Giandujotto scettico

Il baroscopio di Gorizia… e quelli di Torino

Giandujotto scettico n° 114 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (19/05/2022)

E se un barometro – uno di quelli antichi, che un tempo erano in moltissime case – fosse in grado di prevedere anche i terremoti? Oggi il Giandujotto scettico vi porta a scoprire uno strano strumento dei tempi passati, ma, per farlo, bisogna spostarsi per un momento nel Friuli-Venezia Giulia…

Partenza per Gorizia

Potete leggerlo su quasi ogni sito dedicato ai misteri del nostro Paese: a Gorizia c’è un oggetto misterioso, testimonianza di antiche conoscenze ormai perdute. È il baroscopio dei terremoti.

La sua fama inizia nel 1947, quando don Fulvio Demartin, un parroco goriziano, trova un curioso strumento in un mobile ereditato da una zia. Si tratta di una tavoletta di legno a cui sono fissati un termometro e una provetta trasparente. Intorno ad essa, le didascalie in tedesco spiegano: bel tempo, nuvoloso, tempesta… Ma anche Erdbeben: “terremoto”. 

Quell’oggetto era davvero in grado di prevedere i fenomeni sismici? 

Come vi avevamo accennato, l’enigmatico baroscopio di Gorizia oggi gode di un’incredibile popolarità sul web, ma è stato presentato anche in numerosi libri e giornali: è descritto, ad esempio, in Oggetti misteriosi, inspiegabili e magici in Italia di Isabella Della Vecchia (Eremon, 2014) e nella Guida ai luoghi misteriosi d’Italia di Umberto Cordier (Piemme, 2002). Parte della sua celebrità è legata al sisma che colpì il Friuli nel 1976. In seguito al disastro, il sacerdote raccontò che il giorno del terremoto aveva trovato il baroscopio in uno stato mai visto: “una condensazione rosso sangue nella parte alta della provetta e il liquido restante color paglierino leggerissimo”, situazione che sarebbe rimasta stabile anche nei giorni successivi. 

Il collegamento con l’evento sismico, però, fu fatto solo a posteriori. Tuttora l’evento viene presentato come un’incredibile predizione, anche se, a rigor di logica, forse bisognerebbe parlare di post-dizione:

[…] Che cos’è quel misterioso liquido che cambiava forma, colore, stato a seconda delle modificazioni non solo atmosferiche ma pure geofisiche? La Scienza non si è mai pronunciata, ma in realtà non ha mai nemmeno provato a trovare una risposta che certamente esiste. Visto che non si sta assolutamente parlando di qualcosa di soprannaturale. Ma bensì della geniale scoperta di qualche sconosciuto chimico dilettante o ultimo epigono degli antichi alchimisti. Che aveva certamente a cuore il bene dell’Umanità forse molto di più di tanti “soloni” che pontificano ancora oggi. (Da Il punto sul mistero, 2013).

È curioso il fatto che, immancabilmente, il baroscopio venga presentato come un unicum, come un oggetto di cui non esistono altre copie, sorto quasi dal nulla a Gorizia e frutto del genio di qualche inventore ormai dimenticato. In realtà, questi strumenti hanno una storia lunghissima e interessante. 

Lo strumento, in breve

In Italia sono detti baroscopi chimici, ma anche prenunziatori del tempo o prognosticatori. In tempi moderni sono più noti come bicchieri della tempesta (da storm glass, il nome con cui era conosciuto questo strumento in Inghilterra, o Sturmglas, in tedesco). Tra i contadini dell’Ottocento divennero una vera e propria moda. La cosa non deve stupire: per molti secoli le previsioni del tempo sono state affidate a superstizioni come quelle sui giorni di marca, oppure al barometro delle cipolle. Tra fine Settecento e inizio Ottocento nuovi strumenti di misura cercarono di trasformare la meteorologia popolare in una scienza vera e propria (ma il nostro preferito è e sarà sempre il barometro a sanguisughe di George Merryweather…). E così, nacque anche il baroscopio chimico, che veniva venduto alle fiere di paese e il cui funzionamento era descritto su almanacchi e giornali.

