Giandujotto scettico

Gravellona Toce e il non-sbarco dei venusiani

Giandujotto scettico n° 122 di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo (22/09/2022)

Molto nota è la vicenda dei fratelli Judica-Cordiglia, i due radioamatori torinesi che a partire dal 1961 descrissero le loro presunte intercettazioni radiofoniche di comunicazioni e segnali trasmessi da cosmonauti russi, durante voli che sarebbe stati tenuti segreti e che in certi casi si sarebbero conclusi con disastri – fatti del tutto ignoti alla storia dell’astronautica

Il personaggio (assai minore, rispetto ai due fratelli di cui sopra) del quale vi parleremo oggi si colloca a cavallo fra storie di quel tipo e l’ufologia. Dopo essersi occupato di astronauti vari, infatti, il protagonista del nostro Giandujotto passò al “contattismo” ufologico (cioè, a sostenere di avere contatti più o meno diretti con piloti di astronavi o con alieni interessati a comunicare con gli esseri umani).

Parlare per radio con i marziani

Prima di raccontare dei suoi incontri diretti con gli extraterrestri (e di annunciarne più volte lo sbarco imminente in varie parti d’Italia e in Francia), quest’uomo attraversò una fase di contattismo Ufo radiofonico. La cosa potrà divertire, ma l’idea che gli extraterrestri parlino ad alcuni privilegiati, nel segreto, via radio è un topos dell’ufologia, e, anzi, esiste prima che, nel 1947, nascesse il mito dei dischi volanti.

Lo storico dell’ufologia Maurizio Verga ha documentato con un suo lavoro la vicenda dell’inglese Hugh Mansfield Robinson, che parlava (anche) via radio con Marte già nel 1926. Subito dopo il 1947, però, i discorsi sui contatti radiofonici si moltiplicarono. Dopo essere stati oggetto di una burla da parte di Byron Goodman (uno dei più noti radioamatori professionisti americani del tempo, che ne fece un lungo articolo per il numero di luglio 1950 della rivista specializzata QST), la cosa diventò una mania per alcuni ufologi come George Hunt Williamson, che dedicò alla questione larga parte del suo libretto The Saucers Speak! (1954). Tradotto in italiano come I dischi parlano nell’autunno del 1956 (Editoriale Domus, Milano) la storia dei contatti radio influenzò molto i primi appassionati italiani di Ufo. Nel 1957 a Catania c’era un radioamatore e spiritista che diceva di sentire i marziani con le sue apparecchiature. I contatti via radio furono poi importanti nei primi anni della cosiddetta “Amicizia”, un gruppo di occultisti-contattisti Ufo nato in Abruzzo che probabilmente iniziò ad attirare gente nel suo circolo intorno al 1956-57.

A noi non interessa esprimere valutazioni sui percorsi che le persone hanno seguito nelle loro vite. Ci preme, però, sulla base delle fonti disponibili, cercare di capire che cosa pensavano, e in quali contesti si muovevano. Dal nostro punto di vista, spiegare e interpretare è assai più utile che condannare. 

Dagli astronauti agli extraterrestri

È il 26 luglio del 1969. Sei giorni prima, la missione Apollo 11 è arrivata sulla Luna e ha permesso ai primi uomini di calcare il suolo di un altro corpo celeste. Da 48 ore, il modulo di comando dell’Apollo 11 ha riportato sul nostro pianeta i tre astronauti, ammarando nel Pacifico. Il mondo è in visibilio: ovunque, ognuno a modo suo, si celebra, si scherza, ci si appassiona e si seguono nei minimi dettagli le notizie che arrivano dall’America. 

Eventi portentosi, che però trascinano con loro anche dinamiche minime, ma non per questo meno significative.

Siamo a Gravellona Toce, cittadina del Verbano, allora in fase di radicale trasformazione, con il passaggio dalle tradizionali attività tessili ad attività industriali più moderne e competitive. Lo stesso tessuto demografico sta mutando. Dopo l’afflusso di immigrati veneti giunti dopo l’alluvione del Polesine (1951), ecco la vera rivoluzione del territorio: l’afflusso della manodopera meridionale. 

È a Gravellona Toce che un modesto radiotecnico di origine napoletane, Antonio De Rosa, è andato ad abitare con la famiglia dopo un passaggio da Domodossola, dove ci sono altri familiari. A quanto pare l’uomo, allora ventiseienne, è un appassionato di telecomunicazioni. 

