Misteri vintage

Rettiliani sotto Los Angeles!

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Nel 1934 un abitante della California stava per riportare alla luce, grazie a una macchina speciale di sua invenzione e alla sua personalissima interpretazione di alcune leggende dei nativi americani, una splendente città piena d’oro, già rifugio di grandi lucertoloni super-intelligenti e avanzatissimi. 

Se non avete mai sentito nulla del genere è perché… beh, le cose non andarono esattamente come sperava. Oggi vi spiegheremo come mai, nel 1934, dalle viscere della città di Los Angeles non emersero i tunnel della grande città; e anche perché qualcuno, in pieno Ventesimo secolo, poteva pensare che i rettiloni saggi si fossero nascosti laggiù, in un passato lontano, prima delle nostre più antiche civiltà.

Un esoterista a caccia di tesori

Anche oggi, come in altre vicende, tutto ruota intorno a un personaggio-chiave. Di lui non è stato tramandato molto ai posteri, se non lo stupore per la breve notorietà che ne fece conoscere il nome in tutti gli Stati Uniti.

Quest’uomo si chiamava George Warren Shufelt, ed era un geologo e ingegnere minerario di Los Angeles. Per quanto ne sappiamo, oltre al suo lavoro “ordinario”, Shufelt era anche un appassionato di tesori sepolti e un avido raccoglitore di leggende dei nativi americani. 

Possiamo ricostruire parte della vicenda grazie alla copertura della storia che ne fece a suo tempo il maggior quotidiano cittadino, il Los Angeles Times, e, in tempi recenti, per il lavoro del bibliotecario Glen Creason, che ha trovato notizie preziose presso la Biblioteca Pubblica Centrale della città californiana, scrivendone nel 2014 per il Los Angeles Magazine

Nell’estate del 1933 Shufelt entrò in rapporto con un anziano leader della nazione Hopi il cui nome tradizionale era Capo Foglia Verde (Greenleaf). L’uomo gli raccontò molti dettagli circa la sua cultura, e il pericolo che scomparisse; ma, fra le altre cose, rivelò a Shufelt anche una leggenda che l’ingegnere ricostruì subito a modo suo. 

Dai racconti sulle virtù di un gruppo di guerrieri Hopi e delle loro famiglie, noti come “lucertole”, dedusse che gli Hopi sapevano dell’esistenza di un antico popolo di “uomini-lucertola” che, a quanto pare, viveva in cavità poste sotto la moderna Los Angeles. 

A questo punto cominciò a trasformare il racconto in una forma di mitologia moderna, mettendogli dentro elementi di ogni genere che erano al massimo della popolarità nella cultura di massa americana fra le due guerre mondiali.  

E così, gli uomini-lucertola di Los Angeles diventarono gli ultimi sopravvissuti di una super-razza quasi sterminata cinquemila anni fa da una pioggia di meteoriti. Avevano creato comunità avanzatissime dal punto di vista intellettuale e tecnico. Disponevano di sostanze chimiche in grado di scavare rapidamente enormi tunnel nel terreno, ed era per questo che si erano in parte salvati dalla catastrofe che aveva colpito la costa pacifica americana. 

In sostanza, sotto Los Angeles – sosteneva Shufelt – c’erano ancora 285 tunnel e una serie di enormi cavità, ognuna delle quali aveva ospitato mille famiglie di uomini-lucertola. Soprattutto, le gallerie conservavano una serie di tesori senza pari, sia dal punto di vista economico, sia, per quanto si sarebbe potuto scoprire sulla storia del mondo. Pietre preziose, enormi quantità di monili e di lingotti d’oro, sui quali era raccontata in una lingua antichissima la vera origine dell’umanità.  

I sopravvissuti erano scampati alla pioggia meteorica, ma non ai gas penetrati nelle cavità: erano morti tutti in quel modo.

