Spiegava il censore che quel giornale

“Fa di più grave torto al Governo e alla Nazione, e ciò tanto per l’inesattezza delle notizie che vi si mettono alla rinfusa e senz’ordine, quanto pel poco discernimento che mostra nelle materie che tratta”.

Le autorità avevano dato una scelta a Masserano: smettere di dare notizie politiche e delle guerre che incendiavano l’Europa o chiudere le pubblicazioni. Masserano optò per la seconda alternativa, e decise di riconvertirsi a editore di almanacchi. Anche quelli erano sottoposti a censura, ovviamente; ma purché non si parlasse di politica si poteva stare abbastanza tranquilli. Gli editori lo sapevano, e si muovevano di conseguenza. Nel 1746 il Palmaverde (era appena stato varato il primo decreto sulla censura) decise di eliminare in toto la sezione “affari mondani”, quella che conteneva predizioni astrologiche sui vip e sui membri della casa regnante. Meglio non rischiare…

Chi non si adeguava ne pativa le conseguenze. Una delle ultime censure prima dell’arrivo di Napoleone riguardò proprio un Lunario nuovo per l’anno 1800, in cui erano presenti troppe predizioni politiche. Il giudizio recita:

“Non si lascia in esso passar mese, in cui non vi siano predizioni politiche, molte delle quali funeste, e che potrebbero anche contribuire ad eccitar movimenti, e sparger inquietudini nel volgo”.

E così, il Lunario nuovo non fu autorizzato alla stampa. Questo clima di repressione culturale e di oscurantismo impedì a lungo che in Piemonte si sviluppasse un moderno giornalismo di opinione; al tempo stesso, però, stimolò gli editori a trovare nuovi temi, come la storia locale, la letteratura o la divulgazione scientifica, percepite anche come alternative all’assolutismo. 

Una nuova generazione di divulgatori

Ma chi erano gli autori di queste inserti di approfondimento? In molti casi non lo sappiamo: gli almanacchi erano considerati libretti popolari di scarso valore, che i compilatori non firmavano o firmavano con pseudonimi (Giuseppe Morano, ad esempio, figurava come Nervisio Pantegamero Eppeton – nientemeno). Chiunque, previa censura, poteva scrivere un almanacco e affidarne la stampa a un tipografo: ciò che importava era passare quel vaglio. L’autorialità era un fatto debolissimo, come del resto avveniva ancora per buona parte degli articoli delle gazzette del tempo. 

A volte erano gli stessi editori-librai a compilare i testi; altre volte ne appaltavano la scrittura a uomini di lettere, eruditi, studiosi di storia locale, sacerdoti. Lodovica Braida definisce questa congerie di quasi-autori come “letterati marginali”. In certi casi si trattava di semplici curiosi che non avevano avuto un’educazione scientifica formale ma si erano fatti una cultura leggendo memorie e atti di accademie, ed erano in grado di sintetizzarne le conclusioni e semplificarle per il grande pubblico.

Insomma, era nata la figura del divulgatore scientifico: non necessariamente un uomo di scienza, ma un mediatore in grado di tradurre le discussioni di astronomia e medicina nel linguaggio dell’uomo comune di ogni città e centro di provincia degno di questo nome. D’altronde, per la realizzazione degli almanacchi non era più necessario uno studioso di astronomia: i calcoli per determinare le effemeridi o la data della Pasqua erano accessibili a chiunque avesse una base minima di conoscenze tecniche; ormai da anni circolavano tavole come quelle compilate da Argoli e Ghisleri, che elencavano le effemeridi fino alla fine del Settecento. Insomma, per quelle parti, ormai caduche e di scarsa importanza, bastava copiare…

Gli scienziati stessi, comunque, non stettero a guardare. In alcuni casi si misero all’opera per sfruttare il nuovo mezzo e le sue potenzialità. Tra le strade aperte dal mezzo, è interessante un caso che oggi definiremmo di citizen science