Lo incontriamo per la prima volta il 26 luglio del 1969, appunto, grazie a un articolo del settimanale novarese L’Azione (qui sotto a destra).

Da circa un mese, De Rosa ha piazzato una tenda in un prato e ci ha messo dentro un ricevitore e, a quanto pare, delle antenne, fra le quali una parabolica – sembra fossero “residuati e pezzi di poco prezzo”. Grazie a questa attrezzatura, il nostro uomo sostiene di ascoltare le conversazioni fra l’Apollo 11 e il centro di comando di Houston.

Ora, il punto è che queste comunicazioni in linea di principio non erano impossibili da ascoltare. Almeno quelle in banda VHF furono ricevute da radioamatori esperti. Per riuscire, ci voleva notevole abilità, ma non è possibile affermare che De Rosa non ci fosse riuscito. Certo, l’antenna parabolica era stata ricavata “dal cestello di una lavatrice tagliata a mezzo”, ma De Rosa raccontava di aver scritto alla NASA un anno prima, ottenendo dettagli sulle frequenze usate e schemi sugli apparati da usare. Fin qui, cose interessanti e, in fondo, plausibili: non si poteva escludere che una persona in quella zona periferica del Piemonte ce l’avesse fatta. L’Azione sosteneva che, ascoltando le voci (evidentemente registrate) si poteva star certi trattarsi degli astronauti dell’Apollo 11. 

Tutto normale, dunque? Non del tutto. Alcuni sviluppi futuri si potevano intravvedere già nella conclusione dell’articolo. All’ultimo, infatti, De Rosa aveva ricevuto anche delle voci in russo su una frequenza vicinissima a quella americana! C’era forse un veicolo spaziale russo con a bordo un uomo, in quel momento? Dalla realtà storica sappiamo che non era così: la Sojuz-5 aveva volato a gennaio, e la successiva navicella sovietica, la Sojuz-6, partì a ottobre. 

Insomma: ecco la prima fase della storia del nostro futuro contattista Ufo: radiotecnico, appassionato di astronautica, che con mezzi trascurabili assurge a notorietà locale come ascoltatore degli astronauti americani – la gran moda del momento – e dei ben più “misteriosi” cosmonauti russi, in anni nei quali in Piemonte la fama degli Judica-Cordiglia era al culmine.

Due anni dopo, De Rosa aveva già spostato la sua attenzione sui “voli misteriosi” delle navi sovietiche e sui loro guai. Il 24 agosto del 1971, nelle sue pagine di cronaca novarese, La Stampa raccontava che a Gravellona Toce l’uomo aveva affermato di sentire e di aver registrato un’astronave sovietica con tre uomini a bordo. Aveva fatto lo stesso con le conversazioni fra la base a terra e l’equipaggio della nave Sojuz-11, i cui tre membri erano morti nello spazio a causa di una depressurizzazione, il 29 giugno precedente. Intendeva vendere i nastri a “un noto settimanale italiano” non meglio precisato: a nostra conoscenza, il tentativo si rivelò infruttuoso. In altri termini, per quanto ne sappiamo, nel 1969-71 De Rosa si presentò come un cacciatore di missioni spaziali e come un uomo in grado di “rivelare” al mondo aspetti ignoti di esse, soprattutto di quelle sovietiche. 

Ma la passione per la radio doveva ben presto riservare a lui e al pubblico ben altre sorprese.

Contatto!

Il 20 aprile del 1972, il settimanale Risveglio Ossolano pubblicava un breve articoletto. Macugnaga – la località sciistica alpina – e i suoi dintorni sembravano aver trovato modo di farsi pubblicità senza spendere una lira. De Rosa, che il periodico spiegava senza mezzi termini essere noto per le sue “trovate pseudo-scientifiche”, aveva dichiarato di ricevere messaggi dagli extraterrestri. Lo faceva via radio, sulla frequenza di 4500 MHz, dunque nella gamma SHF. Le comunicazioni gli arrivavano sia da altri mondi, sia da velivoli spaziali che secondo lui ruotavano intorno alla Terra ad una velocità tale da non essere visibili. Erano però pronti a sbarcare e a invadere il nostro pianeta.

Era l’inizio della vera “svolta”. Dopo tre anni fra intercettazioni di astronauti e cosmonauti, a parlargli e a rivelargli come stavano le cose erano gli alieni. Il nostro radioamatore raccontò di averli incontrati anche faccia a faccia, in Piemonte: lo sappiamo dalle pagine di cronaca novarese de La Stampa, il 5 agosto 1972.

