Gustavo Cottino, il Barnum di Torino
Giandujotto scettico n° 112 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (21/04/2022)
Torino, 1950. All’ingresso del baraccone da Luna park, Gustavo Cottino invita a gran voce il pubblico ad entrare. All’interno, c’è un’attrazione unica al mondo, l’esotica e inimitabile donna serpente! Decine di persone si mettono in fila, pagando il “modico tassato di ingresso”. Superata la barriera di tende che impedisce di sbirciare all’interno, ecco che appare la star dello show: una donna distesa su un materasso ammicca e sorride agli spettatori. Il suo corpo termina in una coda pitonesca. Uomini e donne vestiti col camice, dall’aspetto di infermieri, confermano la realtà del caso e intanto controllano che nessuno si avvicini troppo.
Il trucco è quasi pacchiano, data la semplicità. Nel materasso c’è un foro in cui sprofondano le gambe della donna, quelle vere. Al busto, invece, è stata attaccata una coda posticcia, modellata in lattice sagomato. L’illusione ottica dà l’idea di un freak, uno strano ibrido metà umano e metà serpente; la protagonista dello spettacolo è anche in grado di far compiere piccoli movimenti alla sua estremità rettiliforme, usando i fianchi e le gambe nascoste. Ammirato quel prodigio della natura, il pubblico viene prontamente avviato all’uscita…
Gli inizi dell’epopea di Gustavo Cottino
L’anima e l’ideatore dello spettacolo era Gustavo Cottino (1923-2010), in arte Gustav Cotin, che aveva lasciato la sua Pinerolo per diventare il re degli imbonitori. La donna serpente era liberamente ispirata a un altro spettacolo itinerante portato all’epoca in giro per il mondo. Nel 2001, Cottino racconterà:
Anticamente c’era la donna sirena, ma era fatta male, era fatta con un buco in un tavolo… Ma non smuoveva la curiosità della gente come la mia donna serpente, quella vera, che muoveva la coda, presentata col materasso, con gli infermieri, con tutto il frasario. lo ho vivificato… Mica ho detto che ho inventato niente.
La vita di Gustav Cotin è roba da film: una parabola che si snoda dagli anni Venti al Ventunesimo secolo, nell’era eroica dei Luna park e dei sideshow americani. Le sue imprese sono state ricostruite da Elisa Fontana nella sua tesi di laurea al Dams-Teatro (Gustavo Cottino, il più grande venditore di illusioni, 2001; poi parzialmente riprodotta sulla rivista In cammino. Circhi & Luna park, gennaio 2010, e riassunta sulla pagina web Musica meccanica). Altre informazioni sono disponibili sul Museo della Giostra e nel volume Viaggiatori della luna – Storia, arti e mestieri dalla Fiera al Luna park, a cura di Emilio Vita e Chantal Rossati (Ikon editrice, 1997).
Da tutte queste fonti emerge il ritratto di un mirabolante imbonitore, a metà tra lo spacciatori di sogni e l’uomo di spettacolo: un venditore di illusioni, come l’ha giustamente definito Elisa Fontana.
Gustavo Cottino era nato il 27 agosto 1923 a Pinerolo, in provincia di Torino. Suo padre era stato tenente della Scuola di Cavalleria, ma aveva lasciato l’esercito per diventare assicuratore; sua madre era una maestra elementare. A Pinerolo, Cottino entrò in contatto con gli artisti di viaggio che si fermavano in piazza Fontana (così a Pinerolo tutti chiamano piazza Vittorio Veneto) per il Carnevale e le feste. Ogni volta Cottino tornava a casa affascinato e metteva in scena piccoli spettacoli per i suoi amici. I genitori non vedevano di buon occhio le sue inclinazioni, e lo spedirono dalla nonna a Torino:
Nel 1936, quando avevo tredici anni, la goliardia torinese, come risaputo, annoverava una miriade di squattrinati, fra i quali il sottoscritto, studente del quarto anno di agrimensura all’Istituto Tecnico Sommelier, con poco profitto. Trovai un capo claque dei teatri torinesi che mi ingaggiò per una manciata di spiccioli in uno dei tanti bar di via Po. La claque è una figura presente tra il pubblico di un teatro, incaricata di applaudire lo spettacolo in ogni momento, facendo il tifo soprattutto per l’artista che stecca. Questo era il nostro compito, per non rovinare le repliche già predisposte: e qui incominciò la mia illusione perché applaudivo anche un artista che non meritava… Ma davo appunto l’illusione che fosse bravo scatenando l’applauso.