L’inventore non è noto, e le composizioni della sostanza contenuta variano leggermente a seconda della fonte. Alcuni lo attribuiscono all’ammiraglio inglese Robert FitzRoy, pioniere della meteorologia e celebre per la sua partecipazione al secondo viaggio del Beagle (1831-1836), a cui partecipò anche Charles Darwin. Altri menzionano un italiano, un certo Malacredi (ma non siamo riusciti a capire chi potesse essere). Sembra, comunque, che l’ufficiale della Royal Navy sia stato solo un promotore del sistema, non il suo inventore: tracce di strumenti simili sono presenti in Francia fin dal Diciottesimo secolo (si veda ad esempio Will the True Originator of the Storm Glass Please Own Up, di Anita McConnell e Philip Collins, Ambix, 2006). 

La ricetta presentata da FitzRoy si basa su cinque ingredienti: canfora, nitrato di potassio e cloruro di ammonio, disciolti in alcool e acqua. Il tutto va mescolato e posto in un contenitore sigillato, con un po’ di spazio per l’aria. Ovviamente sui giornali dell’epoca erano presenti altre preparazioni, come questa, che sostituisce il nitrato di potassio con allume della Tolfa e fa sciogliere il tutto in “etere vitriolico” (il comune etere dietilico). Al fondo dell’articolo vi offriamo due possibili ricette, nel caso voleste provare anche voi l’esperimento. 

Il prognostico si basa sull’aspetto del liquido all’interno: se è limpido, farà bel tempo. Se è torbido, sarà nuvoloso. Se assume un aspetto flocculoso, con piccoli cristalli in sospensione, il tempo è destinato a guastarsi. In presenza di uno strato biancastro sul fondo, sono previste neve e gelate. 

In Inghilterra, lo strumento ebbe un certo successo: nel 1859, in risposta alle violente tempeste che colpirono le isole britanniche, la Corona ne distribuì a diverse comunità di pescatori, in modo che evitassero di mettersi per mare se il baroscopio prevedeva brutto tempo. Ma, a parte questo, gli storm glass erano regolarmente prodotti da diverse ditte commerciali e pubblicizzati sui giornali dell’epoca come strumenti all’avanguardia. 

Rotta su Torino

Anche a Torino il baroscopio chimico registrò un certo successo. Ma nella capitale sabauda ebbe anche la fortuna d’incrociare anche un chimico eccezionale, che non si accontentò di ascoltare con aria stupefatta gli imbonitori di paese, ma volle toccare con mano il funzionamento di quello strumento. Si trattava di Ascanio Sobrero, padre della nitroglicerina e primo uomo a sintetizzare il sobrerolo. 

Tra le altre cose, Sobrero era presidente dell’Accademia di Agricoltura di Torino, e il 30 gennaio 1874 in una seduta di quella società lesse una sua memoria dedicata al baroscopio. Lui ne aveva saputo qualche anno prima, grazie all’Almanach de la vigne et du vin del 1869 (gli almanacchi, ve lo abbiamo già raccontato, furono per lungo tempo una forma di letteratura popolarissima, che aiutò la diffusione di alcune idee scientifiche). Lo strumento veniva presentato come un sistema sicuro di previsione del tempo, superiore alle “indicazioni del barometro comune a colonna di mercurio”. 

Sobrero era dubbioso, ma volle provare. Se ne fece spedire tre dalla Francia al prezzo di 4,50 lire ciascuno. Uno se lo portò a casa, uno lo collocò al Valentino, e il terzo finì presso l’abitazione di Valerico Cauda, vice-direttore del laboratorio di chimica diretto da Sobrero.

Il risultato di quella triplice sperimentazione? Non troppo buono, a detta di Sobrero:

Sono quattro anni che osservo lo strumento: per lungo tempo esso fu tenuto fuori all’aperto, poi il posi nella mia camera da studio; si passò per mille rivolgimenti atmosferici, si ebbero piogge, nevi, venti, ecc., né mi fu mai dato verificare alcuno dei pronostici soprallegati. E così le mie previsioni vennero confermate. E ciò basterebbe perché, a mio parere, e spero a parere di tutti quelli che fecero osservazioni pari alle mie, si releghi il baroscopio tra le fisiche futilità. Povero quell’agricoltore che si fiderà ai pronostici di così fatto strumento!