Ai giornalisti, De Rosa spiegò di aver progressivamente ampliato il suo centro d’ascolto radio-video, nato nel 1967 su Monte Moro, nella zona del passo che collega l’Italia, dalla Valle Anzasca, al territorio svizzero. Aveva sentito anche conversazioni “in lingue sconosciute”, ma era da poco che era passato a un altro tipo di navigatori spaziali.

Una sera di giugno 1972, mentre era ai suoi apparecchi, mancò la corrente. Uscito all’aperto, ecco tre individui con tute spaziali, ma senza casco. Ci crederete? Erano biondi, le tute argentee, alti quasi due metri, col viso ovale e armonico. Gli sorrisero, e uno gli mise le dita della mano, affusolate e morbide, sulla spalla. Gli consegnarono una pietra simile al quarzo, sferica. Poi risalirono sull’astronave, atterrata poco dietro di loro, e se ne andarono con un lampo giallo. Particolare decisivo: uno di loro indicò in cielo il pianeta Venere. Venivano da lì! 

Il dono della pietra, un classico dei racconti folklorici sugli incontri con esseri soprannaturali, non era per niente simbolico. L’ufologia è anche feticismo della tecnica, e, dunque, in questa storia diventava un mezzo per comunicare telepaticamente con gli alieni, provenienti da Venere ma originari di Betelgeuse. Tre giorni dopo, l’8 agosto, Stampa Sera spiegò che da Torino si era mossa anche una troupe della RAI, nell’intento di assistere a uno degli incontri di De Rosa che, dopo il primo, si stavano ripetendo – ma non più sul Monte Moro, bensì nella zona di Megolo, una frazione di Pieve Bergonte, presso il Toce, sempre nel Verbano. Purtroppo per tutti noi, in presenza della RAI i venusiani non si manifestarono.

Viaggi in America, o quasi

Pochi giorni dopo, nel raccontare la storia del suo incontro ravvicinato con gli extraterrestri, De Rosa inserì un altro elemento, che lo accompagnerà per i sei anni successivi: quelli per i quali – per quanto ne sappiamo – durò la sua carriera di contattista. Disse di aver rapporti con la NASA, di esser stato a Houston, presso la sede dell’ente spaziale, di aver discusso con i funzionari della NASA dei suoi contatti e di aver ricostruito lì le apparecchiature usate per i contatti radio, non ultimo ottenendo l’attenzione del direttore del programma Apollo, Rocco A. Petrone

Ne parlò per la prima volta il 17 agosto 1972 la cronaca novarese de La Stampa: secondo il quotidiano, sembrava che De Rosa, grazie a prestiti degli amici, avesse preso un aereo per Houston, dove aveva mostrato anche delle foto che aveva fatto all’Ufo atterrato! La NASA gli aveva pagato il volo di ritorno e gli aveva promesso di mandare suoi incaricati a studiare il fenomeno di cui lui era protagonista. Quanto alle foto, pare che quel giorno fosse restio a mostrarle al giornalista. Resse poco. Tre giorni dopo, la foto dell’astronave era su quelle stesse pagine di cronaca locale del maggior quotidiano piemontese. La potete vedere qui sotto.


De Rosa comunque stava per tornare a Houston; anche perché, diceva, gli era appena arrivato dalla NASA un assegno circolare di trecento milioni. Doveva sperimentare lì le attrezzature necessarie per le comunicazioni e, fra queste, un “convertitore” costituito da polipi in una vaschetta d’acqua, che servivano per “convertire la frequenza” e dunque comunicare con i venusiani. In quel modo aveva ottenuto le formule che, consegnate agli americani, gli avevano fruttato i trecento milioni. 

È a questo punto che, a quanto sappiamo ancora dalla cronaca locale de La Stampa (14 settembre 1972), intorno al radiotecnico cominciò a crearsi una certa curiosità da parte del pubblico. La sera, mentre sul Toce cercava di richiamare i venusiani, arrivavano appassionati e radioamatori, e anche i Carabinieri a sorvegliare il tutto. Siccome però i venusiani non si facevano vedere, De Rosa spiegò di temere che non si trattasse di extraterrestri, ma di russi che sperimentavano un’arma segreta spaziale, e che, dunque, in presenza di troppa gente non si facevano vedere. Forse era per quello che la NASA gli aveva dato tutti quei soldi: perché anche loro pensavano ai sovietici! Comunque lui sere prima aveva scattato altre foto degli Ufo in zona: ne mostrò cinque al giornalista. Non ebbero particolare successo: erano macchie di luce confusa, che potevano essere qualsiasi cosa. 

