Giandujotto scettico

Intra, 1932: il Cristo delle palpebre

Giandujotto scettico n° 126 di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo (08/09/2022)

Iniziò tutto venerdì 12 febbraio 1932. Rapidamente, tra i paesini del Verbano, corse voce che a Intra si era verificato un miracolo. Niente apparizioni, niente guarigioni inspiegabili: il prodigio in questione riguardava gli occhi di Gesù. O meglio, quelli di un quadro che si trovava in una piccola cappelletta in via di Mezzo, a Intra: il dipinto era vivo, batteva le palpebre e guardava

Il quadretto miracoloso

La storia fu raccontata dalla Gazzetta del Lago il 24 febbraio 1932: un’enorme folla di visitatori era accorsa per assistere al miracolo. Il quadretto in questione era descritto così:

La cappelletta che sorge in terreno di proprietà della famiglia Muller è un comune tabernacoletto in cui trovasi dipinto un Cristo in croce attorniato da quattro santi. Nulla di pregevole dal lato artistico. […]

Davanti alla cappelletta è un piccolo pronao che serve molto bene come riparo dalle intemperie poiché fino a qualche anno fa la cappelletta in parola sorgeva in mezzo a prati e campi deserti. Fu solo in questi ultimi anni che sorsero nelle vicinanze ville e case coloniche. Nella cappelletta a destra di chi guarda si vede appeso alla parete centrale un quadretto in oleografia raffigurante il volto di Cristo morto. La figura è racchiusa in una cornice e protetta da un vetro. […]

Tanto il quadro come il dipinto della parete sono divisi dal piccolo pronao da una cancellata coperta da una fitta rete metallica. Sulla cappelletta la cui costruzione risale al secolo scorso, sta una breve scritta, che non è altro se non un invito al viandante a volersi soffermare un breve istante per compiere un atto di doverosa devozione.

Il quadretto era stato messo lì venticinque anni prima, come ex voto, da una certa Teresa Zanetta, come segno di riconoscenza per una grazia ricevuta. Era ispirato probabilmente al viso della Sindone, o forse ai numerosi veli della Veronica (secondo la leggenda il volto di Cristo si sarebbe impresso miracolosamente su un panno di lino usato dalla donna per asciugare il volto di Gesù, durante la sua salita al Calvario).

Le prime testimonianze

Ma dunque, che cosa aveva attirato l’attenzione su quell’oscura immagine, che prima di allora ben pochi avevano considerato? Tutto era cominciato, dicevamo, venerdì 12 febbraio, con un anonimo ma assiduo frequentatore di quel tempietto, che nel dipinto vide “segni sicuri di vita”. Martedì 16, due sposi raggiunsero la cappelletta per pregare, e gli sembrò che il quadro avesse aperto gli occhi per poi richiuderli quasi subito. Raccontarono la cosa ad alcuni vicini, che vollero accertarsi della cosa, ma quelli non videro nulla di strano. Il giorno dopo, mercoledì, alcune alunne di una scuola elementare decisero di andare anche loro sul posto per cercare di assistere al miracolo. 

Si inginocchiarono, pregarono e chiesero a Dio di manifestarsi. Ad un certo punto, raccontano le fonti, si misero a gridare:

Ecco gli occhi si sono aperti, Gesù ci guarda!

Riferirono tutto alle famiglie, e la voce cominciò a spargersi. Alcune donne del posto, note per la loro devozione, alle tre del pomeriggio di venerdì 19 si riunirono anche loro nel luogo di culto. Secondo la tradizione, quella era l’ora della morte di Gesù, come testimoniato dal vangelo di Luca (non tutti i vangeli concordano sulla cronologia): pensavano che in quel momento fosse più facile assistere a un prodigio. 