L’amore di una vita
Torino ebbe, fino al 1986, uno dei Luna park più importanti d’Italia: non molte altre città potevano offrire ai giostrai una piazza delle dimensioni di piazza Vittorio Veneto, dove affluivano baracconi da tutta l’Italia. Lì trovavano posto, a Carnevale e in occasione di altre feste, giostre e spettacoli itineranti, ma anche saltimbanchi, lotterie, e una forma di intrattenimento ormai quasi scomparsa: le cosiddette “baracche d’entrata e d’improsio” (cioè d’imbroglio). Si trattava di padiglioni di legno a cui si accedeva pagando un modesto biglietto di ingresso; al loro interno si potevano ammirare “mostri” come la donna-cobra o l’uomo-rana, animali feroci, il cinema muto, uomini forzuti, reperti da museo più o meno autentici ed esibizioni di scienza “spettacolarizzata”. A volte, si trattava di veri e proprie illusioni, in cui la pubblicità ingannevole all’ingresso non corrispondeva affatto a ciò che c’era all’interno; ma anche questo faceva parte del gioco.
A quattordici anni, Gustavo Cottino si aggira per il Luna park di piazza Vittorio e scopre l’amore: a fargli battere il cuore è Luigia Biamino Loy, un’artista di origine astigiana che si esibisce nel Muro della Morte. Si tratta di un cilindro in legno di dodici metri di diametro; ciclisti e motociclisti lo percorrono in posizione orizzontale rispetto al suolo e lo fanno – annuncia l’imbonitore – “affrontando a ogni giro di ruota e a ogni battito di motore la propria giovinezza”. Gustavo ne è affascinato, vorrebbe lasciare tutto e seguirla:
In una visita ai miei genitori a Pinerolo dissi al babbo che volevo seguire quella ragazza e che non desideravo più studiare: volevo dedicarmi agli spettacoli popolari viaggianti. Il babbo, che era in piedi, si afferrò a un tavolo per non cadere e mi chiese se ero impazzito: eppure ero cresciuto fino a quattordici anni senza dare segni di “squilibrio”, nonostante in alcune occasioni, dopo la fiera, egli mi mandasse a cercare e mi facesse riaccompagnare a casa dai carabinieri perché seguivo i “migrantes”.
La Seconda guerra mondiale, però, sconvolge i suoi piani. Cottino non risponde al bando d’arruolamento della Repubblica Sociale, finisce internato in Germania e rientra in Italia solo nel 1945. Al suo ritorno si rimette a frequentare i Luna park, ritrova Loy e nel 1949 la sposa a Gorizia. Per un po’ viaggia insieme alla moglie portando in giro il Muro della Morte: lui fa l’imbonitore e vende i biglietti, lei si esibisce nello spettacolo. Il colpo di genio è far entrare nel cilindro alcuni leoni, che Loy accarezza durante il suo spericolato giro in bicicletta. Ma il gioco è rischioso e non può durare a lungo: dopo qualche anno Cottino ritira le sue quote nella società Wall of Death Cottino-Malerba e decide di andare in America, “per imparare ancor meglio l’illusione e la fiction”.