Quanto ai presunti soldi che gli piovevano, la cosa assunse rapidamente aspetti ancora più curiosi: il 19 ottobre La Stampa riferì che con un amico si era attribuito un tredici al Totocalcio, ma che costui non era riuscito a trovare il numero della schedina giocata fra quelli vincenti. 

D’altro canto, muovendosi forse per la prima volta sul serio fuori dalla sua area, poco tempo prima De Rosa aveva contattato un celebre esperto di telecomunicazioni della Svizzera italiana, il locarnese Umberto Tresoldi, cui aveva mostrato immagini delle sue attrezzature per comunicare con gli alieni. Fatto interessante: De Rosa avrebbe proposto di nuovo nastri con registrazioni di comunicazioni fra astronauti sovietici e basi a terra ma Tresoldi, insieme a un giornalista de L’Eco di Locarno, a quanto pare non riuscì a venire a capo di niente, e la cosa – ancora una volta – finì lì, malgrado, a quanto pare, le richieste economiche di De Rosa non fossero eccessive (L’Eco di Locarno, 14 ottobre 1972).

1973: De Rosa su tutti i giornali

La storia dalla provincia novarese montò lentamente sino ad assumere rilevanza nazionale soltanto l’anno dopo, il 1973. 

Il 7 luglio, Stampa Sera dedicò un articolone al radiotecnico: De Rosa era sempre più chiaro e netto nelle sue rivelazioni. Dopo aver spiegato al giornalista, Alessandro Rigaldo, che considerava superate le attrezzature che aveva usato per intercettare gli astronauti (De Rosa aveva anche monitor a colori con il quale sosteneva di aver visto in diretta le missioni Apollo sulla Luna, e con gli astronauti americani ci aveva addirittura parlato mentre erano nello spazio), fece il vero grande annuncio. Il 16 luglio una meteora enorme avrebbe celato il Sole, provocando un’eclisse lunghissima, ma sarebbero arrivati i venusiani. Aveva costruito una nuova stazione a Pedemonte, una fazione di Gravellona. Rigaldo ci andò e vide soltanto attrezzature di fortuna, o antiquate, con pezzi di ogni genere. Una seconda attesa di uno sbarco a Pedemonte, con annesso gruppetto di persone ad attendere gli Et, non andò a buon fine pochi mesi dopo (Stampa Sera, 22 febbraio 1974).

In quello stesso mese di luglio 1973, forse sulla scia del clamore montante, alcuni ufologi di Villadossola – aveva costituito una delle tante mini-associazioni Ufo di quel decennio, il CRUAO – avvicinò De Rosa e lo intervistò. Ne trasse una relazione (in sostanza, una sintesi di quello che aveva già pubblicato La Stampa) presentata da Sergio Conti, un giornalista appassionato del paranormale, sul numero di febbraio 1974 del Giornale dei misteri, il mensile fiorentino che in quel periodo era il punto di riferimento principale per chiunque fosse affascinato dalle cose insolite. 

Nel frattempo, a parte il servizio di Stampa Sera del 7 luglio, De Rosa aveva ricevuto ben altra pubblicità grazie al settimanale Gente, che ne parlò a lungo il 21 dicembre del 1973, in un periodo di picco di mania collettiva per gli Ufo e di “ondata” di avvistamenti. De Rosa diede agli ufologi del CRUAO anche le due Polaroid scattate mentre i venusiani se ne andavano. Oltre a queste, consegnò loro una copia di una foto della “pietra magica”.

Ufologi entusiasti e fotografie non troppo misteriose

Nel febbraio del 1974, come abbiamo detto, Il Giornale dei Misteri aveva presentato al pubblico degli appassionati la storia – comprensiva di foto del disco e dei due astronauti venusiani, in realtà, come detto, apparsa per la prima volta già su Stampa Sera il 20 agosto 1972. Questa circostanza innescò una serie di reazioni interne all’ambiente ufologico che, nel suo complesso, mostra ancora una volta quanto quell’ambito sia precario, anche quando mosso dalle migliori intenzioni. 

