Oira, 1959: intervista col fantasma
Giandujotto scettico n° 111 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (07/04/2022)
Uno dei fenomeni più interessanti che abbiamo scoperto grazie al Giandujotto Scettico è quello delle cacce ai fantasmi: un tempo accadevano spesso. Capitava quando si diffondeva la voce di una manifestazione misteriosa che metteva in subbuglio la comunità e impauriva i più impressionabili; in questi casi, decine di persone si mettevano insieme per indagare e individuare l’autore dello scherzo (perché di questo di solito si trattava) e punirlo, anche passando alle vie di fatto.
Per i partecipanti a queste cacce in piena regola c’era forse la volontà di chiarire il mistero, di mettere alla prova il proprio coraggio, passare una serata diversa dal solito e, probabilmente, anche quella di dare una bella lezione a chi – con scherzi di cattivo gusto – andava a turbare, sia pure per breve tempo e in maniera superficiale, quasi “autorizzata”, il quieto vivere e i ritmi della collettività, non ultimi quelli dell’alternarsi veglia-sonno, visto che di solito lo scenario di questi episodi collettivi era serale e notturno. In Piemonte, due casi interessanti sono costituiti dai ghost riots di Chieri (1956) e di Nole Canavese (1976), ma qualcosa di molto simile è accaduto, in tempi recentissimi e su vasta scala, con il fenomeno della Samara-mania del 2019.
Ma cosa c’era, invece, nella mente di chi “faceva il fantasma”, rischiando anche le botte? Raramente abbiamo il punto di vista dello spettro. Una gustosa eccezione, però, è costituita dal caso verificatosi nel 1959 a Oira, frazione di Crevoladossola, sulla sponda occidentale del fiume Toce. Nella nostra cronologia della lunga saga dei travestimenti da spettro si tratta di una storia tarda: il grosso delle vicende di questo tipo, infatti, si colloca fra la seconda metà dell’Ottocento e la Seconda Guerra Mondiale.
Il 16 settembre del 1959, dunque, il periodico di Verbania Eco Risveglio pubblicò un articolo intitolato “Scherzo, fantasia o allucinazione collettiva”. Vi si raccontava che la “pacifica e amena borgata” viveva da alcuni giorni nell’ansia a causa di una strana luce che si aggirava a notte inoltrata nelle vicinanze della minuscola località di Pontiggia:
Quasi ogni notte illune i pacifici abitatori di quel rione vedono aggirarsi fra la frazione Ca’ Nova e la Pontiggia che allaccia Oira al Comune di Montecrestese, delle strane ombre, talvolta illuminate da una specie di lumicino, che vagano nella campagna circostante creando un senso di brivido specialmente fra i ragazzi e le vecchie massaie.
Per molti si trattava di fantasmi: le leggende piemontesi, in effetti, hanno tramandato, sia pure in termini precari dal punto di vista documentale, numerosi racconti su anime in pena che si manifesterebbero come lumi vaganti nella notte, fuochi fatui e fiammelle. A seconda dell’interpretazione, poteva trattarsi di bambini morti senza battesimo, di fantasmi penitenti che espiavano le proprie colpe con processioni notturne oppure di manifestazioni legate alla stregoneria.
A Oira, però, non mancavano ipotesi più razionali e “moderne”: c’era chi dava la colpa a un “senso di allucinazione prodotto da qualche riflesso delle quiete acque del Toce”, o a qualche scherzo messo in atto da proprietari terrieri per tener lontani i ragazzini e impedire furtarelli di uva nei propri poderi. In effetti, a metà settembre, il periodo era quello giusto per pensare a una cosa del genere.
Come accade in queste storie, gruppetti di giovani si misero insieme per tranquillizzare gli animi. Il primo tentativo venne fatto da un ventenne, che accompagnato da un bastone e un grosso mastino, si mise in cerca della luce fantasma; secondo il settimanale, però, dovette tornare sui suoi passi “quasi febbricitante”. Poi, altri due tentarono l’impresa, ma senza alcun risultato.
Alla fine, scattò la vera e propria caccia collettiva al fantasma. Eco Risveglio parlava di
un’intera spedizione punitiva composta di contadini, boscaioli, e persino di industriali e intellettuali armata di tutto punto con bastoni, randelli, ecc., e accompagnata da veri alani.
Numerosi abitanti della zona pronti a tutto pur di difendere la comunità da quella “minaccia”… Il risultato fu un “estenuante inseguimento” nella notte, conclusosi con il ritrovamento di uno “sdrucito lenzuolo di canape”.
