Il prete svizzero che amava i fantasmi
Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Di storie di poltergeist, cioè di “infestazioni” di case e altri ambienti da parte di presunti spiriti che ne combinano di tutti i colori, ce ne sono tante. Quella di oggi, però, ha caratteristiche particolari. L’abbiamo tirata fuori dagli archivi perché mostra come, in un angolo della Svizzera italiana, agli inizi del secolo scorso lo scontro fra concezioni del mondo differenti fosse talmente vivace da far impallidire gli odierni scambi di insulti sui social network.
È una vicenda che conferma quanto fosse alla moda lo spiritismo, anche tra personaggi insospettabili. La Chiesa cattolica lo vedeva letteralmente come manifestazione di Satana, e vietava di sperimentarne i presunti fenomeni – figuriamoci se ad accostarsene erano dei preti. Nel 1856, il Sant’Uffizio aveva definito la pratica “illecita, ereticale e scandalosa”. Eppure, nei primi anni del Novecento, è proprio in una vicenda del genere che finì, rimanendovi impantanato, il parroco di un paesino ai confini con la provincia di Como.
Teatro della storia fu Cabbio, una frazione del comune di Breggia, nel distretto di Mendrisio. Realtà piccola (al tempo contava circa 350 abitanti), in cui si staglia tuttavia la Chiesa dell’Ascensione, edificio di culto barocco di discreto interesse storico, nonché parrocchia in cui officiava il protagonista principale della nostra storia.
Un esordio scoppiettante
Stando alle fonti, il 19 luglio del 1904 una famiglia che abitava un’alpe di montagna di Cabbio avrebbe cominciato ad allarmarsi per alcuni avvenimenti strani; la cosa più interessante è il tono con cui, sin da subito, la faccenda fu raccontata dai giornali.
Il 1° agosto, sul quotidiano di Lugano Gazzetta Ticinese, testata che a quel tempo si attestava su posizioni radicali, apparve un breve articolo che irrideva il clero cattolico della zona di Cabbio. La vicenda era già esplosa pubblicamente da circa quattro giorni: altri quotidiani avevano già cominciato a parlare di una “indecente mistificazione a base di colpi attribuiti agli spiriti”, per la quale, peraltro, la giustizia sembrava già sul punto di scoprire gli autori. La Gazzetta Ticinese non considerava, infatti, quella manifestazione spiritica come una fra le tante di quei decenni. Per la redazione, il mondo dei fantasmi era l’occasione buona per ingaggiare una battaglia politica.
Secondo il giornale, una parte della popolazione, quella “sotto la matrignale tutela della Chiesa”, era fortemente allarmata per via dei fenomeni segnalati in quell’abitazione. Ma “il pubblico sensato” non c’era cascato, e questo malgrado “qualche prete audace abbia avuto la sfacciataggine di garantire il giuoco zaroso [termine arcaico per audace, truffaldino, NdR]”. Si trattava di ritorni di Medioevo “fomentati dalla pretaglia”, che mostravano la necessità di “illuminare, emancipandola” la popolazione arretrata “dalla tutela assassina della Chiesa”… E così via, i toni erano questi.
Ma, al di là degli eccessi, che cosa stava innescando un tale vespaio? Siamo in grado di conoscere i dettagli della storia grazie a un altro quotidiano di Lugano, il Corriere Ticinese del 2 agosto 1904. La casa interessata era quella in cui vivevano Emanuele Codoni e la sua famiglia: una tipica abitazione del luogo, posta sotto due montagne, il Pizzo Gordona e il Prà Bello. Dopo che si era diffusa la voce di potenti e misteriosi colpi che si sentivano in una parte della casa, la sera del 29 luglio erano arrivati sul posto il procuratore pubblico (un magistrato inquirente tipico del Canton Ticino), dottor Carlo Stoppa (1862-1912), e due gendarmi, insieme a “alcuni professori e maestri”.
Il sospetto era che il tutto fosse dovuto di “certi figuri” del posto. La sera successiva, invece, si presentarono in casa, chiamati da Codoni, due religiosi. Si trattava di don Giuseppe Spinelli, parroco di Cabbio, e dell’arciprete di Balerna (un paesino vicino a Mendrisio), don Angelo Abbondio, incaricato dalla curia di Lugano di raccogliere informazioni e di assistere don Spinelli.