Un altro gruppo di ufologi, il GORU di La Spezia, si rese conto che le due foto erano poco congrue con i dettagli descritti dal contattista: per loro, doveva trattarsi di qualcosa di piccolo e di vicino all’obiettivo di chi aveva scattato le immagini. Il GORU inviò una sua relazione al Giornale dei Misteri, in cui faceva notare le palesi contraddizioni fra immagini e parole. L’associazione spezzina non aveva un’impostazione razionale: le loro attività ruotavano intorno a medianità, fenomeni “strani” di ogni tipo, migliaia di avvistamenti di presunti Ufo (sì, avete letto bene) che – non ultimo – nel settembre del 1976 culmineranno nell’incontro da parte dei suoi componenti con un vero extraterrestre sulle colline alle spalle della città ligure. Anche stavolta c’era una foto dell’essere, ma in quel caso, per loro, era misteriosa sul serio. 

Sulle foto di De Rosa però avevano ragione. La fonte delle due immagini dell’Ufo vicino alle rive del Toce fu scoperta di lì a poco. Si trattava di un fotogramma un po’ sfuocato di un film d’animazione a sfondo fantascientifico prodotto in Ungheria nel 1967, Bizonyos Joslatok, diretto da Ottó Fuky – ma direttore della fotografia e responsabile degli effetti speciali fu un importante sceneggiatore, Janós Tóth. I venusiani erano due extraterrestri in fase di atterraggio, e nel film si chiamavano Tau e Rho. Difficile dire come De Rosa ne sia venuto a conoscenza, ma Bizonyos Joslatok fu presentato in occasione della sesta edizione del Festival internazionale del film di fantascienza di Trieste, nell’estate 1968, e dunque è probabile che le immagini siano circolate anche in Italia.

Gli astronauti Tau e Rho si preparano a sbarcare. Foto di scena di “Bizonyos Jóslatok” (1967), da: B Laszlo, M. György, S. Emil, “Magyar Rövidfilm Muveszet”, Budapest, s. d., p. 113.

A spiegarlo (e a mostrare la versione nitida dell’immagine) fu un articolo dell’ufologo Roberto Pinotti, che ne parlò sulla rivista della sua associazione, il Centro Ufologico Nazionale, Notiziario UFO, nel suo numero di gennaio 1979 (pp. 27-28). Anche Pinotti si muoveva in un mondo di forti credenze negli extraterrestri. Non teneva in conto De Rosa, ma aveva i suoi beniamini, a cominciare da uno dei capostipiti dei contatti con i venusiani: l’americano George Adamski, con le sue foto e i suoi racconti delle lezioni di vita impartite dai maestri dello spazio.

Il guaio degli ufologi nel maneggiare questa storia fu che svilupparono un’ideazione di tipo complottista. Pinotti, sulla sua rivista Notiziario UFO, già nel 1974 (n. 63-64 di luglio-dicembre) sospettava che De Rosa, in qualche modo, fosse “incoraggiato” non si sa bene da chi a raccontare i suoi contatti per sviare l’attenzione dai casi Ufo “seri” e dalle questioni importanti che per lui poneva il fenomeno: insomma, uno strumento psicologico per far sì che le persone dotate di buon senso sorridessero dell’intera faccenda. Purtroppo, anche ufologi più sobri come Pier Luigi Sani, sia pure in forma meno urlata, caddero in questa trappola, come dimostra la presentazione che di questa storia ne fece in UFO in Italia. Il periodo 1955-1970 (UPIAR, Torino, 1990. pp. 326-328). 

Difficoltà e guai 

Nel frattempo, la carriera di De Rosa era proseguita. Le difficoltà che incontrò non dipesero dalle discussioni fra ufologi, impegnati sovente a delegittimarsi a vicenda, in un ambito privo di legittimità disciplinare come il loro. Dopo aver scritto all’altro giornale torinese del tempo, la Gazzetta del Popolo, chiedendo il suo appoggio per poter incontrare papa Paolo VI (5 gennaio 1974), De Rosa lasciò Gravellona Toce e cercò di propagandare su più ampia scala i suoi racconti. Da allora, e almeno per i quattro anni successivi, si fece conoscere in altre parti d’Italia e persino nel sud della Francia.

Noi faremo soltanto una sintesi estrema di quel periodo convulso: le cronache giornalistiche, facilmente reperibili in rete, sono al riguardo piuttosto dettagliate. 