Un’altra città degli scampati al disastro si trovava sotto il monte Shasta, un vulcano spento del nord della California che dall’inizio del Ventesimo secolo era diventato il luogo più celebre e più venerato dagli appassionati americani di occultismo. Dal 1931, infatti, grazie a un libro dell’esoterista Harvey Spencer Lewis (Lemuria: The Lost Continent of the Pacific, dedicato agli abitanti della civiltà di Lemuria nascosti nella viscere dello Shasta) la questione era diventata popolarissima anche tra il pubblico più vasto. È plausibile che anche Shufelt l’abbia inserita nella sua visione grazie a Lewis: erano anni, quelli, in cui idee come quelle finivano spesso sui periodici di intrattenimento. 

C’era poi una terza città sotterranea edificata dai lucertoloni, ma di quella non era in grado d’indicare la posizione… 

Shufelt annunciò di voler portare alla luce tutto questo, cambiando così la nostra intera visione del mondo per come lo conosciamo. Come fare? È presto detto. 

Shufelt aveva inventato una “radiomacchina a raggi X”, che secondo lui stava dando risultati meravigliosi nella ricerca delle antiche città lucertoliane. Non è chiaro, da ciò di cui si dispone, di che cosa si trattava. La tecnologia radar era ai suoi albori, e i georadar, in particolare, stavano trovando le loro primissime applicazioni; ma, in questo caso, non si capisce cosa c’entrassero i raggi X. In questa foto comunque vediamo Shufelt con il suo marchingegno, nel 1933-34. 

Shufelt e il macchinario di sua invenzione nel 1935 – UCLA

A questo va unito il fatto che altri due cacciatori di tesori gli avevano fatto avere una vecchia pelle di pecora proveniente da nativi americani sulla quale, secondo loro, era tracciata una mappa approssimativa della città sotterranea! Gli scavi potevano partire… 

Sotto la collina, niente

Il piano di Shufelt alla fine del 1933 era chiarissimo e dettagliato: scavare a grande profondità, usando i fondi a sua disposizione e quelli generosamente forniti da alcuni ricchi maggiorenti di Los Angeles. Il 29 gennaio del 1934, a lavori inoltrati, il Los Angeles Times iniziò a raccontare in toni sensazionalistici quanto stava accadendo. C’era davvero, tutto quell’oro? Sì, forse sì; magari non era quello degli uomini-lucertola, ma quello dei fondatori spagnoli della città e degli altri insediamenti coloniali della California meridionale. In ogni caso, comunque, c’erano da aspettarsi sorprese mirabolanti. L’agenzia Associated Press riprese la storia, che fu subito presentata da un gran numero di quotidiani del resto del Paese. 

Shufelt intanto procedeva con il suo piano. Spiegava che la città sotterranea aveva la forma di una lucertola – mirabile opera di ingegneria della razza perduta! Ne aveva ricostruito in dettaglio la mappa, con indicazioni precise sulla posizione delle varie caverne (tremila metri quadrati l’una) e dei ben sedici grandi depositi di oro. 

La mappa della città sotterranea degli uomini-lucertola – Los Angeles Times, 29 gennaio 1934

Ottenuti i permessi di scavo dalla Sovrintendenza della Contea, si diede da fare cominciando da North Hill Street, passando attraverso luoghi celebri come Sunset Boulevard e la North Broadway: l’accordo era che l’oro sarebbe stato diviso al 50% con l’amministrazione cittadina! 

Scavò sino a quasi cento metri di profondità, sempre più ostacolato da rocce colossali e dalla fanghiglia dovuta alla presenza di un gran numero di risorgive. Non trovò niente di niente. Nemmeno qualche reperto delle culture native, che pure erano fiorite nella zona. Con la fine della stagione invernale, la primavera del 1934 portò con sé piogge intense che bloccarono definitivamente i lavori. 