E il prodigio in effetti si verificò: proprio mentre il campanile della zona batteva i rintocchi, dal capannello si udì un grido. Una delle donne presenti vide il dipinto aprire gli occhi. Un’altra scorse anche un rivolo di sangue che scendeva tra la fronte e il naso. Le pie donne si misero a piangere e a invocare la misericordia di Dio, e anche loro corsero a raccontare l’accaduto a parenti e amici. Sul posto cominciò ad affluire una piccola folla di curiosi. 

Verso le diciannove, a quanto pare, il miracolo si ripeté, stavolta davanti a una trentina di persone che si erano messe a pregare di fronte alla cappella, inginocchiate nella neve e nel fango.

Il calare delle tenebre non fermò il pellegrinaggio; anzi, molti, finito il lavoro, si affrettarono a raggiungere la cappella del miracolo. A mezzanotte, un gruppo di curiosi sostava ancora davanti all’inferriata, e cercava di scrutare il dipinto illuminandolo con fari e lampade tascabili. Alle donne, secondo il giornale, si erano aggiunti anche “giovani e uomini che certo non potevano credere al semplice racconto di persone che potevano essere state influenzate da elementi esteriori”. La pietà delle donne poteva essere forse dovuta alla suggestione collettiva, quella degli uomini, no di certo…

Il trambusto durò più o meno fino all’una di notte. C’era chi pregava in ginocchio, mentre altri cercavano di trovare una spiegazione naturale al fenomeno: qualcuno si era spinto ad aprire il cancelletto per scrutare meglio il quadro. Altri, non avendo visto nulla di miracoloso, si erano convinti che fosse colpa loro: gli occhi non erano abbastanza puliti, l’anima gravata da troppi peccati. E così, la fronte piegata a terra, si battevano il petto recitando il Mea culpa e il Miserere.

La folla tra sabato e domenica

Il giorno successivo, sabato 20 febbraio, il pellegrinaggio ricominciò. Una folla sempre più numerosa occupò via di Mezzo e le limitrofe via Franzi, viale delle Rimembranze e viale del Cimitero (la toponomastica della zona è ampiamente cambiata, rispetto al tempo, così come è assai mutato l’assetto edilizio); molti raggiungevano la zona in bicicletta, sui carri, o in automobile. Persone di ogni età andavano e tornavano commentando animatamente. Una delle questioni più dibattute era se il quadretto dovesse essere portato in un luogo più adatto ad ospitare i fedeli; c’era chi lo voleva trasferire in chiesa, e chi temeva invece che con lo spostamento cessassero anche le manifestazioni prodigiose. 

La Gazzetta del Lago descriveva così la scena:

Si calcola senza esagerazioni che più di diecimila persone siano sfilate, nella sola giornata di sabato, davanti al quadretto che tanto interesse ha suscitato in tutta la nostra zona. In alcuni momenti è stato necessario l’intervento delle guardie civiche per regolare l’afflusso della gente ed impedire ingorghi alla circolazione e danni alle persone. Alcuni fanciulli poterono a stento essere tolti di tra la folla che minacciava di soffocarli. Più di una signorina, vuoi per l’emozione, vuoi per la calca, dovette essere trasportata lontano semi svenuta. Vi erano i primi testimoni che narravano il fatto ai nuovi venuti cercando di persuaderli che il loro racconto corrispondeva esattamente alla verità. E quando l’interesse pareva venisse meno al fatto nuovo, ecco una voce gridare «Ha aperto gli occhi, ecco, ora sta chiudendoli!»

La cappelletta nel frattempo, con la deposizione di fiori e ceri, era stata trasformata in un tabernacolo. Il pellegrinaggio andò avanti ancora, fino a notte inoltrata, per riprendere di nuovo la domenica. Via di Mezzo era ormai completamente ostruita dalla folla, giunta in automobile persino da Milano e Novara. Ogni tanto, qualcuno gridava al miracolo, e tutti allora si concentravano: qualcuno confermava, altri rimanevano delusi.