La parentesi di Coney Island
Situata su una penisola a est di Manhattan, Coney Island fu, dall’inizio del Ventesimo secolo, il quartiere di New York votato a circhi, parchi divertimenti e Luna park. Nelle centinaia di baracche si esibivano gli artisti da sideshow: nani e giganti, creature mostruose, lanciatori di coltelli, fenomeni umani, donne in abiti succinti; ma si esponevano anche capi di bestiame deformi e imbalsamati, oggetti legati a personaggi famosi (celeberrima “l’auto in cui morirono Bonnie & Clyde” – i due celebri gangster – di cui pare esistessero tantissimi esemplari), stranezze dal mondo, a volte vere, a volte falsissime come la sirena delle Figi, a volte autentiche ma presentate in modo ingannevole come le nutrie trasformate in “topi giganti”.
A Coney Island si sperimentarono anche nuove forme di spettacolo. Il più commovente fu senz’altro l’Infant Incubators, un’attrazione messa in piedi dall’ostetrico Martin Couney per salvare i bambini nati prematuri. Sino alla fine dell’Ottocento, infatti, non c’era scampo per i bambini nati troppo in anticipo sui nove mesi. Couney sfruttò i primi (e ancora sperimentali) incubatori per cercare di farli sopravvivere; ma la tecnica era costosa, e il medico ebbe l’idea raccogliere i soldi necessari esibendo al pubblico quei minuscoli neonati. Per un quarto di dollaro, i visitatori potevano ammirare i bambini gracili e sottopeso che dormivano nelle loro scatole di vetro. Oggi lo sfruttamento economico di piccoli pazienti non sarebbe più ritenuta accettabile; ma non c’è dubbio che in quarant’anni di attività l’attrazione di Coney Island abbia salvato migliaia di vite e contribuito a far superare lo scetticismo dei medici sull’efficacia dell’incubazione.
Gustavo Cottino arrivò a Coney Island con l’amico Silvio Matera, alias “Silver Mater”, collega imbonitore (“eravamo molto affiatati, anche nel dimenticare di saldare i conti negli alberghi”, ricorderà Cottino). Lavorò anche nel celebre Circo Barnum. I soldi erano pochi, e i due italiani dormivano nei padiglioni con gli artisti americani. Privi di foglio di soggiorno, furono scoperti in un controllo, espulsi e imbarcati per l’Italia con la segnalazione per “espatrio clandestino”. Ebbero cinque anni di condizionale e per un po’ non poterono più uscire dall’Italia; ma intanto, a Coney Island, avevano imparato un mestiere.
La lotteria delle buste
Rientrati in Piemonte, Gustavo Cottino e Silvio Matera avrebbero voluto riprendere con i Luna park, ma non avevano denaro sufficiente. Così, in una festa patronale, misero in piedi la “lotteria delle buste”. Il racconto di Cottino ci dice parecchio su quel mondo a metà tra la truffa e l’intrattenimento.
I nostri due uomini si erano piazzati in uno spazio a ridosso di un negozio di biciclette: al proprietario avevano detto che ne avrebbero comprate alcune per inserirle nelle buste. Ma, ovviamente, non avevano abbastanza soldi per quello… I clienti pagavano 20 lire per ogni puntata, e ogni volta potevano scegliere una busta sperando nel premio. Racconta Cottino:
A ogni apertura il cuore mi batteva all’idea che ne uscisse la bicicletta, anche se, ovviamente, le buste erano segnate. Tutto filò liscio e regolare per un’ora: il proprietario pensava di aver annoverato fra i nuovi clienti due baldi impomatati giovanotti di belle speranze, simpatici e operosi. […] Arrivò uno spavaldo del paese con una cabriolet parcheggiata poco distante, che insisteva con le puntate: voleva vincere la bicicletta a tutti i costi. Mi tremavano le gambe, tenevo d’occhio la mia motocicletta all’angolo per sparire, eventualmente. […] A un certo punto il ragazzo scelse una busta. Matera la portò repentinamente alla bocca e cominciò a masticarla: era quella della bicicletta, aveva anche la chiusura metallica! Tutti sfondarono la barriera mettendogli le mani in bocca, lo solleticavano per farlo rigurgitare, stavano menando quando due carabinieri provvidenzialmente intervenirono e ci portarono in caserma. Il maresciallo ci fece sedere gentilmente, volendo sapere tutti i particolari di questo pandemonio. Annunciò alla gente che sbraitava fuori dalla finestra che nella busta si trovavano le venti lire e non la bicicletta, come giustamente tutti avevano intuito. Come si poteva provare il contrario? L’aveva già mangiata dalla paura. Ci fece scortare più tardi fino alla cinta daziaria, senza farci salutare nemmeno l’omone di un metro e novanta che si era divertito e aveva messo a rischio le sue biciclette pregandoci gentilmente di non tornare mai più… La fame ci faceva fare quel lavoro lì.