Il principio di funzionamento

Il giudizio di Sobrero fu, dunque, decisamente negativo. Alla stessa conclusione, d’altra parte, era arrivato un altro pioniere della meteorologia, Charles Tomlinson, che nel 1863 sulle pagine del Philosophical Magazine aveva spiegato:

Ho osservato lo strumento per alcuni anni passati, e ho cessato da lungo tempo di considerarlo di qualche valore come indicatore di tempo. […] Penso che si possa concludere onestamente da questi esperimenti ed osservazioni che lo storm glass funziona come un grossolano termoscopio, inferiore, per gli scopi meteorologici, al termometro. 

Ecco, parliamo dunque del funzionamento di questo aggeggio. Prima dei satelliti e delle tecniche di modellizzazione avanzate, le previsioni meteorologiche si basavano sulla misurazione di due parametri: la pressione atmosferica e l’umidità ambientale (rilevate rispettivamente con barometro e igroscopio). Ma nello storm glass – che è essenzialmente un contenitore di vetro ben sigillato – non possono variare né l’una né l’altra. 

Quindi, cos’è che influisce sul nostro strumento? Essenzialmente, il cambiamento di temperatura. Il liquido nel contenitore di vetro è una soluzione molto vicina al punto di saturazione. A basse temperature, le sostanze che compongono il baroscopio (canfora, nitrato di potassio e cloruro di ammonio) non riescono a sciogliersi completamente, e formano cristalli. Man mano che la temperatura si alza, aumenta la solubilità, e il liquido diventa via via più limpido. 

Difficile dire cosa influisca, invece, su forma e dimensione dei cristalli: in rete sono presenti le spiegazioni più disparate, che vanno dall’elettricità, ai decadimenti gamma causati dal radon presente nell’ambiente, all’effetto tunnel quantistico sulle pareti del vetro. Uno studio del 2008 pubblicato sul Journal of Crystal Growth attribuisce la formazione dei cristalli alla sola variazione di temperatura. Il dibattito è tuttora vivissimo sul web, anche su pagine dedicate alla scienza.

Qualunque sia l’effetto di altri fattori in gioco, comunque, è evidente che la temperatura è quello principale. Il che rende il nostro strumento un termoscopio, cioè uno strumento in grado di rilevare le variazioni di temperatura, ma comunque inferiore a un termometro, che permette di misurarne l’entità con più precisione. Quanto al fatto di usarlo come metodo per prevedere il tempo… Beh, per quello serve poco. Lo storm glass è influenzato dalla temperatura in quel momento, non da quella futura. 

Un prognosticatore sismico?

Ma torniamo un momento ai nostri baroscopi. Che dire delle ipotetiche capacità di prevedere i terremoti? 

All’epoca non esisteva un confine netto tra meteorologia, astronomia e sismologia. Le osservazioni su tutti questi fenomeni erano delegate ai tanti piccoli osservatori sparsi per l’Europa, in cui gli studiosi prendevano religiosamente nota del tempo atmosferico, ma anche delle meteore avvistate, dei terremoti, dei fulmini, di fenomeni atmosferici di ogni tipo… Non ne capivano granché, ma se oggi possiamo ricostruire la storia climatica del nostro Paese (almeno quella recente), è anche grazie a questi certosini diaristi. D’altra parte, era diffusissima la convinzione che i fenomeni sismici fossero legati al clima: periodi di caldo eccezionale, si diceva, potevano provocare i terremoti… Non stupisce quindi che qualcuno potesse mettere nello stesso contenitore previsioni sismiche e meteorologiche, e che poi avesse provato a unirle in un solo strumento di misurazione. Con quali risultati, possiamo immaginarlo. 

Sul baroscopio di Gorizia è difficile dire qualcosa: la “predizione” del 1976 rimane un’osservazione aneddotica, senza riscontri: è proprio in questo modo che funzionano credenze, pseudoscienze e testimonianze su “fatti insoliti”. Quei residui rossastri avrebbero potuto essere qualsiasi cosa, magari anche depositi di qualche sostanza presenti lì da tempo. Va notato, comunque, che nel processo di cristallizzazione e nella successiva ri-dissoluzione della sostanza il colore non cambia. 