Il procuratore Stoppa ascoltò i testimoni e si mise in attesa che succedesse qualcosa. Il guaio, a quanto pare, cominciò qui: in presenza del magistrato non accadde nulla, ma gli spiriti decisero di farsi sentire in presenza dei due religiosi. Lo fecero, a quanto pare, tre volte in meno di tre ore. A questo punto il procuratore, racconta il Corriere Ticinese, fece una mossa azzardata: in cambio di informazioni dettagliate sugli eventi che lui non riusciva a constatare, promise a don Spinelli un regalo. Il giorno dopo, il 30 luglio, i colpi si sentirono di nuovo e don Spinelli, senza attendere un attimo, scrisse una relazione che inviò a Stoppa (e, secondo le fonti, gli ricordò della promessa).
Questi punti (la mancanza di fenomeni in presenza di magistrato e gendarmi, la promessa di una somma in denaro al parroco in cambio di una relazione dettagliata) furono confermati dallo stesso Stoppa il 5 agosto, con un intervento su un altro giornale, Il Dovere. Da quella fonte si apprendeva che era intervenuto anche un terzo prete, quello di Muggio, e che Stoppa aveva effettivamente offerto cento franchi a don Spinelli se gli avesse fatto sentire i colpi misteriosi di persona.
Da qui partì, feroce, la polemica. La natura ambigua degli episodi, la commistione fra il potere pubblico e la chiesa cattolica locale, l’entrata in campo a dir poco aggressiva della stampa anticattolica si rivelarono sin da subito una miscela esplosiva.
I protagonisti della storia
Come osserveremo soprattutto grazie ad alcune fonti archivistiche, don Giuseppe Spinelli non fu il solo protagonista della vicenda. Il secondo attore notevole, arcinemico di Spinelli, fu un redattore (e in seguito direttore) della Gazzetta Ticinese: “Milesbo”, pseudonimo dell’avvocato Emilio Bossi (1870-1920), massone ed acceso sostenitore della separazione fra Stato e chiese.
Era lui, senza alcun dubbio, l’autore del primo, feroce articoletto del 1° agosto. Lo sappiamo grazie al commento che, il giorno 2, fece il quotidiano conservatore Popolo e Libertà, che – fra preti pro-spiriti e superpositivisti – cercò di assumere la posizione di terza parte, pur lasciando ampio spazio alle posizioni di don Spinelli. Popolo e Libertà se la prendeva con Milesbo che, secondo il giornale, aveva un atteggiamento “sciocco”: se si trattava davvero di una mistificazione, che il procuratore agisse. A meno che, scriveva ironico Popolo e LIbertà, non fosse anche lui vittima della battisoffia, cioè del batticuore dovuto alla paura.
Il giornale, di area filo-cattolica, suggeriva quindi di chiedere l’intervento di un teosofo, studioso di spiritismo e di metapsichica di notevole fama: il giurista locarnese Alfredo Pioda (1848-1909) che militava nello stesso partito politico di Emilio Bossi, ma che – si noti – ne era fermo avversario interno.
Come detto, don Spinelli utilizzò lui stesso le colonne di Popolo e Libertà. Da lì, il giorno 12, difese per la prima volta il modo in cui si stava interessando dei fatti. I colpi si sentivano davvero, e lui lo aveva accertato sin dal 22 luglio: bastava condurre indagini attente e approfondite come lui aveva fatto, e non prevenute come quelle di Stoppa e del sindaco del comune di Cetto.
Un sacerdote intrigato dagli spiriti
È in queste righe che si delinea uno dei motivi per i quali vale la pena ricostruire nei dettagli questa storia: un prete cattolico che, in sostanza, si diceva convinto che stesse accadendo qualcosa di difficile da spiegare – una tipica manifestazione del classico show spiritico – e che, almeno in pubblico, non invocava né Satana né il catechismo della chiesa di Roma. Si tratta di un dato interessante: in sostanza, don Spinelli ragionava come un metapsichista del suo tempo, pretendendo di agire in modo “scientifico”. Non vedeva segni di trucchi o motivi d’inganno, e ne deduceva che “qualcosa” accadeva sul serio. A modo suo, seguiva la grande moda del tempo: la caccia agli “spiriti”.