Le baracche d’improsio firmate Cottino
Con il tempo, Cottino fu in grado di realizzare il proprio baraccone. Tra il 1950 e il 1990, portò i suoi spettacoli in giro per tutta Italia; il primo in assoluto fu proprio quello della donna serpente. Spesso a vestirne i panni fu la moglie Luigia; altre volte si ricorreva a figuranti (“la prima sgualdrina che trovavo in giro, anche un uomo!”).
Ma la fantasia di Cottino non aveva limiti: il Museo della Giostra racconta di quando fece esibire l’uomo delle nevi, presentandolo come il “mostro del Kilimangiaro”. In realtà, era un pover’uomo che lavorava nel porto di Genova. Cottino gli fece indossare una pelle di animale, lo mise in gabbia e lo annunciò come l’evento del secolo. Ma non c’erano solo i mostri inventati: a lui piaceva anche “scoprire” i fenomeni da baraccone in giro per il mondo e attirarli nel mondo dello spettacolo; nel febbraio 2009 la rivista pinerolese EcoMese scriveva:
[…] è lui che ha scovato l’uomo più alto del mondo […] e i delfini di Gardaland. Lungo l’elenco delle attrazioni: l’uomo incombustibile, la donna ragno e quella serpente. Impossibile numerare gli occhi incollati a guardare quelle stranezze. […] E così si incontravano gli sposini alti mezzo metro, che diventavano “La città dei Lilliput”. O in Russia si scovava la donna cannone: romantica nella sua enormità, poesia nelle parole dei cantautori.
Altre volte, le baracche d’entrata e d’improsio di Cottino assumevano un sapore quasi enigmistico: l’imbonitore attirava il pubblico affermando che avrebbe potuto ammirare la “donna colosso”, oppure “Virginia al bagno”. Nel primo caso, dietro le tende compariva una donna con un osso in mano (co’ l’osso, appunto); nel secondo, un sigaro di marca Virginia che galleggiava in una bacinella d’acqua… La bravura, in quel caso, stava nel prevenire le proteste e calmare gli animi di chi se la prendeva a male. Spesso Cottino convinceva la “vittima” a tornare con un amico, per proporre anche a lui l’innocua presa in giro. Il piccolo imbroglio faceva parte del divertimento: spesso erano proprio i “bidonati” che, uscendo dalla baracca, mantenevano il segreto e consigliavano agli altri di entrare, dicendo “Bellissimo!” o decantando la peccaminosa esibizione di Virginia.
Nel 1966, Cottino riesce a realizzare una nuova illusione, le “cascate del Niagara”. Il padiglione è alto una decina di metri, su due piani, e promette un viaggio nella ricostruzione di una grotta, con tanto di cascate. Ogni tanto all’ingresso si affaccia una comparsa, vestita con una tuta bagnata fradicia.
