Il mito del Faust e i Poteri soprannaturali del “patto”
Chi conosce il CICAP sa che il Comitato Italiano per il Controllo delle affermazioni sulle Pseudoscienze (sul Paranormale, all’origine) nasce da un’intelligente iniziativa di Piero Angela con lo scopo di creare un’organizzazione scientifica educativa al fine di capire come stanno effettivamente le cose riguardo al mondo del paranormale, soprattutto in un periodo in cui il fascino di scoprire eventuali poteri soprannaturali presenti nella nostra mente, aveva invaso mezzo mondo.
Da sempre i poteri soprannaturali (oltre la natura, oltre le conoscenze della fisica, possiamo dire) hanno affascinato l’uomo a tal punto che moltissimi artisti – nel corso dei secoli – hanno raccontato, attraverso le loro opere, il cosiddetto patto col diavolo, ovvero un accordo in cui l’essere umano cede la propria anima al principe delle tenebre pur di ottenere in cambio benefici di ogni genere, quali possono essere ricchezze o (proprio) poteri paranormali di varia tipologia. E la letteratura mondiale è ricca di questi racconti. Per non parlare poi del cinema e delle fiction TV.
Il CICAP si è occupato a lungo delle questioni legate alle presunte possessioni, sia in chiave antropologica sia dal punto di vista psicologico. In questa sede vorrei citare gli studi compiuti dallo psicoterapeuta Armando de Vincentiis (che potete trovare in rete). Precisiamo che il CICAP non entra assolutamente in merito alle credenze religiose, ma si occupa soltanto dei fenomeni che sono ritenuti “paranormali” per cercare di capire come siano potuti avvenire (e se davvero il fenomeno esiste).
Molte culture religiose usano la parola “possessione” per indicare la presenza di un’entità sovrannaturale. In base a tale credenza (spesso demoniaca) questa entità prenderebbe il comando del corpo e della mente di un individuo e si manifesterebbe attraverso vari prodigi. Gli studi antropologici delle differenti espressioni di possessione in differenti culture, hanno permesso di distinguere, per esempio le “possessioni bianche” (il soggetto ospita uno spirito buono con la funzione di portare saggezza e buoni consigli all’interno di quella comunità) da quelle “nere” (spiriti del male). I fenomeni di possessione rappresentano la conseguenza di un credo religioso, dove il fenomeno che si manifesta avviene in modo diverso in base alla cultura di appartenenza e segue le regole di quel determinato rituale e gruppo. Avremo così comportamenti e rituali diversi tra gli sciamani, tra i differenti culti animisti, così come tra i cristiani (cattolici, ortodossi, ecc.), gli ebrei e i musulmani. Il diavolo, insomma, si comporta in modo diverso in base alla religione e al contesto culturale (in alcuni casi nemmeno esiste la sua credenza). Per un discorso più articolato invito il pubblico a visitare le pubblicazioni del CICAP, anche sul sito online.
Veniamo adesso a come la grande letteratura ha raccontato l’incontro col diavolo e nello specifico il famoso patto che attraversa tutta la narrativa e altre forme d’arte europee. Nel periodo della “caccia alle streghe” (Medioevo, Età Moderna) si credeva che le persone che praticavano la stregoneria acquisissero i poteri attraverso un patto con i demoni (che poteva includere anche rapporti sessuali). Ed era la demonologia cristiana ad arrivare a queste conclusioni basandosi su alcuni passi biblici oppure interpretando, molto liberamente, alcuni scritti di Agostino e di Tommaso d’Aquino (si può vedere, per esempio, il libro “La caccia alle streghe in Europa” di Brian Levack, Laterza).