Non lo aiutò la buona pubblicità che gli era arrivata da Edith Elder Robinson, una medium di Pico Rivera (sempre in California). Cinque mesi dopo l’inizio degli scavi, appresa dai giornali la storia, la sensitiva aveva scritto alla American Society for Psychical Research, principale punto di riferimento di parapsicologi e spiritisti del Paese. A loro, Edith aveva spiegato di aver avuto una visione: una grande città che si stendeva lungo tunnel colossali, che arrivavano sino alla costa del Pacifico. Era sicuramente stata costruita da una razza sconosciuta. Ma anche questa “conferma” servì a poco. 

Quasi da un giorno all’altro, Shufelt e i suoi uomini-lucertola sparirono dalle cronache, così come la “radiomacchina a raggi X”. Poco tempo dopo, passato il clamore, Shufelt andò ad abitare nel distretto di North Hollywood, che è parte di Los Angeles. Lì morì, nel novembre del 1957, senza aver fornito al mondo la prova dell’esistenza degli uomini-lucertola, la cui civiltà avanzatissima era stata spazzata via dai meteoriti cinquemila anni fa. 

Da dove arriva questa storia? 

La caccia alla città d’oro degli uomini-lucertola è una delle manifestazioni precoci di un mito che, molto lentamente, finirà per assumere un ruolo fondamentale nelle fantasie cospirazionistiche e nell’ufologia del Ventunesimo secolo: quello dei rettiliani.

Alla base del racconto fatto da Shufelt nel 1933-34 ci sono alcuni mutamenti culturali generali allora avvenuti da poco. Il pensiero teosofico, diffondendosi in America, si era adattato al contesto di quel continente. Se per la Teosofia britannica ed europea l’origine di tutto era il cuore dell’Asia, per la cultura di massa americana dei primi decenni del Ventesimo secolo i luoghi in cui la storia dell’umanità aveva avuto inizio erano nel Nuovo Mondo. 

Si trattava dunque di stabilire un pensiero occultistico-esoterico autonomo, che – fra le altre cose – guardasse con orgoglio a una propria origine mitica più che antica, cioè pre-storica, archetipale. Ed ecco che, rapidamente, il Tibet e l’India dei teosofi europei si spostano nell’estremo ovest degli Stati Uniti, nelle terre degli indiani, selvaggi e sapienti allo stesso tempo, nel culto della natura indomita del Nordamerica sconfinato, oppure nel giardino di casa, l’America latina delle civiltà pre-colombiane prive di scrittura. Sorsero miti di ogni genere, che, in parte, attingevano in maniera importante alle mitologie delle popolazioni native, di norma rilette attraverso il filtro dei bianchi vincitori. Comparvero così montagne sacre come il vulcano spento dello Shasta, antropoidi scimmieschi sfuggiti all’evoluzione come i vari tipi di Sasquatch, Atlantidi del Pacifico poste lungo le coste del moderno Eldorado, cioè la California, e – non ultime – storie su esseri di tipo rettiloide.   

Non era necessario che questi rettiloidi fossero considerati direttamente esseri extraterrestri: le moderne mitologie teosofiche, da cui traevano origine racconti di questo genere, erano prima di tutto dottrine delle razze; servivano a spiegare la varietà antropologica e l’esistenza della vita su “piani” diversi. Tutto ciò includeva in modo quasi naturale una serie di ragionamenti sugli altri pianeti, sia quelli del sistema solare, sia altri mondi del tutto immaginari. Per questo, anche se Shufelt non faceva riferimento a una provenienza “extraterrestre” dei suoi lucertoloni, la sua linea era la stessa di altri personaggi di cui vi diremo adesso. Negli Stati Uniti, infatti, gli stessi elementi che compongono le teorie di Shufelt compaiono in diverse opere di letteratura, alta o popolare.

Prima di Shufelt: Lovecraft

Il padre moderno della mitologia di una specie (anzi, razza) di rettili bipedi altamente evoluti, e che prosperarono prima di un evento catastrofico, è Lovecraft. Ne La città senza nome, uscito per la prima volta nel novembre del 1921 su The Wolverine, c’è già, se non tutto, l’essenziale. 