Costruii le Cascate del Niagara, con all’esterno la dicitura: “Mezzi anfibi sempre pronti”. Aiutanti vestiti da speleologi con le tute di gomma per far vedere che lavoravano nell’acqua, fontane e rumori acquatici. “Ecco i nostri inservienti, i nostri speleologi, eccoli là, pronti! Si può già partire con le altre barchette?” Invece di barchette non ce n’erano: c’era solo un motoscafo appeso fuori. Il pubblico prendeva il biglietto e pazientemente saliva all’esterno sino alla sommità della passerella, gli si consegnava il salvagente ed entrava in un corridoio dove c’erano un po’ di scheletri e un po’ di tutto, un po’ di buio… […] Poi venivano fatti accomodare in una cabina buia. Loro si sedevano tutti tranquilli, sembrava di esser seduti su un pullman. Alle spalle, se si giravano, scorgevano la scritta burlesca: “Ecco le cadute del Niagara!”. Un bel momento un inserviente tirava la maniglia, si apriva la porta, il sedile si distendeva e loro… zum! di colpo la cabina si sfasciava e i passeggeri, con le gambe per aria, scendevano questo nastro di due metri di lunghezza con ondulazioni spaventose, sino a terminare in un grande imbottito materasso. E mentre scendevano assumevano le posizioni più comiche.
L’anno dopo, nel 1967, è il turno dello show di “Bologna dal vero”. Cottino la allestisce alla Montagnola, una piccola collina che sovrasta il centro di Bologna. Sulla facciata del baraccone è raffigurato un plastico della città, con le strade e i palazzi: dà l’impressione che entrando si possa ammirare una “Bologna in miniatura”, accuratamente riprodotta. Chi paga il biglietto d’ingresso, invece, si trova davanti una tenda in cui sono stati praticati dei fori. Guardandoci dentro si vede solo il panorama: è la città ai piedi della Montagnola. Bologna dal vero, appunto.
La balena Golia
A partire dal 1954, cominciarono a circolare per tutta l’Europa tre balene pescate in Norvegia. I cetacei erano stati imbalsamati con 7000 litri di formalina. Erano un modo, per la nazione scandinava, per promuovere la pesca e le particolarità del Paese, ancora poco conosciuto nel sud del continente. Uno degli animali, Goliath (poi italianizzato in Golia), arrivò anche da noi grazie all’impresario torinese Giuseppe Erba.
Esposta nel luglio 1954 nella città piemontese, Golia conquistò le pagine dei giornali grazie all’insolito spettacolo, ma anche a causa… dell’odore pungente che emanava (La Stampa, 22 luglio 1954). Nel 1969, Cottino pensò bene di ripresentare l’attrazione con una balena in pura cartapesta. Per la verità, lui raccontò di averci anche provato, ad acquistare il vero cetaceo. L’animale, però, sarebbe stato danneggiato durante il trasporto in nave:
Purtroppo un violento fortunale ci sorprese a duecento miglia dal porto di Bari distruggendo la copertura ed una parte di essa. Fui obbligato allo scarico e a nascondere il trasporto nei capannoni della fiera di Bari perché ricostruimmo il tutto di cartapesta. Erano rimasti originali solo i suoi lunghi fanoni.
Vero o no che fosse, la sua balena di cartapesta veniva presentata come autentica: Cottino pubblicizzava lo show con manifesti in cui si vedevano immagini di caccia ai cetacei, ma aveva anche l’astuzia di costellare il padiglione con scritte come “Fermiamo la strage delle balene”, per prevenire le proteste delle associazioni per la difesa degli animali. E a chi protestava perché si aspettava di vedere una “vera” balena, Cottino rispondeva di non dirlo troppo in giro, perché non avrebbe fatto una bella figura, a pensare che nel camion potesse esserci un animale vivo!
Il mondo perduto
Cottino fu questo e molto altro. Poliglotta (parlava cinque lingue), secondo EcoMese, prossimo a finire i suoi giorni, aveva collezionato diverse benemerenze pubbliche: prima la Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, poi nel 1976 il titolo di Cavaliere della Repubblica.