Quanto al suo omologo torinese, invece, possiamo asserire che la dicitura “terremoto” era presente anche lì (e, presumibilmente, sulla maggior parte dei baroscopi ottocenteschi). Quanto alle effettive capacità di predizione,però,  il giudizio di Sobrero era tranchant

Nello stato presente della scienza non v’ha strumento che possa farci prevedere il futuro in fatto di meteore acquee od aeree, di terremoti e simili; chi ha il coraggio di vantarsi di tali previsioni, od è illuso, od è ignorante, o peggio ancora, è un impostore che sfrutta a suo benefizio l’ignoranza altrui. Ed è questa la ragione per la quale mi sono indotto a gettar giù queste osservazioni. Sono persuaso che è la pessima tra le cattive opere quella di ingannare altrui ed indurre nel popolo false persuasioni ed idee erronee, sia nelle discipline morali, sia nelle fisiche e naturali; delle quali idee e persuasioni non conformi al vero le conseguenze pratiche non possono essere che perniciose. 

Insomma, quel baroscopio era una gran sòla, a detta del nostro Sobrero: non prevedeva i terremoti, non prevedeva il tempo, e anche come semplice termoscopio era inferiore agli strumenti in uso all’epoca, nemmeno lontanamente paragonabili ai nostri. Rimaneva comunque un oggetto curioso: osservare la formazione e dissoluzione dei cristalli nel liquido poteva avere un certo fascino. Quelli che lo spacciavano per l’ultimo ritrovato della scienza in fatto di previsioni meteorologiche, però, erano spesso truffatori che mescolavano mezze verità e menzogne. Proprio per questo, il chimico torinese concludeva la sua disquisizione con un distico di Vittorio Alfieri:

Meglio ignoranza onestamente intera,
Che del mezzo saper gli infami abusi. 

Ascanio Sobrero, uomo di scienza e debunker del suo tempo. Ascanio Sobrero, uno di noi.

***

Due ricette

Se volete provare a costruire anche voi un baroscopio, vi consigliamo queste due ricette, rinvenibili su parecchi siti di appassionati. Noi abbiamo provato a realizzare la prima, e il risultato (come termoscopio) è soddisfacente. Agite in sicurezza e prestate attenzione ai segnali di rischio chimico presenti sulle etichette (il cloruro d’ammonio, ad esempio, è irritante per gli occhi, mentre il nitrato di potassio va maneggiato lontano da fiamme o sigarette). Una volta costruito il baroscopio, vi consigliamo di tenervi vicino un moderno termometro, per verificarne le variazioni di aspetto al variare della temperatura.

Prima ricetta (da qui)

Ingredienti:

  • 2,5 g di nitrato di potassio
  • 2,5 g  cloruro di ammonio
  • 33 ml di acqua distillata
  • 40 ml di etanolo
  • 10 g  di canfora naturale

Sciogliere i due sali (nitrato di potassio e cloruro di ammonio) nell’acqua. A parte, mescolare canfora e etanolo fino allo scioglimento completo. Unire le due soluzioni e versare il contenuto in una provetta, lasciando all’interno almeno un centimetro d’aria. Chiudere la provetta e sigillarla, magari con ceralacca. Posizionare il baroscopio all’esterno dell’abitazione.

Seconda ricetta (da qui)

Ingredienti: 

  • 2 g di nitrato di potassio
  • 2 g  cloruro di ammonio
  • 2 g  di canfora naturale
  • 24 ml di grappa stagionata

Suddividere la grappa in 3 soluzioni da 8 ml ciascuna. Sciogliere nella prima il nitrato di potassio, nella seconda il cloruro di ammonio e nella terza la canfora. Unire le tre soluzioni e mescolare. Versare il tutto in una provetta da 25 ml, chiuderla con un tappo di sughero e sigillarla. Posizionare il baroscopio all’esterno dell’abitazione.

Si ringrazia il chimico Luigi Garlaschelli per gli utili suggerimenti. Immagine di apertura: Storm Glass, da Wikimedia Commons, pubblico dominio