Fu questa, per tramite di Spinelli, anche la linea generale di Popolo e Libertà: in un lungo articolo firmato e.p. (quasi di certo il giornalista Eligio Pometta, 1865-1950), il 13 e il 17 agosto il quotidiano sosteneva che non bastava dire, come facevano altri, “dalli al prete”, o prendersela col Cattolicesimo per risolvere la questione; e il motivo era che i fenomeni erano reali, e inspiegabili. Gli scettici, e quotidiani come Il Dovere che se ne occupavano in modo superficiale, magari facendo ammissioni parziali sulla realtà dell’accaduto, si rivelavano comunque approssimativi. Deridevano i testimoni, che pure erano sinceri e collaborativi, e non capivano la logica del catechismo cattolico, che Popolo e Libertà includeva nel dibattito. Nel complesso, sembra di leggere i toni dei moderni sostenitori del paranormale o dell’esistenza degli Ufo, anche se in un contesto particolare come quello cattolico all’alba del Ventesimo secolo.
Emilio Bossi nella casa infestata
Forse punto sul vivo dalle critiche di Popolo e Libertà, Emilio Bossi andò di persona sul posto e ne trasse stavolta una relazione meno grondante di insulti. Il resoconto apparve il 19 agosto su Gazzetta Ticinese. Insieme al giornalista c’erano altre persone desiderose di capire, che rimasero lì tutta la notte, e il giorno dopo raccontarono in modo dettagliato quello che avevano sentito. I colpi erano secchi, a tratti anche violenti, tanto a volte da far sobbalzare delle latte di metallo e, in un caso, da spostare di mezzo metro un cassone. Nel complesso, ne avevano uditi più di cento.
Bossi, a quel punto, non negò che qualcosa stesse accadendo, ma non vedeva nessuna necessità di tirare in ballo il soprannaturale. Secondo lui i fenomeni potevano dipendere da variazioni di dilatazione del legno di noce. Il punto, faceva notare, era che i colpi si sentivano soltanto nel pavimento delle tre stanze superiori: le forti variazioni termiche del periodo avrebbero forse potuto causare assestamenti durante la notte. Ad ogni modo, per lui, il motivo fondamentale per proseguire “l’indagine positiva” era di evitare “nelle popolazioni credenti… una recrudescenza di superstizione”.
Popolo e Libertà non esitò a replicare, il giorno dopo. La spiegazione proposta da Bossi, quella della dilatazione termica, era insostenibile: in un certo momento si erano sentiti oltre settanta colpi, durati un quarto d’ora. Colpi fortissimi giungevano anche da una cassa. Possibile l’assestamento del legno producesse un pandemonio simile? Dovevano essere dunque fenomeni spiritici “veri”, per i quali occorreva dare una risposta: perché non far intervenire scienziati e geologi, e – sembra la proposta di Popolo e Libertà fosse seria – non far demolire la casa dalle fondamenta?
Colpo di scena
Quello stesso 20 agosto 1904 il fiero avversario degli spiriti di Cabbio, la Gazzetta Ticinese, pubblicava questo minuscolo stelloncino:
Un annuncio lapidario. La grande diatriba risolta: tutto era dovuto a un raggiro. Come prevedibile, a inviare il telegramma era stato “Milesbo”, cioè il nostro Emilio Bossi. Due giorni dopo spiegò in dettaglio sulle pagine del giornale come, secondo le sue conclusioni, stavano le cose.
Si era trattato di una messinscena architettata all’intera famiglia, forse con l’esclusione del padre, resa più efficace con l’aiuto di alcuni lavoranti dell’alpeggio, e, fra questi, di alcuni italiani. Se ne erano accorti in diversi e, scriveva Bossi, pure alcuni “credenti e conservatori”. Madre, figlia, figlio e lavoranti picchiavano colpi sul soffitto del piano di sotto, soprattutto nella nicchia del focolare. A volte si dividevano in gruppi, dando colpi alle spalle degli “inquirenti” di turno. Chi si infilava nella nicchia del focolare usava un soffietto o i piedi per battere, producendo così colpi in posizioni più insolite. Questo sarebbe stato il primo trucco scoperto da uno dei presenti.
Le latte, invece, erano mosse utilizzando un oggetto (forse un bastone?) attraverso i buchetti nel pavimento. La forza di alcuni colpi sui soffitti (molto bassi, in quelle abitazioni di montagna) a tratti erano tali da spostare anche il cassone. I colpi cessavano soltanto quando la sorveglianza da parte dei presenti si faceva più attenta.
Ma perché tutto questo caos? Bossi pensava a un sistema per spaventare il capofamiglia, e per “toglierlo dalle osterie”, oppure a uno scherzo finito male. Sembrava inoltre che i gendarmi avessero accompagnato la figlia, fra gli attori principali della farsa – a Mendrisio.
