Il ruolo della siccità nelle invasioni degli Unni
di Agnese Picco
Gli Unni sono spesso descritti come un violento popolo nomade. Le loro invasioni, che hanno interessato l’Europa del IV-V secolo, sono ritenute da molti tra le cause della dissoluzione di un Impero Romano oramai morente. Chi erano e da dove arrivavano? Perché si sono spostati dal proprio luogo di origine? Come mai la richiesta di oro e terre è aumentata fino a sfociare in guerre continue?
Uno studio multidisciplinare pubblicato sulla rivista Journal of Roman Archaeology ha analizzato per la prima volta in modo organico le fonti archeologiche, storiche e ambientali in merito. Il risultato è la proposta da parte dei ricerctaori che gravi episodi di siccità, avvenuti tra il 430 e il 450 d.C, abbiano sconvolto l’organizzazione economica e sociale delle popolazioni stanziate attorno al Mar Nero, spingendole a migrare verso zone più fertili.
Gli Unni sono stati raffigurati dalle fonti antiche, ad esempio da Ammiano Marcellino, come avidi, con una infinita sete d’oro, violenti, incivili e inaffidabili, contenti di sconvolgere l’ordine costituito dell’Impero Romano. Quest’immagine negativa si è perpetrata per anni anche nella storiografia moderna, ma analisi critiche hanno rivelato come gli scrittori romani tardo-antichi sottostessero a rigidi canoni letterari che si rifacevano al mondo classico. In questo senso, il nomadismo di queste popolazioni venne letto come una caratteristica negativa anche moralmente, poiché l’uomo civile e affidabile, come il cittadino romano, vive in insediamenti stabili e pratica l’agricoltura. In casi come questo lo storico deve tenere presente il fatto che le uniche fonti scritte arrivate fino a noi sono quelle di parte romana e, quindi, non possiamo avere uno sguardo diretto sulla vita e sull’organizzazione sociale ed economica di queste popolazioni nomadi.
Lasciando da parte l’immagine stereotipata degli Unni spinti dalla fame di ricchezze, i ricercatori autori dello studio, si sono chiesti chi fossero queste popolazioni e da dove venissero. Le fonti storiche sono vaghe sulla loro provenienza, suggerendo semplicemente che venissero dalle steppe a est del confine romano. A partire dal XVIII sec. la storiografia europea ha proposto l’associazione tra gli Unni e una popolazione dell’Asia centrale chiamata dalle fonti cinesi Xiongnu. Oggi però i ritrovamenti archeologici non sostengono più questa ipotesi, basata su caratteri molto diffusi tra le popolazioni euroasiatiche e non identificativi di una singola cultura. Grazie alla conoscenza più approfondita dei contesti archeologici, soprattutto funerari, associabili a queste popolazioni nomadi si è potuta riscontrare una grande varietà di oggetti e di usanze, provenienti da diverse aree geografiche, frutto di un mondo cosmopolita e fluido, difficilmente inquadrabile dalle fonti romane.
Lungi dall’essere un popolo precisamente identificabile spostatosi in massa dall’estremo oriente, le fonti archeologiche supportano l’ipotesi che gli Unni fossero il risultato di aggregazioni di persone originarie della zona a nord del Mar Nero. I ricercatori rilevano la difficoltà di assegnare con sicurezza un contesto archeologico alle popolazioni chiamate “Unni” dalle fonti romane. Le sepolture elitarie, ad esempio, hanno spesso caratteristiche internazionali, presenti su vaste aree, e sono pochi gli elementi identificativi locali. Alcuni paiono essere i grandi calderoni bronzei e le parti in metallo degli archi compositi. Nonostante le fonti storiche associno agli Unni grandi devastazioni, archeologicamente è difficile collegare con sicurezza livelli di distruzione nei siti del periodo con le incursioni unne, in mancanza di prove certe.
Secondo gli autori dello studio, per identificare questo popolo è necessario spostare l’attenzione dalla cultura materiale alle pratiche economiche e identitarie: sono queste, più degli oggetti, che uniscono un gruppo di persone. Per quanto riguarda le pratiche economiche, le fonti romane insistono sull’allevamento nomade, sentito come principale caratteristica degli Unni. L’analisi degli isotopi effettuata sui resti umani permette di conoscere l’alimentazione che una persona ha seguito nelle varie fasi della sua vita e se ha vissuto sempre nello stesso luogo o si è spostata. Studi precedenti effettuati sui pastori nomadi dell’Asia centrale hanno dimostrato che questi consumano più carne e latte rispetto alle popolazioni di contadini e tra i cereali prediligono il miglio.
Uno studio volto a identificare la consistenza del pastoralismo nomade, condotto su cinque necropoli del periodo unno situate nel medio danubio (Hakenbeck et al. 2017) ha dimostrato che queste comunità hanno praticato sia la pastorizia nomade sia l’agricoltura in differenti fasi della loro storia e che diversi individui ad esse appartenenti si sono spostati durante la loro vita. Questo studio avvalora l’ipotesi che le tecniche scelte per la propria sussistenza erano, per queste popolazioni, fluide e interscambiabili ed erano probabilmente usate come risposta alle condizioni climatiche più o meno favorevoli. Anche in questo caso, l’osservazione porta a sostenere che gli Unni non fossero una compagine etnica definita e omogenea, ma un insieme di individui di diversa provenienza.