Un milanese raccontò al cronista della Gazzetta del Lago di aver visto distintamente gli occhi del Signore. Una signorina “elegante e colta” gli confidò inoltre:

Creda, ero venuta qui indifferente e scettica ed ora invece ho dovuto mutare opinione poiché anch’io ho visto distintamente gli occhi del Signore apparire distinti e poi lentamente sparire; anch’io ho visto il miracolo, abbia fede ed anche lei sarà del mio parere.

Nella concitazione, qualcuno aveva cercato pure di portar via il quadro, ma la reazione degli astanti era stata energica. Domenica arrivarono anche gruppi di fanciulli e di suore, e anche tra quelli alcuni ebbero la fortuna di vedere il miracolo, altri no. La folla tornò a manifestarsi lunedì, quando fecero capolino anche diversi fotografi, che immortalarono il quadretto in tutte le posizioni.

Un’illusione ottica?

Tra gli scettici del miracolo c’era però anche il cronista de La Gazzetta del Lago, che, recatosi sul posto, non aveva visto alcunché. Per lui nel caso non c’era nulla di straordinario, se non la folla degli entusiasti. 

Pur affermando a parole di non volersi esprimere a favore o contro il miracolo, ai lettori confessava:

Abbiamo puntato gli occhi sul quadro, ma con tutta la nostra buona volontà di vedere qualcosa, non siamo riusciti a veder nulla, nemmeno con gli occhi della fede.

Peraltro, aveva saputo che il quadretto era già stato oggetto di simili “miracoli” in passato:

Veramente non è la prima volta che il quadretto di cui parliamo richiama l’attenzione, la curiosità e l’interesse dei passanti. Infatti abbiamo saputo di persone che trovandosi a passare da quelle parti alcuni anni or sono, ebbero nel dare uno sguardo fugace all’immagine del Cristo, l’impressione precisa e chiara che gli occhi del Redentore si aprissero. Vollero assicurarsi se la loro fosse certezza o mera illusione e dovettero convincersi che si trattava né più né meno che di un semplice scherzo di luce. Forse, se anche allora quelle persone avessero gridato al miracolo, non sarebbero certamente mancati i fedeli pronti a far eco a quel grido ed a richiamare attorno al quadretto miracoloso, la folla che abbiamo visto venerdì e sabato accalcarsi esaltata attorno alla cappelletta e gridare che aveva visto il Signore.

All’origine di tutto c’era molto probabilmente un fenomeno di suggestione collettiva. D’altra parte, anche diversi testimoni del miracolo ammettevano di non aver visto le palpebre sollevarsi: più semplicemente, avevano visto l’occhio e la pupilla del Cristo farsi più luminoso. Forse – ipotizzava il giornalista – la colpa era della rete metallica, che favoriva le illusioni ottiche di chi scrutava l’interno del tabernacolo. Lo stesso dipinto aveva un aspetto abbastanza ambiguo: il pittore aveva ritratto il Redentore con gli occhi chiusi, ma aveva dato alle palpebre una certa trasparenza, in modo da lasciare intravedere la pupilla al di sotto.

Ora si capisce come guardando insistentemente il quadro suddetto sia facile specialmente a spiriti impressionabili e ad anime già convenientemente e psichicamente preparate, vedere apparire in modo ben distinto anche per uno scherzo di luce prodotto dal vetro, la pupilla ed aver quindi l’impressione dell’apparire degli occhi. Quanto poi alla pretesa striscia di sangue che sarebbe stata notata da taluni nel pomeriggio di venerdì può darsi benissimo che sia un fatto prodotto da illusione ottica. Del resto una piccola macchia di sangue dovuta all’autore del quadro, è visibilissima sulla fronte del Redentore, senza che per questo sia necessario ricorrere ad un fatto soprannaturale.