La difesa messa in atto lo stesso giorno da Popolo e Libertà non fu un granché. I due principali informatori “scettici” di Bossi si erano rifiutati di mettere per iscritto le loro dichiarazioni, e poi c’era almeno un altro partecipante alle indagini che ribadiva che per lui la sorveglianza messa in atto quando i fenomeni paranormali si erano verificati escludeva già qualsiasi trucco – ma nient’altro di concreto a sostegno degli “spiriti”.
Prima si calmano gli “spiriti”, poi i giornalisti
Vi risparmiamo la prosecuzione di improperi reciproci e di tamburi di battaglia fatti rullare nei giorni successivi, tutti in prima pagina. Segnaliamo soltanto che il 24 agosto Bossi scrisse, replicando ancora a Popolo e Libertà, che quelli che avevano colto in flagrante gli esecutori dei trucchi erano ben più di due, e che sembrava impossibile che il prete più convinto di quanto accadeva (altro evidente riferimento a don Spinelli, come conferma un pezzo successivo, uscito il giorno 25, secondo il quale lo stesso prete era in rapporti con uno spiritista) continuasse a far finta di niente.
Stando al Corriere del Ticino del 24, a Cabbio era giunto anche uno studioso di “magnetopatia” (ipnotismo), il signor Müller di Zurigo, ma anche così – dopo gli articoli di Bossi volti a smascherare i fatti – sembrava che gli spiriti esitassero a farsi sentire di nuovo. Forse per indagare arrivarono anche altri spiritisti, ma ormai quelli erano “gli ultimi razzi, gli ultimi tentativi” (ancora Emilio Bossi, il 29): i “colpi spiritici” erano scomparsi.
Le acque andavano calmandosi: Popolo e Libertà il 27 ammetteva che “forse i colpi non si sarebbero ripetuti”, ma che le spiegazioni di Milesbo non convincevano, che ci volevano dimostrazioni più chiare. Intanto, però, stando a Gazzetta Ticinese (29 e 30 agosto), la casa era stata chiusa da giorni per ordine del Commissariato di Mendrisio, ed era in corso un’inchiesta di polizia, mentre Codoni, il capofamiglia della casa infestata, dopo aver minacciato una querela contro Bossi, aveva desistito.
Erano però ormai davvero gli ultimi scambi di cortesie. Il 31 agosto e il 3 settembre Popolo e Libertà – forse per mano del principale contendente, don Spinelli – difendeva i preti della zona che erano stati chiamati dal padrone di casa, e che dopo tutto non avevano mai parlato di “spiriti”, ma soltanto di fenomeni che a loro non sembravano dovuti a mistificazioni. In modo indiretto, però, era confermato che il procuratore pubblico aveva agito con decisione perché la presenza dei fantasmi cessasse.
Una cosa comunque sembra davvero certa, stando alle ultime fonti giornalistiche a noi note: dopo il 21 agosto, cioè dopo l’articolo di Emilio Bossi e – probabilmente – dopo le azioni d’autorità da parte del giudice Stoppa, i fantasmi chiassosi decisero di lasciar perdere. Lo confermava “Milesbo” su Gazzetta Ticinese del 5 settembre.
Che poi l’autorità prenda o non prenda misure contro la famiglia Codoni, questo non ci riguarda. Noi abbiamo provato la nostra asserzione. Chi si crede capace di smentirci, sì faccia avanti! Ed ora, giù il sipario, ché la commedia è finita.
“Fantasmi cattolici”?
Il titolo di quest’ultimo paragrafo non si deve a noi. È quello di un articolo pubblicato nel 2003 sul numero 24 di Fogli (pp. 24-37), notiziario dell’Associazione Biblioteca Salita dei Frati di Lugano. Firmato da Aldo Abächerli, contiene una sorpresa. Ci rivela che il fondo proveniente dal convento dei frati cappuccini di Lugano, acquisito dalla biblioteca, contiene un manoscritto (in realtà un suo duplicato, probabilmente litografico) di 31 pagine, non firmato, ma attribuibile quasi di certo a don Giuseppe Spinelli. Insomma, un testo del maggior sostenitore della realtà dei fenomeni di Cabbio, interamente dedicato a una strenua difesa dei “fantasmi”.
