Come gli animali evitano guerre e conflitti
Quando si parla di conflitti in riferimento alle altre specie animali, si tende ad immaginare una lotta sanguinosa in cui vince sempre il più forte. Siamo abituati a vedere o a leggere resoconti di scontri feroci tra grandi predatori per assicurarsi un pasto o azzuffate tra maschi per la conquista delle femmine. Queste “dispute bestiali”, però, non sono così frequenti e, in effetti, rappresentano solo una parte del repertorio comportamentale di una specie.
Ci sono animali che, di fronte ad un conflitto di interessi (ad esempio per acquisire una risorsa), devono tener conto di un importante fattore: la propria vita dipende dalla sopravvivenza del gruppo di cui sono parte. Spendersi in una lotta violenta potrebbe essere, infatti, controproducente.
La soluzione adottata da molte specie sociali è, dunque, intraprendere delle vere e proprie “lotte per mantenere la pace”, al fine di garantire tolleranza e cooperazione. Credere che la lotta possa essere un mezzo per la pace potrebbe rappresentare, oggi, un pericoloso ossimoro, ma ciò che fanno molte specie animali è proprio combattere, metaforicamente, ovvero investire tempo ed energie al fine di evitare un conflitto. Per loro, affinché si possa continuare a beneficiare dei vantaggi del vivere insieme, è necessario adottare efficaci strategie di gestione degli scontri.
In rari casi, il dilagare di un conflitto all’interno di un gruppo sociale può portare anche alla completa disgregazione del gruppo stesso. Nel 1974 nel Parco Nazionale del Gombe, in Tanzania, è stato riportato lo scoppio di un conflitto tra alcuni scimpanzè, durato per quattro anni. Gli attacchi mirati e organizzati messi in atto dalle due fazioni hanno portato gli esperti a definire l’evento come una vera e propria guerra, ricordata come la “Guerra dei quattro anni del Gombe”. Lo scontro ha visto opporsi i Kasakela e i Kahama, questi ultimi originariamente appartenenti al primo gruppo. Le due comunità iniziarono a competere per le risorse del territorio, dando vita a degli attacchi coalizzati in cui membri di uno stesso gruppo si associavano in modo combinato per colpire i nemici (soprattutto altri maschi adulti). Dopo ripetuti scontri e decine di vittime, la guerra degli scimpanzè del Gombe si concluse con l’annullamento della nuova comunità dei Kahama. Questo evento rappresenta, ad oggi, un conflitto isolato e unico nel suo genere che, però, ha offerto interessanti analisi etologiche della specie coinvolta.
Meglio prevenire
Per evitare “guerre” distruttive, la selezione naturale sembra aver favorito strategie per evitare e risolvere conflitti, delle misure di prevenzione e di intervento mirate per ogni tipo di attrito sociale. Dunque, se durante uno scontro aumentano i livelli di tensione, è possibile osservare dei pattern comportamentali (che includono segnali visivi, acustici o tattili) con i quali un soggetto comunica le intenzioni pacifiche o la propria sottomissione.
Alcuni studi condotti sui lupi, ad esempio, hanno evidenziato come il gioco sociale con altri membri del proprio gruppo sia presente anche in soggetti adulti e sub-adulti, con l’obiettivo di stabilire relazioni di dominanza senza entrare direttamente in conflitto, aumentare l’armonia sociale e fortificare i legami1.
In aggiunta al gioco, un’altra strategia ampiamente diffusa nel mondo animale per regolare la tensione tra individui è l’allogrooming (toelettatura diretta a un altro soggetto). Con questo termine vengono identificati una serie di comportamenti finalizzati alla cura di un altro individuo attraverso il contatto fisico, utilizzando le mani, la bocca o altre parti del corpo.
In diverse specie animali, infatti, dedicare del tempo alla pulizia e alla cura del pelo di un compagno è un comportamento che, specie se corrisposto, crea e mantiene relazioni di alleanza e contribuisce al benessere psicofisico di ciascun soggetto. Il mantenimento dell’allogrooming nel corso dell’evoluzione delle specie sociali si ritiene sia collegato al coinvolgimento dell’ossitocina, un ormone neuropeptidico che modula le interazioni tra individui di una stessa specie. Ad esempio, nei bonobo, la quantità di ossitocina aumenta anche durante i contatti sessuali tra animali dello stesso sesso, sottolineando l’importante funzione di questo ormone nel ridurre il conflitto e stabilire relazioni cooperative2.
Amici come prima
Un conflitto interno può mettere a dura prova la convivenza e, spesso, risulta inevitabile confrontarsi (talvolta più duramente) con i propri compagni. Sembra tuttavia che, ancora una volta, l’evoluzione abbia fornito a molte specie animali strumenti efficaci per tornare ad essere “amici come prima”. Si parla di riconciliazione quando due individui dopo uno scontro manifestano più comportamenti affiliativi rispetto a quanto osservato nel contesto pre-conflittuale. Tali comportamenti di riappacificazione variano a seconda di ciascuna specie e possono essere molto complessi.