Giuseppe Toaldo (1719-1797), professore di Astronomia all’Università di Padova, fu il compilatore di un almanacco intitolato Giornale astrometeorologico: nel libretto erano presenti alcuni spazi bianchi nei quali i lettori potevano segnare le loro osservazioni meteo e tutto ciò che aveva a che fare con gli astri. Uomo ancora radicato nel passato, l’abate Toaldo era convinto che la Luna e lo zodiaco influissero sulle epidemie di uomini e colture. Da scienziato, però, riconosceva l’importanza delle osservazioni; e così, gli acquirenti del Giornale astrometeorologico potevano segnare sull’opuscolo “di giorno in giorno gli accidenti, che nascono alle piante e alle biade”, “i medici il numero de’ morti”, “i parrochi il numero de’ bambini nati”… A fine anno lo avrebbero potuto rimandare all’autore, contribuendo così alle sue ricerche scientifiche e alla formazione di quadri statistici e demografici. Toaldo riuscì così a coinvolgere nel suo lavoro una trentina di collaboratori notevoli, anche al di fuori degli Stati Veneti. 

Gli almanacchi degli scienziati

Toaldo non fu il solo studioso ad occuparsi di almanacchi. Con quel nuovo mezzo a disposizione era accaduta per certi versi qualcosa di analogo a ciò che accade nel mondo della divulgazione con i social del Ventunesimo secolo. Alcuni scienziati guardavano a quella forma di letteratura come a un passatempo futile, adatto al popolino, da cui la vera scienza aveva poco da guadagnare. Altri, invece, v’intravidero nuovi modi per diffondere le nuove scoperte tra un pubblico più ampio (e di diversa estrazione sociale) rispetto a quello delle accademie, che si rivolgevano per lo più al clero colto e ai nobili. 

Un esempio? Maurizio Pipino, medico cuneese, che tra il 1785 e il 1789 compilò un Almanacco di sanità, stampato a Torino. Oltre alle solite rubriche, il libretto conteneva un vero e proprio manuale di medicina pratica, con un occhio anche al debunking: scopo dell’autore era quello di sconfiggere “i più falsi pregiudizi sopra la sanità, le malattie ed i rimedi”. Per questo si rivolgeva ai parroci, ai curati e a tutte quelle persone di buona cultura che erano in grado di leggere l’almanacco ma che magari vivevano nelle campagne, distanti dagli studi medici. Il progetto, purtroppo, s’interruppe bruscamente: spinto dal desiderio di scoprire nuove cure ancora sconosciute in Occidente, nel 1788 Pipino intraprese col figlio un viaggio verso l’India; durante la navigazione, si sviluppò un’epidemia di peste che gli costò la vita.

Chi cercò di entrare a gamba tesa nel mercato degli almanacchi fu invece il conte Angelo Saluzzo, presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Suo un Progetto economico datato 9 giugno 1782, in cui il nobile torinese chiedeva alla Casa Reale l’esclusiva sulla realizzazione degli almanacchi. Nelle sue intenzioni, si trattava di togliere il mercato dalle mani di astronomi improvvisati, e affidarlo a gente esperta nel calcolo di effemeridi e lunazioni; senza contare che con il ricavato della vendita si sarebbe potuta finanziare la ricerca scientifica per anni… Saluzzo documentò la sua proposta con una memoria intitolata Sullo stato de’ diversi almanacchi che si stampano a Torino, col prezzo che si vedono e guadagno che ne risulta fatto nel 1783 – fonte utilissima per gli storici che si sono occupati del nostro argomento. L’idea del conte, però, fu archiviata senza troppi ripensamenti. 