Dal suo contenuto, si evince che fu scritto verso la metà di settembre del 1904, ossia poco dopo che l’eco pubblica della storia era cessata. Si tratta di una lunga descrizione dei fenomeni testimoniati, la constatazione in prima persona di quanto accaduto, e, soprattutto, una lunga parte polemica e apologetica. Oltre ad affermare che la stampa protestante svizzera ne aveva approfittato per l’ennesimo attacco alle “superstizioni cattoliche”, Spinelli si sbilanciava decisamente di più rispetto a quanto pubblicato sui giornali. Non solo difendeva (ma senza aggiungere elementi decisivi alle testimonianze) la natura spiritica degli eventi, ma, con una virata verso le sue convinzioni religiose, ne adombrava l’origine diabolica.
La curia luganese, presieduta da poco dal vescovo Alfredo Peri-Morosini (personalità notevole, volta a questioni di diplomazia vaticana di ben altra portata), preferì non mischiarsi più di tanto nella polemica. In questo modo, spiega Abächerli, in sostanza lasciò a Spinelli e all’arciprete di Balerna, don Abbondio, l’onere della difesa dagli assalti della stampa anticattolica: l’ipotesi dell’autore dello studio è che Spinelli abbia redatto quel documento non tanto in vista di una sua pubblicazione, perché diventasse parte del dibattito, ma per ristabilire e per difendere la sua credibilità e attendibilità nei confronti della curia e del resto del clero locale.
Circa l’origine dei fenomeni in quanto tali, Abächerli non è riuscito a trovare nessun indizio che faccia sospettare che don Spinelli fosse parte di una mistificazione. Curiosamente, lo studioso sembra sottovalutare le affermazioni nette di Emilio Bossi sulla scoperta dei “colpevoli”, cioè buona parte della famiglia Codoni e di alcuni lavoranti. Abbiamo però la conferma che il 24 agosto il commissario di governo di Mendrisio avesse fatto chiudere l’edificio, e della sparizione degli spiriti.
La fine dei fenomeni non fu, tuttavia, definitiva: una volta che la famiglia tornò in casa, nel gennaio del 1905, i colpi ripresero, per poi proseguire sporadicamente, malgrado una dei principali sospettati, la figlia del Codoni, fosse stata allontanata. Gli eventi si manifestarono ancora sino all’estate: i Codoni si erano allontanati di nuovo dalla casa, ma, spinti dalla necessità dei lavori stagionali, vi erano rientrati a luglio. C’è bisogno di dirlo? Un’ultima serie di colpi, spiega Abächerli, si manifestò nel mese di agosto, mentre il gruppo era presente. Poi, nient’altro.
Anche per lo studioso svizzero, il fatto sorprendente è che don Spinelli, un prete cattolico, si occupò di questi eventi secondo i parametri dello spiritismo, sia pure, per Abächerli, in modo raffazzonato, da persona che sulla controversia aveva cominciato a documentarsi da poco. Ciò avvenne, bisogna sottolinearlo ancora, in una fase storica nella quale il Cattolicesimo considerava la moda dei fenomeni metapsichici una minaccia culturale importante. In quei giochi di società, nei trucchi, negli spettacoli delle sedute e degli “esperimenti”, nelle cacce collettive ai fantasmi in casa e per strada, nelle elucubrazioni degli scienziati e delle società per gli studi psichici – come si chiamavano allora – c’era qualcosa di cui aver timore.
Il manoscritto di Spinelli è infatti un tentativo di sostenere che lo studio dei fenomeni spiritici godeva di largo credito scientifico, e che dunque lui – se ingenuo era stato – si trovava in buona compagnia. Si trattava di parare i colpi degli scettici verso i fenomeni metapsichici, ma soltanto per poter difendere se stesso, e non solo dagli sberleffi esterni, ma anche dai mugugni di altri membri del clero cattolico e di responsabili della diocesi.
“Fantasmi cattolici”, dunque? Forse un pochino sì, ma soprattutto per l’eccessiva buona disposizione d’animo di un prete e per il bisogno di tentare qualcosa a fronte delle scoperte imbarazzanti dei razionalisti e degli scettici, che avevano approfittato di quell’episodio per attaccare la religione cattolica. Il tutto, in un’atmosfera di scontro e polemica ricca di insulti e insinuazioni, che sarebbe stata forse evitabile, nel 1904 come oggi.
In copertina: il paese di Cabbio. Fotografia di Adrian Michael, da Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0.
Un appunto: “una frazione del comune di Broggio”.
Il Comune si chiama Breggia, come il fiume omonimo che attraversa la Valle di Muggio.
Per verifica:
– DHS: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/049571/2016-12-19/
– https://www.comunebreggia.ch/
Grazie, abbiamo corretto