Tanto per cominciare, in quel racconto è fondamentale l’idea della ricerca di un passaggio segreto: in quel caso, la città senza nome si cela sottoterra in Arabia (dunque, ancora in un Oriente inaccessibile); nelle versioni americanizzate del mito si passa allo Shasta, a Los Angeles o alle coste assolate della California del Sud, oppure a deserti come quelli del Mojave (sempre in California). Nelle viscere cave che giacciono sotto di noi si trovano i resti di una civiltà i cui abitanti riposano in una serie di bare. È costituita da una razza di super-coccodrilli evoluti, alcuni dei quali – scoprirà il protagonista del racconto – sono sopravvissuti, e vivono in una specie di nebbia che aleggia nelle cripte. 

Forse per la tendenza di Lovecraft a mescolare dati storici, letteratura preesistente e creatività senza limiti, racconti come La città senza nome furono accolti come verosimili da una parte dell’ambiente occultistico americano di massa. 

Nel 1933-34, come abbiamo visto, troviamo invece la fantasia (tutto sommato piuttosto innocua) di George Shufelt, costruita in parte intorno alla popolarità della città segreta sotto il monte Shasta; ai primordi dell’era ufologica contemporanea, infine, ne avremo di più sinistre e disturbanti. 

Rotta verso il cospirazionismo e oltre

Nel 1946 comparvero i primi scritti di una coppia d’autori la cui stessa esistenza è incerta, ossia William e Gladys Hefferlin (forse da identificarsi nell’editore e scrittore di fantascienza Raymond A. Palmer). 

Nel 1947-48, su Amazing Stories (la rivista dello stesso Palmer), esce A Description of Rainbow City: qui gli Hefferlin pretendono di descrivere una città fatta di mattoni colorati che si cela sotto l’Antartide, costruita in tempi remotissimi da marziani che adesso, nel nostro tempo, volano nei cieli della Terra con le loro astronavi. Questi velivoli escono da Rainbow City grazie a cunicoli lunghissimi che si estendono lungo tutta la superficie della Terra. Il mediatore dei coniugi Hefferlin è Rani Khatani, uno dei Tre Anziani di Marte che governano Rainbow City. La città (e il nostro mondo, in potenza) sono però minacciati da esseri dall’aspetto di grandi lucertole, provenienti da Venere: da sempre, infatti, Venere e Marte sono due poli opposti in una guerra che coinvolge a nostra insaputa l’intero sistema solare. 

Se per Shufelt i lucertoloni erano ormai estinti, quelli di Hefferlin (chiunque egli fosse) erano invece vivi e vegeti, e per giunta legati direttamente ai viaggi interplanetari con le astronavi. I tempi erano maturi perché le mitologie occultistiche-teosofiche conquistassero definitivamente lo spazio. 

Robert Ernst Dickhoff, da “Agartha”

Qualche anno dopo, con i dischi volanti ormai ovunque, il mito dei rettili super-intelligenti e malvagi si avvitò su stesso ancora di più grazie a un personaggio assolutamente fuori dalle righe, Robert E. Dickhoff (1904-1991). Dickhoff scrisse davvero di tutto, ma per quello che ci interessa qui è rilevante in particolare un libro, Agharta (1951). 

La città nascosta di Agharta non è altro che “il santo rifugio del mondo buddista, situato nella valle di Sangpo, in Cina”.  Ma per i suoi abitanti non è stato facile raggiungere questa condizione, perché: 

Prima che Agharta diventasse la Città Santa riconosciuta e usata dai lama buddisti, essa è stata ripulita dai rimanenti serpenti venusiani adeguatamente mascherati da esseri umani, che avevano retto questa città definitiva per interi eoni e dal cui caposaldo diffondevano una malvagia propaganda, volta a combattere la mentalità dei maghi marziani [che nella visione di Dickhoff sono buoni, NdR]. Grazie al principio della reincarnazione, [i venusiani, NdR] sceglievano anche i corpi umani. Mi è stato detto che l’opera di pulizia è stata fatta da 500 lama cui il Gran Lama aveva ordinato di marciare sulla roccaforte del Maestro del Male dei maestri del male [sic], colui che è noto come il “Re del mondo”. 