Esistono varie descrizioni del modo in cui può avvenire un patto col diavolo, ma generalmente si tratta di un contratto a tempo indeterminato (ma non sempre) dove il soggetto richiede dei benefici e ottiene dei poteri sovrannaturali; in cambio il demone si rivale su di lui dopo la sua morte. La Chiesa cattolica ricorda la figura di Teofilo di Adana, vissuto nel VI secolo, come colui che fece un patto col diavolo per acquisire una carica ecclesiastica. Questa sembra essere la leggenda più antica nel descrivere un patto demoniaco e che, probabilmente, influenzò la storia del Faust di cui parleremo tra poco, soprattutto nella versione più nota nel mondo letterario: quella di Johann Wolfgang Goethe. Cito anche il piacevole e divertente romanzo di Balzac “La pelle di Zigrino”, dove il protagonista fa un patto e acquista poteri magici per la pelle di un asino che esaudisce i suoi desideri, ma in cambio il diavolo gli accorcia sempre di più la vita; e il notissimo romanzo di Oscar Wilde, “Il ritratto di Dorian Gray”, dove il protagonista esprime il forte desiderio di restare sempre giovane, affermando che farebbe qualsiasi cosa pur di non invecchiare, anche dare la sua anima (rammento la versione cinematografica del 2009, “Dorian Gray”, pellicola diretta da Oliver Parker).
La tradizione letteraria intorno a questi temi ci conduce verso il mito del Faust, e a un certo Johann Faust, un alchimista (mago e astrologo tedesco) nato a Knittlingen (nel Baden-Württemberg) nel 1480. Ma definire i contorni storici del personaggio non è semplice e la sua esistenza reale è stata spesso messa in dubbio. Uno dei primi grandi autori europei a trattare questi argomenti, e la storia del dottor Faust, è stato Christopher Marlowe (il noto poeta e drammaturgo britannico del secondo Cinquecento) in un’opera teatrale dal titolo La tragica storia del Dottor Faust dove si narra la storia di uno studioso avido di conoscenza che vuole andare oltre il sapere accademico della medicina e della teologia, e quindi intraprende lo studio della magia nera fino a che gli appare Mefistofele (e in seguito anche Lucifero) con il quale stipula il patto per ventiquattro anni, trascorsi i quali il diavolo si prenderà la sua anima (l’opera ha influenzato anche una parte delle opere teatrali del grande William Shakespeare).
L’esempio più noto del patto col diavolo nella letteratura è senz’altro la leggenda tra il filosofo (e mago) Faust e Mefistofele (il diavolo specializzato a prendere forme umane) raccontata da Goethe il quale vi lavora per quasi tutta la vita (sessant’anni degli ottantatre vissuti). Grazie a quest’opera il suo autore diventa il massimo scrittore in lingua tedesca di tutti i tempi. L’opera può dirsi conclusa nel 1832 (lo stesso anno in cui muore Goethe) con una gestazione piuttosto articolata che non ci interessa ripercorrere in questa sede; ricorderemo invece la trama del testo, composto utilizzando oltre dodicimila versi (12.111, per l’esattezza). Il dramma fu rappresentato, per la prima volta (almeno la prima parte), il 19 gennaio 1829 al teatro nazionale di Braunschweig in Bassa Sassonia.
Faust, dunque: egli è un docente universitario che si occupa di scienza e anche di alchimia. Ha sempre amato studiare per imparare continuamente nuove cose, ma prende coscienza del fatto che questa sua spinta alla conoscenza non conduce a nulla (che lo soddisfi veramente). Decide allora di dedicarsi alla magia per cercare di penetrare i segreti della Natura; ma per andare oltre la fisica, potremmo dire, deve ricorrere al soprannaturale e superare i limiti della scienza: evoca così, il diavolo Mefistofele con il quale stringe un patto che prevede di servire il demone, e in cambio vedrà esaudito ogni suo desiderio grazie a dei poteri paranormali (diremmo oggi). Ma il patto presenta delle regole: il diavolo lo servirà per un determinato periodo che avrà termine quando Faust – godendo di tanta felicità – dirà al tempo, (ovvero all’attimo) di fermarsi, dopodiché Mefistofele prenderà l’anima del professore che sarà dannato in eterno e schiavo del demone. Ma Faust non crede nella vita eterna, e quindi firma il patto col sangue mentre il diavolo (che ne sa sempre una in più, come si dice) è convinto che nessuna gioia appagherà mai Faust; e anche se la richiesta di fermare l’attimo non dovesse giungere, egli cadrebbe comunque nella disperazione e nella insoddisfazione (e quindi dannazione).
