L’Ufo di Pertinace: monete ufologiche nel Cuneese
Giandujotto scettico n° 110 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (24/03/2022)
Tra gli imperatori romani, non molti ricordano Publio Elvio Pertinace (126-193), nato ad Alba Pompeia, l’odierna Alba, nelle Langhe cuneesi. Sarà che il suo regno durò pochissimo: appena tre mesi, dal primo gennaio al 28 marzo del 193. Viveva in tempi inquieti, il generale Pertinace: aveva preso il potere dopo l’assassinio di Commodo, e fu a sua volta ucciso in una congiura di pretoriani, che si aspettavano la confisca dei beni e l’imprigionamento dei fiancheggiatori del suo predecessore, atto che il nuovo imperatore non volle portare a termine. Dopo di lui, una guerra civile insanguinò Roma per quattro anni, con imperatori che si alternarono in rapida successione uno di seguito all’altro: il 193 è ricordato nei libri di storia come “l’anno dei cinque imperatori”.
Eppure, Pertinace si è ritagliato il suo spazio nella sempre impagabile letteratura ufologica grazie ad alcune sue monete arrivate fino a noi. Una parte di queste era conservata proprio ad Alba, sua terra natia. Ed è qui che inizia la nostra storia.
Presso il museo Federico Eusebio di Alba sono state a lungo conservate diverse monete coniate dallo sfortunato imperatore in quei tre mesi dell’anno 193. Non deve stupire il fatto che Pertinace, appena installato sul trono, si fosse affrettato a realizzare un nuovo conio: quest’operazione, infatti, aveva i tratti di un vero e proprio manifesto politico e religioso. Sulle due facce delle monete, circolanti in tutto l’immenso territorio dell’Impero, trovavano spazio slogan, alleanze, propaganda, intenzioni programmatiche e valori fondanti del nuovo regno (per approfondire questo aspetto, vi consigliamo questa lezione di Alessandro Barbero).
Nel 1960, le poche monete che Pertinace fece in tempo a produrre arrivarono all’attenzione di Remo Cappelli (?-1996), noto numismatico, autore di manuali di manuali sul tema e, da giovane, concorrente per la stessa categoria nel popolarissimo programma televisivo Lascia o Raddoppia. Ma cosa aveva suscitato la sua curiosità? Ebbene, su alcune di queste monete sembra esser mostrato… un Ufo, o qualcosa di molto simile.
Si tratta di un denario d’argento coniato in Siria nel 193, il cui diritto raffigura, com’era usanza, l’imperatore. Sul rovescio, invece, c’è una donna in piedi con la mano piegata ad indicare un oggetto sospeso, una “sfera con delle punte”; intorno a lei, le parole Providentia Deorum Cos II. Secondo Cappelli, quell’oggetto fluttuante era troppo diverso dalle normali rappresentazioni del Sole o della Luna: poteva forse raffigurare un fenomeno celeste anomalo, forse non troppo diverso da quei dischi volanti che, nel 1960, erano sulle pagine di tutti i giornali ormai da tredici anni.
Per quanto ne sappiamo, Cappelli se ne occupò una prima volta sul settimanale Vita del 22 febbraio 1960, e poi – subito dopo la grande ondata ufologica dell’autunno 1978, che riportò in auge i dischi volanti e condusse a veri picchi di mania collettiva per gli Ufo – su una rivista di settore (La Numismatica, n. 2, febbraio 1979).
Tuttavia, già dopo il primo articolo di Cappelli la cosa aveva attirato l’attenzione di un seguitissimo scrittore, interessato a qualsiasi cosa potesse essere anche lontanamente associabile a un “mistero”: Pier Domenico Colosimo, in arte “Peter Kolosimo” (1922-1984). Nel 1973, Kolosimo, che aveva un talento incredibile nel valorizzare a fini giornalistici argomenti molto diversi, presentò la moneta notata da Cappelli in un elenco di monete dal sapore “extraterrestre”. L’articolo uscì sul n. 9 dell’effimera rivista da lui diretta, Pi Kappa (oggi ricercatissima: esiste un piccolo ma agguerrito nucleo di fans di Kolosimo) e poi in uno dei suoi best seller, Non è terrestre (Sugar, Milano, 1973). Per lui si trattava di
un vero e proprio globo con antenne stranamente simili a quelle dei nostri primi satelliti artificiali. […] Numerosi esperti, dopo aver accuratamente esaminato la moneta, sono stati concordi nell’affermare che l’oggetto rappresentato non può essere né il Sole, né la Luna, né un altro corpo celeste. Questa certezza proviene dal fatto che i quattro “raggi” del globo in questione sono disposti in maniera del tutto diversa da quella caratteristica alle solite rappresentazioni degli astri. […] Osservando attentamente la moneta, non si può fare a meno d’osservare come la raffigurazione sia fin troppo curata: l’ignoto artigiano sapeva perfettamente che cosa doveva e voleva rappresentare, ed è per lo meno sbalorditiva la rassomiglianza dell’oggetto (antenne comprese, come abbiamo fatto rilevare) con i veicoli da noi posti in orbita intorno alla Terra.