Siamo salvi, allora? Ma manco per idea. Dickhoff spiega, riprendendo il “manoscritto Hefferlin”, che gli agenti di Venere, i serpentoni, si celano in tutto il mondo, e che aspettano il momento adatto per riprenderne il controllo: questo accadrà quando da Venere arriveranno in massa a soccorre i membri della loro razza. I serpentoni però per il momento sono quasi tutti in attesa dentro grandi cripte sotterranee, in sospensione animata grazie a un gas misterioso. Devono essere distrutti, prima che gruppi di umani malvagi e agli ordini di Venere li aiutino a risvegliarsi, in vista dell’arrivo delle astronavi dal pianeta madre. 

In questo modo, attraverso il passaggio decisivo del manoscritto Hefferlin, Dickhoff si ricollegava in maniera delirante al racconto di Lovecraft: serpentoni nelle bare, città sotterranee, la “nebbia” che nel suo libro diventa il gas che li tiene vivi in attesa del risveglio. 

Se il mal di testa non vi ha colti prima, sappiate una cosa: quella che vi abbiamo presentato è (parte) della linea narrativa che conduce sino alle odierne paranoie cospirazioniste, quelle sull’élite dei rettiliani malvagi che, in segreto, governerebbe il mondo in combutta con politici, monarchi, miliardari, capi religiosi, scienziati, eccetera eccetera. 

Il più celebre protagonista della folle “cospirazione rettiliana” è l’inglese David Icke. È stato lui a rendere celebre il mito in tutto il mondo, realizzando un’intera saga letteraria e altri prodotti di successo venduti in milioni di esemplari. È lui, al momento, uno dei maggiori sostenitori della teoria secondo cui il mondo intero sarebbe dominato segretamente da lucertoloni con un pessimo carattere. 

Possiamo prenderla come ci pare, ma una cosa non può essere trascurata: le saghe di Icke vengono (fra le altre cose) da fantasie come quelle di cui vi abbiamo detto. E di quelle fantasie sinistre, oggi, nel mondo, si nutre un numero sempre più vasto di persone. Per molti di loro, noi due che scriviamo, voi che leggete e molti altri come noi, siamo agenti del male cosmico che controlla il mondo; oppure, nella migliore delle ipotesi, degli utili idioti.

Immagine in evidenza: riproduzione speculativa di un reptoide presso il NC Museum of Natural Sciences, foto di Kate Skegg, da Flickr, licenza CC BY-NC-SA 2.0

2 pensieri riguardo “Rettiliani sotto Los Angeles!

  • Il complottismo alla fine ricicla tutto, o quasi. Puoi sempre trovare qualcuno che dopo mesi, anni o decenni rispolvera vecchio materiale per dargli nuova vita nel contesto della propria teoria cospirazionista. È un processo apparentemente infinito, cui oggi i social hanno dato nuove opportunità.

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  • Ritengo che ci sia una forte correlazione fra il raccontare fiabe ai bambini, storie fantastiche agli adolescenti (abitudini presenti fin da tempi ancestrali rinforzate più di recente dai film fantasy) e la propensione da adulti a credere alla realtà di racconti mitologici.
    Non so se sostituire fiabe, storie e film fantasy con la “descrizione scientifica del mondo” potrebbe avrebbe effetti collaterali negativi e quali potrebbero essere (bisognerebbe esaminare la questione alla luce delle attuali conoscenze della psicologia dell’età evolutiva), ma sono certo che avrebbe la conseguenza benefica di una raficale diminuzione della creduloneria nel mondo.
    PS Una conseguenza negativa sarebbe sicuramente la scomparsa di encomiabili associazioni quali il CICAP in quanto diventare superflue…

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