La vicenda più clamorosa fu quella che, nel gennaio del 1975, vide per teatro Pula, in provincia di Cagliari: laggiù, nella zona di Nora, il 15 di quel mese dovevano finalmente sbarcare i venusiani. De Rosa vi si fermò diversi giorni, poi si allontanò cercando di rientrare nella penisola per via aerea, ma gli fu impedito. Se ne pensi quel che si vuole, ma – come documentò con gusto un giornale sardo del tempo, Tutto Quotidiano – il contattista riuscì a far agitare la comunità e, stando alle cronache, a far sì che l’amministrazione comunale desse una risistemata alle strade e al verde, tanto più che per il giorno fatidico era annunciato anche l’arrivo sul posto di Rocco Petrone, l’ex-direttore del programma Apollo. Ai programmi spaziali russo e americano, insomma, De Rosa rimase a lungo legato sentimentalmente. Questa performance sarda, come altre successive, ebbe per lui conseguenze dolorose sul piano giuridico, che le cronache s’incaricarono di dettagliare (La Stampa, Corriere della Sera, 28 novembre 1976). 

Lo stesso fu per altre sue iniziative. Ebbe seccature a Imperia (La Stampa, cronache del Novarese, 14 febbraio 1976), e a Terni, dove per il 18 settembre 1978 aveva annunciato lo sbarco (La Nazione, 19 settembre 1978): qui sembra si fossero radunate duemila persone in attesa dell’evento, che puntualmente non avvenne. Il 28 agosto 1974, invece, gli alieni sarebbero dovuti atterrare sul Monte Labro, nel Grossetano; alcune centinaia di persone accorsero per assistere all’evento (Il Telegrafo, 22, 28 e 29 agosto 1974). 

La questione, però, non sono le numerose e frastagliate vicende personali dell’uomo. Sappiamo tutti che non c’erano né venusiani, né Ufo, né sbarchi in vista. Quello che ci interessa di più è perché, per quanto è possibile documentare, in più occasioni, in così tanti si mobilitarono, s’incuriosirono e si radunarono sulla scia dei suoi annunci. Non riuscì a farlo soltanto in Italia, dove andò avanti per almeno sei anni, dal 1972 al 1978;  ma il copione si ripeté anche all’estero, in Francia. Alla fine di ottobre 1974, nei pressi di Avignone, circa 1500 persone si riunirono in attesa di una squadra di tre extraterrestri. Stando a una corrispondenza de Il Giornale di Milano, quando quel giorno De Rosa annunciò una nuova data per la rivelazione extraterrestre (il 2 gennaio successivo) la folla si sbandò irritata e delusa.

Dopo il 1978, per quanto ne sappiamo, De Rosa uscì di scena: non sappiamo bene cosa ne sia stato, ma le controversie legali di cui fu a più riprese protagonista giocarono forse un ruolo determinante nel chiuderne la parabola pubblica. 

Perché?

Sul piano scientifico, ciò che dovrebbe essere discusso è come mai quest’uomo riuscì a suscitare tutta quella effervescenza. Le sue capacità di mobilitare grandi folle, per quanto effimera e occasionale, andrebbe spiegata meglio. 

Dalla storiografia ufologica sappiamo che gli anni nei quali De Rosa fu attivo coincisero con quelli della massima attenzione collettiva per il mito Ufo. L’improbabilità degli annunci non erano sufficienti a tenere la gente a casa. Le motivazioni di dettaglio di queste persone ci sono ignote, ma una tesi è che l’attivismo Ufo che si manifestò nell’Italia degli Anni ‘70 del secolo scorso sia interpretabile come una fra le tante alternative sociali alla mobilitazione politica, così importante in quel periodo. 

Si poteva andare in discoteca, a picchiarsi allo stadio, truccare le moto o cercare di vedere gli Ufo (e molto altro, naturalmente). Chiedersi se quelle persone che andarono nei prati dove dovevano arrivare gli amici di De Rosa prestassero orecchio o meno alle predizioni dell’uomo è lecito, ma, oltre che quasi di certo impossibile a sapersi, potrebbe essere utile, ma non determinante. La stessa natura effimera di quei raduni lo testimonia. 

Quel che contava di più era lo stare insieme, anche nella prossimità fisica, a vivere un evento. Gli Ufo erano nello spirito del tempo, e, dunque, non deve stupire che i numeri potessero a volte essere rilevanti. 

Oggi, per mille motivi, e – non ultimo, per le metamorfosi subìte e per il declino della forza innovativa del mito Ufo – movimenti del genere ci appaiono meno probabili.

Foto di Thomas Budach da Pixabay