Ritiratosi dalle scene nel 1994, per un po’ abitò a Bussolengo (Verona). Morì il 5 gennaio 2010, a 86 anni, una vita passata a viaggiare per il mondo. L’anno prima era scomparsa la moglie, sepolta a Spilamberto (Modena). Il libro Viaggiatori della luna – Storia, arti e mestieri dalla Fiera al Luna park, riporta una descrizione, fatta da Cottino, di quell’incredibile mondo perduto degli imbonitori di piazza. E dei suoi colleghi, che sembravano vivere in modo costante in una realtà parallela, per certi versi felliniana:
[…]l’avvocato del Foro fiorentino Tullio Pachetti che si invaghì della Donna Ragno, vista alla Fortezza Da Basso in Firenze mentre questa lavava i panni alla fontana e la volle sposare. Onore e gloria […] a Dario Mantovani di Rovigo, detto Taiadella, il re dei cantastorie, così coinvolgente da riuscire a far inginocchiare e scoprire il capo alla folla a cui vendeva canzoni e pantomime scritte da lui stesso! Un ricordo merita anche il defunto tzigano Franchini detto ”Il Tatàni” che presentava lo Stregone della Giungla sui carboni ardenti, raddrizzava ferri arroventati e addirittura se li passava sulla lingua.
Le donne invece potevano essere provette danzatrici, addirittura in levitazione, come le Sorelle Menta esibite dal vecchio Bacone […] o le Donne Volanti di Ernestino Bailo (da non confondere con Giuseppino Bailo che invece sfornava la Nave dei Mostri con topi di fogna). […] Fausto Rossi, come il padre, presentava la Donna a 2 teste mentre Mario Bignami, detto “Codogno”, era l’intellettuale della categoria e presentava la Donna Perforata nonché la Donna senza Testa.
Silvio Matera alias il Mago del Tirreno sfoggiava la Taggia, ovvero l’artista più eclettica capace di proporsi sia come Donna Proiettile sia come Donna Vampiro e infine in qualità di ingoiatrice di rane e vipere che dapprima ingurgitava con catinate d’acqua eppoi risputava sulla testa del pubblico a una distanza di 3 o 4 metri. […]
Bruno Pogliaghi e suo figlio Gallinella esibivano il cosiddetto Uomo Elettrico, certo Gay Luis, graziato a Sing-Sing ma anche lo Yeti che in una grande gabbia d’acciaio mangiava le galline crude. […] Con il famoso Philip Kais, una specie di essere scampato ai forni crematori, il pubblico era invitato a gettare carta ed altro materiale infiammabile che subito s’inceneriva nella cassa rovente in cui l’uomo apparentemente era rinchiuso. Ha fatto il giro di mezza Europa presentato da Mister Cotin.
Il quale Mister Cotin era sposato alla signora Loy che impersonava la Crocifissione di Milenka Sacovitch, una russa che fece sbalordire il mondo al punto da essere scritturata per esibirsi nelle processioni in Brasile. Il trucco c’era, ma non si vedeva: una sorta di chiodo pieghevole invece di penetrare nelle carni si snodava attorno ai polsi. (Riportato in Viaggiatori della luna – Storia, arti e mestieri dalla Fiera al Luna park, a cura di Emilio Vita e Chantal Rossati)
Del suo mestiere, Cottino diceva:
L’imbonitore è colui che stimola la fantasia imbrogliando il pubblico con arte e, più che con lo spettacolo viaggiante, è legato ai fieranti, agli attori di piazza, ai guitti, ai cantimbanchi, ai continuatori della Commedia dell’Arte medioevali.
Una vita, quella del nostro Barnum piemontese, dove il piccolo inganno, in senso buono, era istituzionalizzato, sino a diventare parte essenziale e desiderata del buon spettacolo: una fonte di riso e di intrattenimento, da non prendere troppo sul serio.
Foto di Yeo Yonghwan da Unsplash