Se non fosse stato per la popolarità di Kolosimo, probabilmente la storia della moneta di Pertinace sarebbe rimasta una questione marginale. A dare il giro di boa, però, furono gli ufologi extraterrestrialisti del Centro Ufologico Nazionale: sul numero di maggio 1979 della loro rivista Notiziario UFO ripresero con entusiasmo il nuovo articolo di Cappelli uscito in febbraio su La numismatica. Pochi mesi dopo, sempre su Notiziario UFO (n. 89, ottobre 1979), scese in campo anche l’ufologo Renato Vesco, che – siccome sin dai primi anni ‘50 non credeva agli Ufo extraterrestri, ma che i dischi volanti fossero armi segrete… britanniche con le quali i londinesi erano sbarcati su Marte nel 1954 – ipotizzava potesse trattarsi di un fenomeno meteorico e identificava la figura femminile con la dea Syria (Atargatis, già ellenizzata in Astarte, dal greco aster = stella).
Se ne occuparono anche quotidiani e periodici vari. Un riflesso locale è questo articolo de Il Monferrato, apparso il 1° dicembre 1979. Gianni Settimo, direttore della rivista Clypeus (un’esperienza torinese che si intrecciò a lungo con il Piemonte misterioso), parecchi anni dopo provò ad azzardare un’altra ipotesi: forse un punzone errato poteva aver prodotto quelle strane punte nel conio della moneta (Clypeus, n. 95, 1993, e ancora sui n. 96 e 101 del 1994 e del 1995). Settimo era un guascone e un goliardo ma, a modo suo, un razionalista.
Inutile dire che l’idea del disco volante impresso a futura memoria ha avuto un inevitabile successo, e che è diventata un must per i credenti negli Antichi Astronauti. Parlano della moneta di Pertinace un apostolo a tutto tondo degli alieni come Roberto Pinotti in Angeli, dei e astronavi (Mondadori, 1991) e, in toni assai più pacati e analitici, Umberto Cordier nel suo Dizionario dell’Italia misteriosa (Sugar, 1991).
L’idea ufologica retrostante è quella di un “paleocontatto” ricco di conseguenze culturali: gli uomini del passato, vedendo le astronavi aliene, le avrebbero rappresentate ovunque, assegnandovi un ruolo iconografico eminente – testimonianze imperiture di un’antica interazione che ha determinato il futuro (e, dunque, il nostro presente). L’idea dietro è abbastanza curiosa, sintetizzabile nel motto: “ciò che disegnarono è ciò che videro”.
Insomma, è come se tutte le opere pittoriche e scultoree debbano rappresentare qualcosa di visto e di esperito, e non piuttosto concetti, idee astratte, allegorie, pensiero. Si tratta di una caricatura dell’antropologia, dell’archeologia e della storia antica tanto priva di supporto nei dati quanto elaborata. Il ragionamento si basa sull’idea che i nostri progenitori avessero meno fantasia di noi, e che le loro rappresentazioni – seppur approssimative e piene di errori – non potessero che riferirsi a cose concrete. Cose concrete, che – anche questo va notato – si premunirono di trasmettere a noi, che, naturalmente, non aspettavamo altro che sapere da loro. Sempre in questo senso, saremmo noi moderni ad usare l’astratto, il non figurativo, l’arte concettuale. Prima, illo tempore, si rappresentava meglio la realtà.
Potrete tranquillamente smentire queste fantasie rivolgendovi al vostro storico o esperto d’arte di fiducia: le monete romane, ad esempio, rappresentavano spesso immagini allegoriche come l’Equitas (giustizia), l’Aeternitas (eternità) o la Concordia.
Le monete di Pertinace vanno, come ogni reperto storico, viste nel loro contesto per capire cosa rappresentavano, e non guardate con gli occhi di un uomo del Ventunesimo secolo inoltrato. Anzi, con quelli di alcuni uomini degli anni ‘70 del secolo scorso: già adesso l’idea kolosimiana di un disco volante pieno di antenne fa tenerezza.
