Approfondimenti

Il serpente dell’Essex e la criptozoologia

A giugno è uscita su Apple TV la miniserie Il serpente dell’Essex, della regista Clio Barnard, con protagonisti Claire Danes (nei panni della ricca Cora Seaborne) e Tom Hiddleston (nel ruolo del reverendo Will Ransome). La serie, che si articola in sei puntate, è tratta dal best seller omonimo della scrittrice Sarah Perry, e mette in scena una delle ossessioni dell’Ottocento: quella per i serpenti di mare, creature ambigue al limite tra la zoologia e la leggenda. 

La trama

La serie si apre con due scenari contrapposti: da un lato due bambine pregano sulle rive del fiume Blackwater, nella contea dell’Essex, perché il “mostro” non le divori; dall’altra Cora Seaborne assiste il marito morente insieme al giovane medico Luke Garrett, che vorrebbe sperimentare sul paziente gli ultimi ritrovati della medicina “moderna”. In questa contrapposizione tra superstizione e scienza sta il grande tema del “Serpente dell’Essex”, ambientato nel 1893 tra le brughiere inglesi e le disuguaglianze sociali di Londra. 

Cora rappresenta infatti l’entusiasmo dell’epoca vittoriana per le nuove scoperte sul mondo naturale, tra nuove specie animali e raccolte di fossili; saputo che nell’Essex è stato avvistato un gigantesco serpente marino, vorrebbe vederlo, studiarlo, magari darne una descrizione completa agli studiosi del British Museum. Si scontra però con lo scetticismo del pastore locale Will Ransome, che vede in quei racconti nient’altro che voci e superstizioni prive di fondamento…

Il “vero” serpente dell’Essex

Sarah Perry, autrice del romanzo alla base della serie, ha raccontato di essersi ispirata a un documento antico, risalente al 1669: un pamphlet che racconta l’apparizione di uno strano mostro alato nella contea dell’Essex. 

L’opuscolo si intitola “Strange News out of Essex or The Winged Serpent” (Strane notizie dall’Essex – o il serpente alato) ed è stato ristampato all’inizio dell’Ottocento insieme a una dissertazione su animali simili tratti dalle cronache o dalle leggende antiche. È disponibile integralmente su Google Books o sul sito della Biblioteca dell’Università del Michigan – progetto Early English Books.

Racconta gli avvistamenti di un mostro nella primavera del 1669, ad opera di “molte persone credibili”. Il primo a vederlo, disteso su una riva, è infatti un gentiluomo: la bestia aggredisce il suo cavallo, ma lui riesce a fuggire e a raccontare a tutti l’esperienza. Poi, la seconda apparizione: due persone vedono il mostro disteso al sole e hanno modo di osservarlo a lungo. Lo descrivono come un serpentone di 8 o 9 piedi di lunghezza (circa 2 metri e mezzo), spesso quanto la coscia di un uomo, con occhi grandi come quelli di una pecora e due file di denti bianchi aguzzi. Completa il tutto un paio di ali, che sembrano troppo piccole per sostenerlo in volo. Il mostro, dopo aver fissato i due uomini con aria di sfida, scompare nel bosco, prima che uno dei due testimoni possa andare a prendere un’arma da fuoco. Due giorni dopo, il serpente compare davanti a un uomo che lo descrive nello stesso modo degli altri testimoni.

L’opuscolo si conclude con la descrizione del panico che regna tra gli abitanti del posto: il serpente è ancora libero ed è riuscito a sottrarsi alle battute di caccia; anche se la bestia non ha ancora ucciso nessuno, donne e bambini sono spaventati.

L’illustrazione del pamphlet

Mostri, miracoli, apparizioni in cielo

Un lettore moderno potrebbe forse chiedersi che cosa avessero visto davvero i bravi abitanti dell’Essex, in quella primavera del Diciassettesimo secolo. Il problema è che questi opuscoli non erano concepiti come cronache esatte di eventi reali, né come descrizioni scientifiche. Era una forma di letteratura popolare che metteva in scena eventi soprannaturali, miracolosi, incredibili per un pubblico affamato di “meraviglioso”. 