Ma perché queste popolazioni tra il IV e il V secolo hanno iniziato a premere sempre più insistentemente sulle frontiere romane fino a penetrarle? Secondo i ricercatori la causa va cercata negli eventi che hanno causato una grave siccità nel Bacino Carpatico a metà del IV secolo e poi ancora all’inizio del V.
Gli studiosi hanno inoltre provato a identificare quale sia stata la risposta culturale, sociale ed economica al cambiamento climatico e come questo abbia inciso sulla loro storia. Secondo uno studio (Halstead and O’Shea 1989), ci sono quattro tipi di risposte che le società mettono in atto per reagire al cambiamento climatico: mobilità, diversificazione, scambio e conservazione. Possiamo rilevare queste caratteristiche in quanto sappiamo delle popolazioni radunate sotto il nome di Unni?
I dati isotopici raccolti nelle necropoli rivelano un’ampia mobilità degli individui. Ci suggeriscono, inoltre, come venissero usate strategie di sussistenza sia legate a pratiche agricole che pastorali. La diversificazione potrebbe essere, quindi, legata al cambiamento del clima, un modo per affrontare i periodi di instabilità: durante le estati secche i campi potrebbero essere stati abbandonati in favore delle greggi.
Il fatto che le popolazioni stanziate ai confini dell’impero romano praticassero la pastorizia nomade in misura minore rispetto ai loro antenati potrebbe aver provocato cambiamenti anche a livello sociale. In questo senso si inserisce la tematica dello scambio. Secondo le fonti romane, Attila aumentò la richiesta di oro e di terre, intensificando gli attacchi oltre il limes. Gli autori dello studio propongono che questi raid servissero a procurare cibo e beni di prima necessità durante i periodi secchi, e che la richiesta di terre più fertili fosse una strategia per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
Le conclusioni alle quali giungono gli autori dello studio sono molto interessanti. Le prove storiche, genomiche e archeologiche sostengono l’ipotesi di un flusso di persone dalle regioni a nord del Mar Nero verso le zone di confine dell’impero romano tra il IV e il V sec. d.C. Anche se la consistenza e l’appartenenza etnica, come detto, sono difficili da rilevare, è abbastanza certo che non si sia trattato di una migrazione in larga scala di un popolo omogeneo proveniente dal lontano est. I dati ambientali mostrano gravi e reiterati periodi di siccità all’inizio del V secolo.
Nello stesso periodo le popolazioni stanziate nella piana ungherese e nel Bacino Carpatico utilizzavano diversi sistemi di sostentamento alternando agricoltura e pastorizia nomade. I cambiamenti climatici hanno distrutto pure l’organizzazione sociale e politica ordinaria di queste popolazioni, inducendo i capi a procurarsi oro e altri beni tramite razzie entro i confini dell’impero romano, usati forse anche per assicurarsi la lealtà dell’élite unna. Anche se ancora molto rimane nel campo delle ipotesi, questo studio getta le basi per una conoscenza più approfondita di questa popolazione che tanto impressionò gli scrittori romani e che rimane ancora in gran parte poco conosciuta anche dagli storici e archeologi moderni.
Grazie dell’ Articolo, Agnese. Direi che l’ unica “spinta” che manca, tra le ipotesi normalmente prese in considerazione dagli Storici, è la spinta verso gli “Unni”, a loro volta, di altre popolazioni provenienti da un Est più “estremo”. Se guardiamo alle “Migrazioni” a noi contemporanee, non sono solo Africa verso Europa ma sono, prevalentemente, ancora da Est a Ovest. L’ Oro lo possiamo sostituire con la normale attrazione che esercita un Posto ricco verso tutti (dove c’è più soldi, migrano non solo Nomadi e Homeless, ma anche Finanzieri e Ricercatori Scientifici). La semplice Siccità di allora è oggi una serie di sconvolgimenti climatici che provoca carestie sempre più estese e gravi, che da noi non sono ancora arrivate solo perché anche il cibo tende a dirigersi dove ci sono soldi e lo pagano di più. La “spinta alle spalle” da parte di popolazioni forti è sostituita dall’ esistenza di Nazioni forti e dittatoriali (va di moda definirle autocratiche), dove si muore, se si invade, o si viene ridotti in schiavitù, se non di nome, di fatto. Non conviene scappare là. Ma la spinta a scappare da noi dipende anche da fattori non misurabili materialmente, che la Storiografia Materialista non considera. Eppure l’ ho vista molto bene, ed ero ancora materialista anche io, nel cosiddetto ’68: c’ era un qualcosa di invisibile, in quegli anni, che spingeva tutti noi Giovani, ma proprio tutti, a ribellarsi e a organizzarsi per abbattere gli stati e sostituirli con i nostri. Vedevi, in poche settimane, migliaia di persone da sedentarie e pacifiche diventare ribelli e aggressive. Ci si spostava in cortei più o meno armati, intonando canti di guerra. Buon anno a Te e al CICAP.