Le astronavi descritte dai testimoni nei primi decenni della storia ufologica non avevano le forme lisce e sinuose che diventeranno prevalenti in seguito. Molti – dovendo ipotizzare la forma di un velivolo alieno – lo immaginavano irto di antenne, oblò, cupole e altri gadget, simbolo delle radiocomunicazioni e dell’elettronica (e in linea con le immagini dello Sputnik che dal 1957 avevano diffuso un nuovo modo di guardare al cielo; Kolosimo stesso – vero promotore delle “monete di Pertinace” – era un grande fan dell’estetica e dei linguaggi dell’Unione Sovietica di quei decenni). Insomma: signora mia, nemmeno gli Ufo sono più quelli di una volta.
La fama del nostro “denario extraterrestre” ha subito un colpo decisivo dalla disponibilità recente, in rete, di fotografie ad alta risoluzione della moneta in questione e di una sfilza di monete simili.
Così ne parla Diego Cuoghi in un sito dedicato alle presunte rappresentazioni ufologiche dell’arte antica:
L’immagine proposta [da Remo Cappelli] risulta però sfocata e la moneta molto rovinata e consumata, tanto che neppure la scritta appare leggibile. […] Esistono foto migliori delle monete di Pertinace? Certamente, e non è stato difficile trovarle in diverse pagine web che trattano di numismatica. Proviamo a ingrandirne due, per osservarle meglio (ma anche le altre possono essere ingrandite). Notiamo prima di tutto che le monete non sono uguali, non derivano infatti dallo stesso conio. Ognuna presenta varianti più o meno evidenti, ad esempio le cosiddette “antenne” sono sei o otto e non presentano rigonfiamenti.
Può darsi che l’esemplare osservato da Cappelli fosse una ulteriore variante, ma sappiamo bene che anche le monete tratte dallo stesso conio a causa del colpo del martello più o meno deciso, più o meno regolare, potevano presentare sfasature, decentramenti dell’immagine o altre irregolarità.
Ma torniamo al nostro particolare misterioso. Mi piacerebbe fare una domanda a chi in questo momento sta osservando le monete: “Cosa pensate che sia quell’oggetto verso il quale tende le braccia la Provvidenza Divina?”. Si direbbe una raffigurazione del Sole o una Stella (anche i cataloghi di numismatica definiscono il particolare come “globo radiato” o stella), certamente non un “satellite artificiale” come propongono gli autori sopracitati.
Ma soprattutto, a differenza di quanto affermava Kolosimo, non è vero che la rappresentazione della stella fosse molto diversa da quelle di altri astri presenti su monete romane. Diego Cuoghi ne ha mostrato in maniera conclusiva un’infinita varietà.
Certo, rimane la possibilità che si trattasse della rappresentazione di un fenomeno astronomico come i tanti che venivano segnalati in cielo ogni giorno e ogni notte. Il concetto di meteorite era lontanissimo dalle conoscenze del tempo, e il passaggio di un bolide o di una cometa, turbando l’apparente eternità della volta celeste, produceva tentativi d’interpretazione di ogni tipo.
Però questi oggetti naturali (ricordiamo il piccolo dettaglio: mica erano Ufo) entravano nell’annalistica come prodigi o segni celesti, magari legati a eventi di particolare rilievo per l’impero Romano, oppure legati alle crisi culturali connesse alla sua fine (basti pensare ad autori tardo-latini come Giulio Ossequente e Rutilio Namaziano). Difficile capire, in certi casi, in che misura si trattasse di memorie di eventi astronomici o meteorologici accaduti, oppure di simboli e segni inseriti nelle cronache e nelle rappresentazioni per segnalare ex post la nascita di un futuro imperatore o l’imminenza di una guerra o di una sventura.
Negli anni più prossimi a noi la moneta di Pertinace è un po’ scomparsa dal panorama del mistero (anche se un’altra lettura critica, quella di Stefano Struffolino Krueger, è apparsa nel 2003 sulla Rivista Italiana di Numismatica e scienze affini, Vol. CIV, pp. 561-564, come qui ricordato). I libri sugli OOPArt preferiscono rivolgersi a oggetti più lontani, magari irraggiungibili o scomparsi per sempre, o assai più adatti alla post-modernità in cui viviamo. Il modesto denario ufologico piemontese era forse troppo prossimo al nostro contesto culturale per portare a eccessivi fraintendimenti, e quindi troppo poco malleabile per inserirlo nella narrativa del contatto.
Più che parlarci del passato, ci parla di un mondo un po’ ingenuo e in parte scomparso, dove bastava una scampagnata fino a un museo di Alba per trovarsi sotto gli occhi il pezzo di un altro universo, promosso con entusiasmo dagli appassionati piemontesi di dischi volanti. Sospiri a parte per quel mondo ormai scomparso, gli Ufo di oggi non sono davvero più quelli di una volta: e forse va bene anche così.