Anche in questo caso entra in azione l’ossitocina. Agendo sui circuiti della ricompensa e sui sistemi della memoria sociale, questo ormone gioca un ruolo cruciale nel consentire di riconoscere gli individui appartenenti al proprio gruppo e ricordare le interazioni avvenute con questi ultimi. Tali capacità, secondo de Waal e Yoshihara (1983)3, rappresentano i requisiti minimi per poter parlare di riconciliazione. I comportamenti affiliativi dopo un conflitto (es. contatto fisico, grooming, approccio, condivisione di cibo) sono infatti stati osservati proprio in specie che vivono in unità sociali stabili, caratterizzate da interazioni individuali e ripetute nel tempo.
Per riparare una relazione precedentemente interrotta, dunque, gli animali “mettono in campo” comportamenti che l’altro individuo coinvolto nello scontro riconosce come segni di pace. Questi fenomeni sono stati descritti per la prima volta da de Waal e van Roosmalen (1979)4 negli scimpanzé. Gli autori hanno evidenziato come alcuni comportamenti di questa specie (baci, abbracci e vocalizzazioni) si manifestassero più frequentemente dopo un conflitto rispetto alle normali interazioni nel gruppo. Tale esempio, in una specie filogeneticamente molto vicina alla nostra, ci dimostra quanto la riconciliazione possa essere importante per ridurre il rischio di perdere i vantaggi del vivere insieme e quanto le origini di questi comportamenti siano radicate nell’evoluzione.
Subito dopo la fine di un conflitto (in genere nei minuti successivi), per molte specie animali, la tipologia, la durata e l’intensità dei comportamenti “amichevoli” manifestati è variabile. Inoltre, per alcune specie di macachi, questi comportamenti sembrano essere specifici del contesto post conflittuale e più raramente riscontrati in altre situazioni sociali. I primati non umani, però, non sono gli unici a riappacificarsi: anche lupi, capre, tursiopi, cani, cavalli, iene, wallaby e corvi, mettono in atto strategie di riconciliazione.
La “guerra” è finita?
La riconciliazione, dunque, riduce la probabilità che lo scontro possa continuare, ripresentarsi o che l’aggressività venga ridiretta ad un altro individuo del gruppo sociale. Ma com’è possibile avere un dato oggettivo sulla variazione dello stato emotivo degli opponenti? In sostanza, come facciamo a sapere se la “guerra” è realmente finita? Attraverso l’osservazione etologica.
In particolare, viene analizzato in che modo i comportamenti di riconciliazione agiscano riducendo lo stato di tensione emotiva. Ad esempio, nei primati, grattarsi una parte del corpo (o nell’uomo toccarsi i capelli e manipolare un oggetto senza un fine) è un comportamento autodiretto che consente di valutare lo stato di ansia e di incertezza, anche dopo un episodio conflittuale. In particolare, è stato osservato che quando due opponenti si avvicinano l’un l’altro e si scambiano contatti fisici amichevoli o vocalizzazioni, la frequenza di comportamenti autodiretti (es. grattarsi) si riduce5.
Inoltre, in alcuni casi, interviene un terzo individuo non coinvolto direttamente nel conflitto, per abbassare i livelli di tensione e mediare per la pace. Quando è un terzo soggetto a rivolgere comportamenti affiliativi dopo un conflitto, si parla di “consolazione”. Tra i primati non umani, ciò è stato osservato in gorilla, scimpanzè e bonobo; specie che, pur vivendo in strutture sociali diverse, rappresentano affascinanti esempi da poter aggiungere al dibattito riguardante la relazione tra affiliazione, consolazione e capacità empatiche.
Lo studio dell’etologia di altre specie animali in situazioni post-conflittuali, dunque, ci pone di fronte ad un’ulteriore osservazione: probabilmente non siamo gli unici a manifestare comportamenti atti a riparare relazioni interrotte. Questo “patrimonio naturale della risoluzione del conflitti”6, che condividiamo con altre specie di primati, costituisce un bagaglio evolutivo che ci ricorda quanto la strategia vincente sia rappresentata proprio da una continua “lotta per la pace”.
Riferimenti bibliografici:
- Palagi, E., Cordoni, G., Demuru, E., & Bekoff, M. (2016). Fair play and its connection with social tolerance, reciprocity and the ethology of peace. Behaviour, 153(9-11), 1195-1216.
- Moscovice, L. R., Surbeck, M., Fruth, B., Hohmann, G., Jaeggi, A. V., & Deschner, T. (2019). The cooperative sex: sexual interactions among female bonobos are linked to increases in oxytocin, proximity and coalitions. Hormones and Behavior, 116, 104581.
- de Waal, F. B. M. and Yoshihara, D. (1983). Reconciliation and redirected affection in rhesus monkeys, Behaviour, 85: 224-241
- de Waal, F. B. M. and van Roosmalen, A. (1979). Reconciliation and consolation among chimpanzees, Behav. Ecol. Sociobiol., 5: 55-66
- Cooper, M. A., Aureli, F., & Singh, M. (2007). Sex differences in reconciliation and post‐conflict anxiety in bonnet macaques. Ethology, 113(1), 26-38.
- De Waal, F. B. (2000). Primates–a natural heritage of conflict resolution. Science, 289(5479), 586-590.
* Lorenza Polistena è etologa e divulgatrice. La trovate su Youtube e Instagram (canale Behanimal).
Foto di Susanne Jutzeler, Schweiz 🇨🇭 💕Thanks for Likes da Pixabay
Complimenti! Davvero un bell’articolo