Un almanacco agricolo “ufficiale”

Anche l’agronomia ebbe i suoi almanacchi scientifici; un esempio è costituito da Il contadino istruito (1786-1788), un manuale assai pratico di operazioni agricole. A quello si affiancò, nel periodo 1791-1800, anche il Calendario Reale Georgico, ossia almanacco d’agricoltura, stampato da Briolo. Era un progetto di divulgazione posto sotto un’egida ufficiale: era infatti compilato dalla Società Agraria di Torino. L’edizione del 1791 si premurava di giustificare la scelta di quel mezzo in virtù della sua diffusione fra tutte le classi sociali: in quel modo, si potevano sconfiggere le credenze superstiziose ancora legate all’agricoltura, diffondere le tecniche più moderne e far circolare quelle scoperte fino ad allora relegate ai soci dell’accademia. Dunque, poteva tornar comodo pure il formato dell’almanacco, benché si trattasse di 

un libriciattolo consacrato alle dolcezze, alle scempiaggini, alle sciocchezze d’ogni genere.

L’intento divulgativo funzionò solo per metà: il taglio era quello di un manuale, ma senza la schematicità propria di altri almanacchi, e senza la diffusissima modalità a domande e risposte; anche il linguaggio rimase comunque più difficile rispetto a quello dei concorrenti. Nonostante questo, la pubblicazione contribuì a diffondere nuove idee.

Ma qual era il target dell’almanacco? Non certo i contadini (“molti di loro nulla leggono, i più non sanno leggere, quasi niuno avrebbe capacità sufficiente di intendere un libro d’agricoltura”, scriveva la Società Agraria); quegli scritti erano invece diretti ai parroci (che potevano dar suggerimenti ai contadini) e ai proprietari terrieri (a cui si chiedeva un maggior impegno nella gestione delle campagne). 

Per questo, abbandonati i dibattiti teorici che si svolgevano nella Società Agraria, l’Almanacco si concentrava sui suggerimenti concreti, fornendo un quadro delle nuove tecniche di coltivazione studiate in quegli anni. La Rivoluzione e il successivo avvento di Napoleone avevano prodotto, dal 1796, una serie di guerre di portata sempre più vasta in buona parte dell’Europa occidentale. Le conseguenze erano state disastrose: forti rialzi dei prezzi di ogni genere di prodotto agrario e mancato rinnovo dei contratti dei fittavoli in buona parte delle pianure piemontesi. Tra i soci si discuteva vivacemente di annona, calmiere, requisizioni, speculazioni dei fornai, prezzi delle granaglie e problema delle affittanze; nel Calendario tutto questo non c’era. Si preferiva invece dare ai proprietari terrieri una serie di “avvertimenti pratici” per far rendere di più i campi. Nel 1799, ad esempio, sul Calendario uscì una memoria intitolata Mezzi di minorare nel Piemonte i danni delle carestie e preservarlo dalle penurie: tra i consigli, si proponeva la realizzazione di minestre economiche e la coltivazione della patata. 

In conclusione

Il processo di trasformazione degli almanacchi – da “libretti inutili e insulsi” agli antenati delle riviste di divulgazione – fu un processo che non coinvolse il solo Piemonte. Anche in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana l’evoluzione fu quella che abbiamo raccontato. Per il Piemonte, tuttavia, il tema è stato particolarmente studiato, anche grazie agli archivi che hanno conservato un buon numero di esemplari di quella letteratura effimera. 

Dunque, che cosa fu l’almanacco settecentesco? Si trattò di un residuo delle credenze e delle  superstizioni ancora vigenti nei secoli precedenti, oppure l’avanguardia della divulgazione scientifica moderna? Probabilmente un po’ tutti e due. Tra la letteratura “alta” dei libri e quella “bassa” del popolo (fatta di proverbi e credenze astrologiche), si era creato uno spazio per la cultura media, dove – a fianco dell’astrologia e dei pronostici – trovò spazio anche la scienza. In questa terra di mezzo, l’almanacco con compendio forniva al ceto medio cittadino un passatempo dilettevole, utile e istruttivo. Permise la diffusione di conoscenze scientifiche, di istruzioni tecniche e di nuove scoperte in tempi in cui queste informazioni circolavano ancora con difficoltà. Nonostante la sua origine astrologica (e dunque pseudoscientifica), segnò un passo importante nella storia della divulgazione. 

Non tutti gli almanacchi vengono per nuocere; se oggi la scienza è una cosa per tutti, parte del merito va forse anche a loro.