E di nuovo, nel paese fioccarono supposizioni, che andavano dallo “spirito di qualche anima defunta”, allo scherzo messo in atto da qualcuno per “misurare il coraggio dei giovani del paese”… Il settimanale concludeva sostenendo che per risolvere la questione era stato invitato sul posto un “Crevolese specialista nella posa di speciali oggetti per la cattura degli spettri”. Di chi si trattasse, non è dato saperlo. Nelle settimane successive all’episodio sulla storia non compaiono altre notizie: forse l’esperto rifiutò l’invito, forse il suo intervento non diede i risultati sperati e passò in sordina. Ad ogni modo, il settimanale non si occupò più della storia e la vicenda disparve. Peccato, però: sarebbe stato interessante capire chi fosse il misterioso acchiappafantasmi ossolano, e quale strumentazione avesse a disposizione.
In compenso, questa volta, abbiamo l’interessante punto di chi partecipò a quella caccia collettiva… Dall’altro lato, quello del “fantasma”. Per avere la sua testimonianza ci vollero quasi sessant’anni.
Ai primi del 2016, infatti, un ottantenne con “simpatici baffetti” si presentò alla redazione di Eco Risveglio con in mano il ritaglio di giornale del 1959. Pur chiedendo di mantenere l’anonimato, il visitatore raccontò ai cronisti quella “pazzia” commessa in gioventù: era stato lui a causare tutto quel trambusto, tanti anni prima.
Avevo vent’anni, e quella sera ero a casa di conoscenti per un rosario. Due donne mi dissero che alcune sere dalla finestra si vedeva una strana luce nelle acque della Pontiggia. E quella sera senza luna si vedeva bene. Allora presi il cane e scesi a vedere. Arrivato giù riuscii a capire che la luce era il riflesso di un faro di un cantiere sulla montagna a circa un chilometro e mezzo. Gli operai l’accendevano quando dovevano scaricare il materiale, per questo non si vedeva sempre. (Eco Risveglio, 21 gennaio 2016)
A quel punto il giovanotto tornò indietro ma, invece che raccontare la verità, pensò bene di fare uno scherzo, e disse di aver visto un fantasma, “per vedere l’effetto che fa”. E l’effetto fu quello di spargere immediatamente la voce in tutto il paese: qualcuno andò al ristorante Mosoni e raccontò la storia, tutti cominciarono a parlarne, un paio di amici del giovane decisero di andare a vedere. Era l’inizio di quella caccia di cui parlava Eco Risveglio.
A questo punto il protagonista della nostra storia era già tornato a casa; avrebbe potuto chiudere lì la questione e andarsene a letto, lasciando che i suoi amici brancolassero nel buio alla ricerca dell’apparizione. E invece no. Per continuare lo scherzo si armò di una torcia, si mise un lenzuolo in testa e scese alla Pontiggia. Quando arrivò lì si rese conto che non c’erano solo i suoi amici, ma diverse persone che, scorgendolo, iniziarono a gridare: “Eccolo lì, prendiamolo!”
Racconta ancora il fantasma:
Mi misi a correre con sopra il lenzuolo e finii col rifugiarmi sotto il sasso che faceva da guado. Mi urlavano esci, rischiavo di prendermi delle legnate. Poi però, approfittando di una distrazione, riuscii a fuggire. L’inseguimento riprese, avevo perso la torcia. Era buio. Arrivai in un campo di meli. Lasciai il lenzuolo a terra e mi arrampicai su una pianta. Arrivò un gruppetto, con anche mio fratello, vide il lenzuolo ma non si accorse di me, con un po’ di diffidenza lo raccolsero e lo portarono dagli altri al ristorante. Qui c’era anche l’avvocato Ferraris, che fu sindaco di Domo, l’esaminò e vide le iniziali ricamate V.M.; era da poco tempo morta una persona con quelle iniziali e qualcuno pensò che fosse tornato a manifestarsi dall’al di là, mentre quelle erano le iniziali di mia madre.
Il nostro ex-spettro aveva ragione di darsela a gambe: spesso queste cacce potevano diventare violente e portare al pestaggio del burlone di turno; a volte, addirittura, poteva scapparci il morto, come fu per i casi dello “stregone di Treiso” o della sentinella di Aosta. Nel nostro episodio, il giovane riuscì a sottrarsi alla furia della folla; tornò a casa bagnato fradicio per il tuffo nel guado e disse alla sorella di non raccontar nulla di quell’avventura. Nei giorni successivi arrivarono pure i carabinieri a “dare un’occhiata”. Il protagonista spiegò, nel 2016, di essersi preso una gran paura… E forse per questo non mise in scena altri show.
La sua testimonianza, sia pure a così grande distanza, per noi è merce preziosa: difficilmente ci pervengono le parole di chi metteva in scena apparizioni di fantasmi, dischi volanti, marziani, luci, poltergeist e di altre cose “misteriose” (e che rischiava di essere inseguito e scoperto dalla folla, o anche denunciato per procurato allarme o simulazione di reato). Ci mostra uno spaccato di storia di provincia costellata di piccoli scherzi, “spedizioni punitive”, voglia di mistero e meccanismi collettivi che, tutto sommato, sarebbe interessante studiare meglio sotto il profilo antropologico, sociologico, psicologico.
Foto di Syarafina Yusof da Unsplash