Inizia dunque una vita dedita al piacere e alla ricerca della soddisfazione dei desideri, con tantissimi episodi e siparietti, tra cui la satira contro la vita accademica, dove il diavolo lo invita a non sudare per la scienza (per il sapere), ma a cogliere l’attimo e a trattare le donne “come diavolo comanda” (per così dire). In questo contesto conosce una ragazza umile, una certa Margherita che Faust cerca di abbordare mentre esce da una chiesa. Grazie ai poteri del diavolo potrà regalarle gioielli, e arrivare a corrompere la sua anima ingenua e semplice. Faust la ingannerà e la abbandonerà dopo averla messa incinta. Più tardi si verrà a sapere che la ragazza uccide (affogandolo) – per disperazione e follia – il suo bambino e sarà accusata di infanticidio e condannata a morte. Ma la sua anima sarà salvata (e andrà in Cielo) per via della sua buona fede e del suo cuore semplice che è stato vittima dell’inganno. Per non parlare poi di altre sciagure come la morte della madre causata accidentalmente da un sonnifero potente procuratole da Faust, e la scomparsa del fratello durante un duello con Mefistofele.
Nella seconda parte del dramma Faust si volge alla corte imperiale dove sperimenta la seduzione del potere, della ricchezza e del trionfo della vita terrena, ma nonostante tutto resta perennemente insoddisfatto. Entrano ora in scena alcuni personaggi della mitologia classica, come Elena di Troia che diventa la donna del professore: da lei avrà un figlio, Euforione (nella mitologia greca figlio di Elena e Achille), destinato a morire fanciullo.
Per semplificare la trama: si arriva lentamente alla vecchiaia di Faust. Rimpiange ora l’umanità che aveva – in conseguenza del patto – rinnegato, e maledice la vita. Sempre più in preda all’angoscia e ai rimorsi, vicino alla morte, ormai cieco, il professore ha una visione e immagina un futuro roseo dove una popolazione libera avrebbe realizzato grandi cose per ottenere la felicità (che lui non ha mai avuto): a questo punto il professore dice che se fosse vissuto tanto da vedere realizzato questo progetto, avrebbe desiderato fermare quell’attimo. A questo punto Mefistofele interpreta alla lettera quanto dice Faust (a proposito di “fermare l’attimo”) e fa morire lo sventurato; e il diavolo si convince di aver vinto la scommessa. Ma il demonio non ne sa una in più, ma una in meno (a quanto sembra) perché l’anima di Faust viene salvata in punto di morte e ascende in Cielo. Nel finale un angelo spiega che la salvezza è dovuta al fatto che il professore si è comunque sempre impegnato a favore del bene della società e loda la sua continua aspirazione all’infinito.
Ed ecco che Goethe crea il mito dell’Eterno Femminino: nel momento conclusivo della redenzione di Faust si richiama – quale causa della salvezza del protagonista – la figura di Margherita, la ragazza sedotta e abbandonata da Faust. Sono state proprio le sue qualità femminili a consentire, nonostante tutto, la salvezza: dolcezza, semplicità, ingenuità, bontà. L’Eterno Femminino innalza l’umanità e tramite esso si può giungere, così, alla salvezza. Tutto questo ci ricorda la tradizione letteraria europea e, in modo particolare, quella italiana che parte dal Dolce Stil Novo (per certi versi anche dalla Scuola Poetica Siciliana) e attraversa la Commedia dantesca (si pensi a Beatrice e alla sua funzione salvifica) e tutta la letteratura moderna e contemporanea che ripercorre – con le varianti occorse nei secoli – il topos dell’immagine angelica e salvifica della donna. Per approfondimenti specifici sul tema del diavolo nella letteratura rimando allo studio fondamentale, e sempre attuale, di Mario Praz, “La carne, la morte e il diavolo nella Letteratura Romantica, Sansoni.