A volte, i testi che accompagnavano le incisioni avevano una morale esplicita: è il caso del “Mowing devil”, un pamphlet del 1678 che racconta di un proprietario terriero che respinge la richiesta di aumento di un suo bracciante, dicendo che piuttosto avrebbe fatto mietere la sua avena al diavolo in persona. Quella notte, un demone si presenta per fare il lavoro richiesto…

In altre occasioni, gli opuscoli descrivevano eventi celesti, apparizioni, nascite mostruose senza troppi fronzoli: in un periodo di forti contrapposizioni religiose e politiche, questi racconti mettevano in scena la rottura dell’ordine naturale delle cose per invitare alla preghiera e al pentimento. Il pamphlet sul serpente dell’Essex arriva appunto in questo contesto: in Inghilterra era da poco finita la guerra civile, Oliver Cromwell era morto e l’apparizione di un mostro era quasi una rappresentazione del disordine del mondo. 

Negli ultimi decenni, alcuni di questi opuscoli del Cinque-Seicento sono stati riletti, fuori contesto, come episodi realmente avvenuti. L’incisione del cosiddetto fenomeno celeste di Norimberga e di quello di Basilea, ad esempio, infestano da anni la pubblicistica ufologica. Bisogna resistere però alla tentazione di trovare spiegazioni naturali (o paranormali) a questi resoconti, che spesso mescolavano dicerie, eventi inventati, favole moraleggianti, racconti di terza o quarta mano. Chi li stampava (e vendeva), non si preoccupava troppo dell’effettiva realtà dei fatti: semplicemente, non era quello lo scopo.

Una storia del Seicento trasportata a fine Ottocento

Forse è anche per questo che Sarah Perry ha preferito trasportare la storia in tempi più recenti, dal 1669 al 1893. Nell’Ottocento, in effetti, il dibattito sull’esistenza di mostri e creature come quella dell’Essex era vivissimo. I serpenti di mare popolavano le cronache dei giornali, le discussioni fiorivano tra i naturalisti. I resoconti di avvistamenti da parte di pescatori e marinai venivano letti da alcuni studiosi come la dimostrazione dell’esistenza di animali ancora da scoprire; altri preferivano catalogarli come frutto di superstizioni, distorsioni ottiche, suggestione, o al limite di osservazioni di specie già note. 

Un esempio è la storia del serpente marino di Gloucester, in Massachusetts: nel 1817, alcuni testimoni riferirono di aver visto una gigantesca creatura serpentiforme nelle acque del porto. Una società scientifica, la Linnaean Society of New England, radunò un comitato per indagare sull’avvistamento; la conclusione – per gli studiosi si trattava di una nuova specie, ribattezzata Scoliophis atlanticus – generò un acceso dibattito tra i naturalisti del tempo, che produsse a sua volta nuove testimonianze, scherzi, bufale e ipotesi fantasiose. 

Per tutto l’Ottocento, episodi come quello di Gloucester catalizzarono l’attenzione della stampa e degli zoologi; tanto che, con il passare degli anni, l’espressione serpente di mare cominciò a essere usata nel mondo del giornalismo per indicare una notizia falsa o esagerata – un po’ l’equivalente delle nostre bufale. La mancanza di resti fisici da studiare portò a poco a poco queste creature fuori dall’orizzonte della zoologia

Eppure, a fine Ottocento, il dibattito sull’esistenza dei serpenti di mare non si era ancora placato. Nel 1892 – esattamente l’anno prima rispetto a quando è ambientato Il serpente dell’Essex – lo zoologo olandese Anthonie Cornelis Oudemans pubblicò The great sea serpent, un corposo volume in cui analizzava 187 resoconti di presunti avvistamenti; per alcuni di questi, propose l’identificazione con un mammifero, un pinnipede ancora sconosciuto. La teoria di Oudemans, comunque, non venne mai dimostrata.

Il serpente dell’Essex trasporta dunque sul piccolo schermo questo periodo pionieristico delle scienze naturali, quando la forbice tra zoologia e criptozoologia non era ancora così netta e l’esistenza dei serpenti di mare non era un’ipotesi poi così improbabile. Nella dicotomia tra scienza e superstizione, fede e ragione, credenze fideistiche e ricerca di prove sta tutto il fascino di questa serie TV.

Immagine in evidenza: una scena dal trailer di The Essex Serpent (Clio Barnard, 2022)

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

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