Il parere del clero cattolico

Dello stesso avviso sembrava essere la chiesa cattolica locale che, come al solito, preferiva non pronunciarsi né pro né contro il miracolo. Alcuni sacerdoti del posto avevano voluto accertarsi personalmente del fatto e, seppur in veste privata, avevano visitato la cappelletta per vedere il prodigio da vicino. Anche loro ne erano rimasti delusi: pur ammettendo che Dio potesse operare simili prodigi “qualora lo creda opportuno per il bene spirituale degli uomini”, escludevano l’intervento divino per il caso in questione. 

Tutto ciò però non fermò la folla, che per parecchi giorni continuò ad affluire alla cappelletta. Anzi, con il passare delle ore cominciò a diffondersi una diceria: il Redentore stava per compiere un miracolo, qualcosa di più grande e di spettacolare di un semplice sbattere di palpebre. Non ci risultano tuttavia notizie di ulteriori manifestazioni “prodigiose”.

Tra il mancato miracolo e l’assenza di riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa, il flusso di pellegrini diminuì in modo progressivo, anche se tra marzo e aprile il quadro fu visitato ancora molte volte. Chi aveva visto il prodigio, rimaneva convinto di aver assistito a un fatto soprannaturale, e in caso di difficoltà personali si raccomandava al Cristo di via di Mezzo.

L’illusione ottica delle palpebre aperte e chiuse – Fair Use

Una spiegazione ulteriore?

La Gazzetta del Lago tornò sull’argomento soltanto un anno dopo, l’8 aprile del 1933. Al giornalista era rimasto infatti il tarlo: perché centinaia di persone giuravano di aver visto gli occhi di Gesù Cristo? Si recò di nuovo sul posto ed ebbe modo di osservare meglio il dipinto. Questa seconda ricognizione confermò le impressioni ricevute a caldo, durante il periodo della massima suggestione collettiva: si trattava di un’illusione ottica. La rete metallica probabilmente non aveva giocato alcun ruolo, e tutto stava nel modo in cui il dipinto era stato realizzato.

Veramente, guardando il quadretto riproducente la Sindone, si vede da principio un Cristo con gli occhi chiusi, ma a continuare a guardarlo con una certa fissità e, diremmo, con intensità, si vedono a poco a poco, velate come da una lontananza, con quel che di diafano, di impreciso e di adimensionale che hanno le apparizioni spettrali, due pupille nere che ti guardano fisse, un poco alte, leggermente nascoste in alto dalla palpebra superiore, che sembra si apra come d’incanto e che purtuttavia è chiusa. Il Cristo guarda…

Quegli occhi vivi eppur quasi invisibili forse erano il frutto di un ripensamento del pittore. L’ignoto artista doveva aver dapprima dipinto il Cristo con gli occhi aperti; in un secondo momento, quando ormai il colore si era asciugato, aveva cambiato idea. Forse su indicazione di altri, forse per un suo ragionamento, aveva deciso che il Redentore doveva aver chiuso gli occhi al contatto con il lino. Così, aveva aggiunto un paio di palpebre sul volto già terminato. Le pupille originali, però, si intravedevano ancora, nonostante la passata di colore:

Ed ecco spiegato il fenomeno… Mentre si vedono distintamente gli occhi chiusi, a fissarli bene si scorgono ancora le due pupille nere che il successivo strato di colore non ha rese invisibili del tutto. Così, con due occhi che sembrano lontani ed evanescenti, il Cristo di via di Mezzo guarda… 

Un risultato simile è quello ottenuto nell’illusione ottica che vedete qui sopra, o nell’immagine di Cristo in testa all’articolo. Quest’ultima è un’opera di Gabriel Cornelius Ritter von Max (1840-1915), di cui si contano innumerevoli riproduzioni, e guarda caso rappresenta proprio un “telo della Veronica” con un volto che sembra guardare l’interlocutore pur avendo gli occhi chiusi; non abbiamo trovato immagini del quadretto di Intra, ma l’effetto doveva essere molto, molto simile.

Una spiegazione semplice e naturale, ma che non avrà certo convinto chi pensava di aver visto davvero gli occhi del Redentore.